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L'aula del Senato

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Tutti chiedono soldi. Tutti pretendono soldi. Nessuno ha una proposta per il Paese che non coincida con la sua cassa. Siamo al silenzio assordante della società civile. I grandi motori della coscienza del Paese dissolti come neve al sole. Hanno lasciato questo compito a quattro talk show che non sono mai elaborazione di idee ma sceneggiate serali dove ogni maschera fa la sua parte. Chi fa Arlecchino. Chi fa Pulcinella. Chi fa Pantalone. Chi fa Colombina.

C’è un grumo di interessi corporativi che tiene bloccato il Paese da almeno vent’anni, ma nessuno se ne occupa. Perché le imprese, il sindacato, la Chiesa, le onnipresenti corporazioni regionali e i loro maître a penser non elaborano un progetto di rinascita del Paese? Perché non lo fanno e lo mettono al servizio di una politica che non ci riesce? Che sopravvive in un mondo tutto suo dove finge di occuparsi di cose vere ma litiga per seggiole e poltrone? Perché non si prendono tutti alla luce del sole le loro responsabilità?

Perché le Regioni pretendono sempre qualcosa ognuna per sé e a volte in coalizione? Perché al posto di dire “mi devi/ci dovete dare questa quota di fondi”, non cominciano a dire “io voglio/noi vogliamo fare questo e sono/siamo in grado di farlo”, ti dimostro che ho gli uomini e le forze per attuare questo progetto? Perché non c’è una presa di posizione della Conferenza episcopale italiana che delinea un progetto di insieme non per la Chiesa ma per l’economia e la società del Paese? Non lo fanno i vescovi perché temono di essere considerati corporativi? Perché hanno paura che qualcuno li rimproveri, dica loro “come vi permettete”? Se sì allora sbagliano, perché la Chiesa, le associazioni cattoliche, il volontariato, hanno il diritto e, oserei dire, il dovere di fare questa cosa. Al di là del pensiero forte di Francesco che indirizza il mondo.

Dove è il sindacato? Qual è la sua proposta per il Paese? Difendere l’impiego pubblico e firmare i contratti con gli aumenti per chi ha il posto sicuro durante una pandemia che rischia di lasciare a casa cinque milioni di lavoratori privati? In quali atti, in quali gesti, con quali proposte, si appalesa il disegno ambizioso dei nostri tempi che regge il confronto con la Conferenza del lavoro di Genova e il coraggio eretico di un Di Vittorio pronto a rinunciare a un pezzo di salario per aumentare il numero dei salari e che riceve il plauso plebiscitario dei lavoratori che si spellano le mani per applaudirlo?

Dove è il mondo delle imprese che per una volta non parla di incentivi, sacrosanti ovviamente quelli per la transizione digitale, ma consegna un documento dove sono indicate le priorità per il Paese, non per le imprese? Dove dicono quello che possono fare loro, diventare più grandi, mettersi insieme, riprendere a tenere a mente l’Italia intera dalle Alpi a Pantelleria, e quello che lo Stato deve fare perché loro facciano bene la propria parte?

Dove sono i Costa, i Valerio, gli Olivetti che ragionavano con la testa delle grandi imprese per le quali il loro Paese veniva prima di tutto? Oggi le grandi imprese private non ci sono più e quelle medie e piccole sopravvissute pensano a chiudere dove possono i loro affari internazionali e lasciano che il Paese muoia provando magari tutte le volte che è possibile a saccheggiarlo restituendo sempre poco o niente. Perché siamo ridotti così in quasi tutti gli ambiti della società lo approfondiremo domani. La realtà è che oggi è il giorno dei pontieri per ricucire tra Conte e Renzi e domani sarà quello del voto e dopodomani di nuovo quello dei pontieri e del Conte ter o quello del governo di unità nazionale.

Noi come giornale abbiamo cercato di fare la nostra parte. Abbiamo documentato perché il Paese è bloccato da venti anni. Abbiamo, numeri alla mano, certificato come il federalismo della irresponsabilità ha sistematicamente tolto ai poveri per dare ai ricchi allargando di anno in anno il solco tra le due Italie nella spesa sociale e in quella infrastrutturale. Siamo arrivati al punto di dare investimenti pubblici nella sanità per venti anni consecutivi a un cittadino emiliano-romagnolo in misura quattro volte superiore a quelli che sono stati dati a un cittadino campano nel silenzio complice di tutti.

Abbiamo fino alla noia ripetuto che il patto scellerato tra la Sinistra Padronale tosco-emiliana e la Destra lombardo-veneta a trazione leghista – che si consuma di anno in anno in un luogo nascosto della democrazia italiana che è la Conferenza Stato-Regioni – tiene in ostaggio la crescita dell’Italia e ha condannato il Nord e il Sud del Paese a essere gli unici due territori europei a non avere raggiunto i livelli pre-crisi del 2008. Tutto tace, purtroppo.

Certo, con la nostra pressione sul collo, si stanno impegnando a fare qualcosina di più negli investimenti pubblici per il Mezzogiorno mischiando risorse e progetti e sudando freddo. Manca totalmente la visione. Manca alla politica come nella società civile, si è liquefatta da tempo nel racconto dei fatti e nel modo di fare informazione soprattutto in tv. Dove si parla di tutto meno che di ciò che conta. Non vorremmo apparire eretici ma oggi Di Vittorio urlerebbe che l’Italia deve recuperare il Mezzogiorno per recuperare se stessa. Noi ci permettiamo di aggiungere che lo deve fare in fretta.


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