Roberto Gualtieri ospite a "Porta a Porta" (Foto Roberto Monaldo / LaPresse)
5 minuti per la letturaUn’espressione colorita con la quale un trader americano spiegò il rimbalzo tecnico di un titolo in una fase ribassista: è proprio come un “gatto morto” che cade da una finestra del grattacielo, a un certo punto rimbalzerà, ma sarà sempre “morto” e proprio per questo continuerà a cadere, nonostante ad un certo punto sia rimbalzato. Il ministro dell’Economia scambia il “gatto morto” del rimbalzo del terzo trimestre dopo l’uragano mai cessato del Coronavirus come l’inizio di una stagione nuova e francamente ci mette paura. Piuttosto che illudere la gente costruendo un castello che non esiste ci spieghi come mai da luglio a oggi non è pronta neppure una bozza concreta di Recovery plan italiano
Siamo al rimbalzo del gatto morto che è un’espressione colorita con la quale un trader americano spiegò il rimbalzo tecnico di un titolo in una fase ribassista. Si espresse più o meno così: è proprio come un gatto morto che cade da una finestra dei piani alti del grattacielo, a un certo punto rimbalzerà, ma sarà sempre “morto” e proprio per questo continuerà a cadere, nonostante ad un certo punto sia rimbalzato. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, scambia il “gatto morto” del rimbalzo del terzo trimestre dell’economia italiana dopo l’uragano mai cessato del Coronavirus come l’inizio di una stagione nuova e francamente ci mette paura. Anche perché la fine dell’anno è vicina e si capirà presto come stanno le cose. Se perde credibilità lui, perde credibilità l’intero Paese.
Purtroppo, le cose stanno all’esatto opposto del suo ottimismo di maniera. Dopo il rimbalzo, l’Europa intera e l’Italia in particolare, per sue fragilità antiche che si accentuano in questa fase, rischiano di avere un problema grosso. L’accanimento terapeutico positivo propagandato fuori dalla realtà non crea fiducia, anzi al contrario aumenta i risparmi forzosi. Perché appare chiaro a tutti che le previsioni per l’Europa e, a maggior ragione, per l’Italia non sono rosee né potrebbe essere diversamente.
Il governo di Madrid ha chiesto di non lasciare la capitale e ha chiuso sei milioni di persone nelle loro abitazioni da un capo all’altro della Spagna. Parigi brucia un primato al giorno per numero di contagiati e sforna piani di emergenza come noccioline. L’Olanda ha un disastro in casa. Il Portogallo ha chiuso. Diciamo le cose come stanno. L’Unione europea è tenuta in piedi dalla manifattura tedesca, i servizi hanno ripreso molto a fatica, non è nemmeno possibile il confronto con l’anno scorso. I voli sulle rotte internazionali sono stati ridotti drasticamente e ciò nonostante gli aerei viaggiano mezzi vuoti, i trasporti ferroviari veloci sono in forte difficoltà. Per turismo, commercio, artigianato il rischio è che dopo avere saltato l’estate si perda anche l’inverno.
La verità è che la ripresa del terzo trimestre è il frutto della politica monetaria turbo espansiva e non è corretto costruire su di essa un castello che non esiste così come non è corretto ritenere che questo super bazooka ci possa essere per sempre. Se Gualtieri ignora, di fatto, tutte queste evidenze, vuol dire o che non capisce niente e allora è meglio davvero che si ritiri, oppure – ipotesi più probabile – che si sta giocando un ruolo politico ritenendo di potere trasferire così dosi di fiducia contagiose, nonostante tutto e contro tutti. Anche in questo caso ovviamente sbaglia.
Ricorda le dichiarazioni di grande ottimismo di Berlusconi negli anni della Grande Crisi finanziaria, ma qui oggi a differenza di allora non ci sono i ristoranti pieni, sono tutti di nuovo vuoti o mezzi vuoti.
Anche i teatri, i cinema, gli eventi di ogni tipo, tutto si è appena mosso, non c’è stata e non ci potrà ancora essere una vera ripartenza. Non parliamo neppure del lavoro privato che vive la stagione più dura di una grande cassa integrazione comune e vive nell’incubo che questa fase sia la premessa di un grande licenziamento di massa. Questa, non altre, è la realtà.
