Il presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi
3 minuti per la letturaIlludersi di andare avanti con questo baraccone regionalista multiforme e il suo giostraio di turno che è il Presidente della Conferenza Stato-Regioni non è più possibile. Sul Recovery Plan come sui vaccini. Si segua il consiglio del Presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli: si disponga una legge quadro speciale che disciplini le modalità attuative del Recovery Plan e attribuisca allo Stato non solo la funzione di selezionare i progetti, ripartire le risorse, assistere gli enti attuatori, vigilare e controllare la esecuzione. È necessario rendere possibile il richiamo delle competenze allo Stato, giustificato dalle esigenze unitarie, dalla straordinarietà e temporaneità dell’intervento, dalle responsabilità che ha lo Stato per la esecuzione del Piano
Non si capisce chi fa cosa tra Stato e Regioni. Il Paese non cresce perché è organizzato male. Questo non è più un tema di dibattito, ma un fatto sotto gli occhi di tutti. Non siamo capaci di fare investimenti pubblici perché siamo prigionieri di una frammentazione decisionale che condanna l’Italia da venti anni alla crescita zero. Le competizioni tra sistemi Paese si giocano sull’organizzazione e l’Italia dei venti carrozzoni regionali contiene in sé un principio costitutivo di disorganizzazione.
Siamo arrivati nel silenzio complice di tutti allo Stato Arlecchino dove i diritti di cittadinanza sono brutalmente negati a venti milioni di persone nella scuola e nella sanità come nella mobilità. Ancora di più se possibile nelle infrastrutture di sviluppo immateriali e materiali. Si sono poste, insomma, le basi per uno Stato Arlecchino parallelo “autoreferenziale” dove il privilegio delle Regioni ricche blindato con la spesa storica foraggiata dall’intera collettività, declina in un egoismo miope che taglia arbitrariamente la spesa sociale alle Regioni povere. Di fatto si allargano le diseguaglianze e si alimentano assistenzialismo e inefficienze diffuse. Si pregiudica la capacità operativa della macchina pubblica e la competitività complessiva del Paese.
Abbiamo troppa stima di Draghi, Franco, Colao e così via per dubitare sulla qualità complessiva finale del progetto italiano di Recovery Plan. Abbiamo, però, anche la certezza matematica che l’assetto decentrato regionalista all’italiana con i suoi venti viceré e le regole oscure che ne presiedono il funzionamento è incompatibile con una gestione all’altezza della sfida e con i principi fondanti di equità. Si ripeterebbe il disastro degli amici degli amici e di molto altro che si è visto con l’esecuzione del piano di vaccinazione.
Siccome non ci sono i tempi per intervenire sulla riforma del titolo quinto e sulla ripartizione di competenze tra Stato e Regioni del 2001, si segua almeno il consiglio del Presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli, suggerito dalle nostre colonne: si disponga, cioè, una legge quadro speciale che disciplini le modalità attuative del Recovery Plan e attribuisca allo Stato non solo la funzione di selezionare i progetti, ripartire le risorse, assistere gli enti attuatori, vigilare e controllare la esecuzione. È necessario rendere possibile il richiamo delle competenze allo Stato, giustificato dalle esigenze unitarie, dalla straordinarietà e temporaneità dell’intervento, dalle responsabilità che ha lo Stato per la esecuzione del Piano.
Illudersi di andare avanti con questo baraccone regionalista multiforme e il suo giostraio di turno che è il Presidente della Conferenza Stato-Regioni non è più possibile. La delega deve avvenire dentro una gabbia chiara di poteri gestionali attribuiti su singole materie e di revoche immediate di essi in caso di inadempienza. Sul Recovery Plan come sui vaccini. A nessuno può più essere consentito di giocare con il futuro del Paese.
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