Mario Draghi
5 minuti per la letturaSiamo alla fine di un processo di distruzione di capitale produttivo che non ha precedenti. Viviamo tempi in cui bisogna agire senza guardare in faccia nessuno. Per questo abbiamo apprezzato l’arrivo dell’esercito in Lombardia dopo i guasti della burocrazia regionale. Così come sul Mezzogiorno non si deve scendere a patti con chi sa solo lamentarsi, ma bisogna mobilitare le energie necessarie perché cambi la macchina pubblica e si attui la riunificazione infrastrutturale delle due Italie. Abbiamo la speranza che sia l’ultima botta e sappiamo che oggi arriva il piano vaccini. Nel frattempo i posti di lavoro a rischio sono cinque milioni e 390 mila imprese non riapriranno più
Siamo di nuovo a marzo 2020. Siamo di nuovo ai camion con le bare di Bergamo. Da lunedì quasi tutta l’Italia rischia di essere zona rossa. La chiamano terza ondata, ma siamo davanti a una botta fortissima che arriva su un corpo completamento sfibrato. È come se fai una centrifuga pesante a una coperta nuova o la fai a una coperta con i buchi dappertutto. Per questo, quello che viviamo oggi è peggio di marzo 2020.
C’è un processo di psicologia collettiva che spinge alla rimozione collettiva dei problemi. Fino a ignorare la realtà per cui il ministro del Tesoro, Daniele Franco, mette nero su bianco che siamo l’unica economia europea a essere quasi 4 punti sotto il Pil del 2007, ma molti nemmeno sanno che cosa significa e nessuno ne parla. Si continua con il solito balletto mediatico sul nulla, e tutti gli italiani secondo una antica tradizione scaramantica rimuovono dalla testa e dal cuore la tragedia che hanno intorno.
Purtroppo, non è così perché il grado di allarme è esattamente come quello della sera dei camion di Bergamo con in più centomila morti che hanno segnato in profondità la coscienza nazionale con le cicatrici del dolore entrate in tutte le famiglie.
Ci sorridono i mercati perché con Draghi l’Italia è sparita dai report in quanto per ora non è un problema, perché la BCE fa sempre il suo e ci sono venti favorevoli americani che non è detto però che durino per sempre, ma tutto questo – che è importante – non può cambiare gli umori di un Paese in ginocchio e risollevare le sorti di un sistema produttivo strutturalmente debole e lacerato dalla Pandemia.
Abbiamo la speranza, questa sì, che sia l’ultima botta. Sappiamo che oggi arriva il nuovo piano vaccini e sappiamo che la macchina amministrativa del Paese con alla testa la Protezione civile e il generale Figliuolo promette di fare meglio di prima. Perlomeno riflette una logica chiara e un’assunzione di responsabilità riconoscibile. Sia chiaro, però, a tutti che siamo alla fine di un processo di distruzione di capitale produttivo che non ha precedenti. Dopo un anno che non fatturi siamo a un altro giro di aiuti che si chiamano sostegni e non più ristori.
Non cambia la sostanza, perché in entrambi i casi non sono sufficienti. Al di là dei tecnicismi non si va oltre un rimborso di una perdita media di due mesi su un’attività che è stata in perdita per dodici mesi. Il prodotto interno lordo (Pil) totale italiano alla prima ondata era di 1.790 miliardi.
Il Pil alla seconda ondata si ferma a un totale annuo di 1.647 miliardi. Nel marzo del 2020 il Pil pro capite medio degli italiani era di 29.833 euro, oggi è di 27.450. Per carità di patria non approfondiamo qui il solco delle diseguaglianze che si è allargato fino al punto di aprire voragini tra un territorio e l’altro con il rischio concreto di rendere irreversibile il divario interno.
Secondo la Confcommercio 390 mila imprese hanno chiuso e non riapriranno più. Queste chiusure si cumulano alle 120 mila imprese del settore delle costruzioni fallite negli ultimi sei anni. I posti di lavoro a rischio sotto la pentola a pressione di ogni tipo di cassa integrazione sono addirittura cinque milioni. Il dato dell’occupazione al momento emerge in modo meno drammatico perché è drogato dal blocco dei licenziamenti e delle cartelle fiscali.
La traduzione numerica di quel problema è solo rimandata, ma ciò nonostante abbiamo ridotto la platea degli occupati già dell’1,9% e l’area potenzialmente a rischio come già detto è di cinque milioni di persone. Solo chi non vuol vedere le cose come stanno, può fare finta di non capire che intorno alle polveriere del Mezzogiorno si intrecciano pericolosamente i fumi della protesta eversiva.
Ha fatto bene Draghi a dire pubblicamente che non vuole promettere nulla che non sia veramente realizzabile, e dietro questa coscienza della realtà ci sono la consapevolezza del dramma e l’impegno a fare il massimo come governo evitando la solita formula mediatica che usa il tempo futuro per non misurarsi con un presente impossibile.
Capire quello che stiamo vivendo significa fare un passo avanti nel cammino di condivisione ineludibile per affrontare il nuovo 29 mondiale italiano. Dove tutti i tabù devono cadere. Abbiamo apprezzato l’arrivo dell’esercito in Lombardia perché non basta prendere atto che la burocrazia regionale più foraggiata in Italia non è in grado di garantire livelli minimi di efficienza. Che addirittura la sua azienda regionale degli acquisti da 11 e passa miliardi è un colabrodo. Viviamo tempi in cui bisogna agire senza guardare in faccia nessuno.
Così come sul Mezzogiorno non si deve scendere a patti con chi sa solo lamentarsi, ma bisogna mobilitare pragmaticamente le energie professionali necessarie perché cambi la macchina pubblica e si attui la riunificazione infrastrutturale immateriale e materiale delle due Italie.
Non passa giorno che l’Europa non ci ricordi che i Recovery Plan debbono rafforzare la coesione sociale e territoriale tenendo conto delle disparità nazionali, regionali e locali. L’impostazione data dal ministro Franco e illustrata in Parlamento si muove perfettamente in questa direzione.
Per nessuna ragione al mondo si dovrà poter dire che non si è fatto quello che si doveva fare nella scuola come nella banda larga, nella sanità come nei treni veloci e nei porti, perché qualcuno non era capace di spendere. Il vaccino dell’economia per un Paese come l’Italia è altrettanto urgente di quello contro il Covid. Anche perché di sicuro iniettarlo è più complicato.
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