Allora, è evidente che non si possono mettere sul conto del governo le cifre della grande crisi, ma è possibile che ci si continui a trastullare con la comunicazione conveniente e da luglio a oggi non sia pronta neppure una bozza di Recovery plan italiano? Ma come: siamo il Paese più fragile d’Europa, quello che più degli altri ha bisogno come il pane di questi soldi per fare cose di sviluppo a partire dal Sud, e siamo invece più indietro di tutti in tale decisivo lavoro? In Europa rallentano di loro, ma altrimenti noi come avremmo fatto? Ci siamo almeno resi conto dei guasti prodotti dai super incentivi per l’acquisto di monopattini e biciclette? Abbiamo o no la percezione che sta cominciando a passare una mentalità che il governo deve dare i soldi per tutto a tutti? Esempio: io devo cambiare la poltrona in barberia, se dà gratis il monopattino non vedo perché non mi deve pagare la mia poltrona nuova. Alla Bce c’è chi pensa che le cose andranno un po’ meglio e chi pensa che le cose andranno un po’ peggio, ma tutti ritengono che Paesi come l’Italia devono pensare giorno e notte ai soldi europei e, ancora prima ancora di più, all’attuazione dei progetti di sviluppo con quei soldi. Per l’Italia suona l’ultima campana e il governo Conte deve capirlo. Il progetto Paese si chiama Mezzogiorno perché questo è il problema competitivo italiano e perché taglia trasversalmente tutte le missioni indicate dall’Europa. Il Sud, di suo, prima di essere “venduto” alla Tunisia, tra un comizio teatrale e l’altro, si deve svegliare con i fatti, non con i lanciafiamme. Serve l’attuazione, non illudere la gente e promettere l’ira di Dio mentre si sta tirando a campare. Perché poi arriva la mazzata.
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NEL 2011 ERANO PIENI I RISTORANTI DEI RICCHI E DEI BENESTANTI
All’inizio di novembre del 2011, dopo il G20 di Cannes (raccontato dal direttore Napoletano nel suo libro Il corvo nero e il cavaliere bianco, che io sottopongo ad esame critico nel mio saggio sulla XVI legislatura), in Italia si era già al terzo anno di crisi. E si era da poco concluso il varo della pesantissima cura da cavallo decisa da Berlusconi su “richiesta” pressante dell’UE (Consiglio, Commissione e BCE): ben 209 miliardi cumulati cifrano i tre DL 78 del 31.05.2010 (62 mld), 98 del 06.07.2011 (92 mld) e 138 del 13.08.2011 (65 mld), a valere per un quadriennio (ma le misure strutturali valgono tuttora). Il che dimostra che Berlusconi, contrariamente a ciò che afferma Brunetta, accettò tutti i diktat dell’UE, nella speranza di salvaguardarsi la poltrona.
Ma la cura da cavallo fu inflitta da Berlusconi e Tremonti iniquamente in grandissima parte al ceto medio e a quello popolare, e perfino ai poveri col taglio crudele del 90% della spesa sociale delle Regioni e dei Comuni.
Invece, ai percettori di redditi privati (ad eccezione dei produttori e distributori di farmaci e dei farmacisti in quanto fornitori del SSN), anche miliardari (i primi tre erano Ferrero, Del Vecchio e Berlusconi) o milionari (come Tremonti), in concreto non venne chiesto – letteralmente – neppure un centesimo. Cioè i pesanti sacrifici vennero imposti dal Governo Berlusconi-Bossi-Tremonti-Fini ai non ricchi e perfino ai poveri, quasi nulla ai miliardari e ai milionari.
Infatti, il contributo di solidarietà, varato in due DL separati, prima sulle retribuzioni elevate pubbliche e poi su quelle private e sulle pensioni, fu presumibilmente congegnato apposta male – sarebbe bastato metterli assieme – per farlo ritenere costituzionalmente illegittimo, come poi avvenne con le sentenze costituzionali nn. 223/2012, 241/2012 e 116/2013.
Ragion per cui i ristoranti e gli aerei erano riempiti solo dai ricchi e dai benestanti.
Però, come giusta nemesi, la sua speranza di salvarsi la poltrona risultò vana, e dopo pochi giorni Berlusconi fu sostituito da Monti, che, nonostante la vulgata ormai mondiale, completò soltanto l’opera nella misura del 19% del totale di 330 miliardi (63 mld cumulati).
Dopo, con i suoi potentissimi megafoni, l’apparato (dis)informativo berlusconiano e del Centrodestra ha addossato tutta la colpa dei sacrifici e della recessione sul cattivissimo Monti (che gli ha dato una mano con le sue millanterie), e 60 milioni di Italiani lo hanno creduto, inclusi quasi tutti i docenti di Economia. E incluso perfino il direttore Napoletano, che all’epoca dirigeva il Sole 24 ore ed ebbe un ruolo nella caduta di Berlusconi con i suoi editoriali. E poi il mondo intero, inclusi premi Nobel di Economia.
Un vero caso di scuola.