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Questo giornale ne ha fatto una bandiera dal suo primo giorno di uscita. Nessuno potrà mai convincerci che i diritti di cittadinanza sono garantiti quando se nasci a Reggio Calabria ricevi 19 euro di spesa pubblica per gli asili nido, se vieni al mondo a Altamura, nella Murgia pugliese, di euro “addirittura” te ne toccano zero mentre appena esci dalla culla in Brianza hai la fortuna di trovare ai tuoi piedi un assegno di tremila euro.
Abbiamo denunciato questa vergogna italiana e gli amministratori coraggiosi di alcuni Comuni del Sud si sono rivolti al Tar del Lazio e hanno avuto ragione. La risposta del Governo “all’ordinanza istruttoria” dei giudici amministrativi è stata quella di mettersi subito in regola. Oggi i 3.300 bambini di Altamura non ricevono più zero euro per gli asili nido, ma 688 mila euro. La strada della parificazione dei diritti è ancora lunga, ma il primo passo è stato compiuto e lo rivendichiamo come un risultato di questo giornale. Tutto ciò è stato possibile perché i Comuni non sono usciti dalla trappola della spesa storica che privilegia i ricchi ai danni dei poveri, ma almeno il Fondo di perequazione previsto dalla legge Calderoli sul federalismo fiscale lo hanno fatto.
Nella Conferenza Stato-Regioni, la “terza Camera” dello Stato, i galli delle Regioni del Nord e del Sud alzano tutti la cresta e trattano lo Stato italiano come la gallina che deve fare ogni giorno l’uovo dei loro desideri, quindi non uno ma venti, si rifiutano ostinatamente di varare anche i Fondi di perequazione sociale e infrastrutturale. Siamo alla vergogna delle vergogne. Non si tratta di chiedere risarcimenti ma di attuare l’ineludibile operazione verità e sulla base di questa costruire il Progetto Paese che si identifica con la riunificazione delle due Italie.
Credetemi: non possiamo andare avanti con il miope egoismo dei Governatori della Sinistra Padronale tosco-emiliana in combutta con quelli della Destra a trazione leghista lombardo-veneta e lo sceriffo campano che prima ha chiuso la sua regione per tutelare la sicurezza senza che il Covid vi fosse e che ora che il Covid c’è davvero ha spaventato così tanto i suoi concittadini che le file per fare il tampone rischiano di trasformarsi in un grande focolaio a cielo aperto.
Liberiamo il Paese da questi gendarmi che vanno peraltro ognuno per i fatti suoi.
Oggi apriamo il giornale con un’esclusiva di Giuliano Cazzola (LEGGI) che documenta, dati alla mano della relazione annuale della Corte dei Conti, il pesantissimo effetto redistributivo che ha la spesa previdenziale perché le pensioni più pregiate sono, come è noto, al Nord e perché permane il “premio” del calcolo retributivo per quote importanti di ogni storia lavorativa. Ora sappiamo che con quota 100 paghi 673 euro di contributi e ricevi 2033 euro. La più grande fake che si può commettere parlando di spesa pubblica territoriale è togliere il peso di questo smaccato privilegio dal computo. Non importa se lo si fa per servilismo nei confronti di chi si permette di liquidare la questione sostenendo che le pensioni si pagano con i contributi (questa sì che è una fake) e, quindi, vanno dove c’è più lavoro ben retribuito o se lo si fa per guadagnarsi patenti di neutralità dicendo il falso.
Ovviamente dopo avere detto che sono “falsi” i dati dei Conti Pubblici Territoriali si può dire che sono “falsi” anche quelli della Corte dei Conti. Così, però, non si costruisce il dialogo tra Nord e Sud che noi vogliamo per capire come stanno davvero le cose e fare ripartire l’Italia più coesa e finalmente riunificata, ma si lavora per consegnare il Paese tutto a un destino greco. Nessun interesse e nessuna forma di narcisismo possono consentire di sporcare l’operazione verità.
La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
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La battaglia contro il riparto iniquo, sperequato e incostituzionale basato sulla spesa storica, che favorisce il Nord e penalizza il Sud, è sacrosanta. Ma occorre correggere in parte il tiro sulle pensioni.
In Italia vige il sistema a ripartizione, vale a dire che i contributi correnti pagano le pensioni correnti, pertanto la questione risolutiva è capire se i contributi sono sufficienti a finanziare gli assegni pensionistici.
L’equivoco iniziale che va chiarito è che viene utilizzato dall’ISTAT, in forza delle regole statistiche definite in sede europea per tutti i 27 Paesi UE, un criterio di classificazione della spesa pensionistica che mette insieme la previdenza e l’assistenza.
Come ho già scritto anche in calce all’articolo del prof. Cazzola (https://www.quotidianodelsud.it/laltravoce-dellitalia/le-due-italie/2020/09/18/a-riposo-in-anticipo-e-sistemi-premiali-le-pensioni-regalate-abitano-al-nord/ ) e a quello del prof. Giannola (https://www.quotidianodelsud.it/laltravoce-dellitalia/le-due-italie/2020/09/18/quei-privilegi-differenziati-che-come-la-bussola-indicano-sempre-il-nord/ ), va considerato che tutte le cifre della spesa pensionistica italiana, sono al lordo di tre voci spurie, in primo luogo le imposte, poi l’assistenza e il TFR, per un ammontare complessivo di circa 90 mld. Come conferma lo stesso INPS esponendo i dati relativi agli assegni pensionistici netti erogati (2018).[1]
Al netto delle imposte e dell’assistenza, non c’è un disavanzo pensionistico ma un avanzo, come confermano, tra gli altri, Felice Roberto Pizzuti e Alberto Brambilla.[2] Ne consegue che non è la fiscalità generale a integrare la scopertura della parte retributiva delle pensioni (essa ripiana soltanto la spesa assistenziale), ma i contributi versati da tutti i lavoratori attuali, e quindi anche da quelli meridionali, i quali, generalmente, vanno in pensione di vecchiaia (ora 67 anni, deciso dalla severa Riforma SACCONI), e non quella anticipata (ex anzianità).
Conclusione: (i) è vero che i lavoratori meridionali contribuiscono a finanziare la quota retributiva, non coperta dai contributi, della spesa pensionistica, in gran parte erogata al Nord; (ii) non è vero che sia la fiscalità generale a finanziarla; (iii) anche in questo caso c’è un travaso di risorse dal Sud al Nord.
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[1] «Le pensioni vigenti al 1° gennaio 2019 sono 17.827.676, di cui 13.867.818 di natura previdenziale (vecchiaia, invalidità e superstiti) e le restanti 3.959.858 di natura assistenziale (invalidità civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali). Nel 2018 la spesa complessiva per le pensioni è stata di 204,3 miliardi di euro, di cui 183 miliardi sostenuti dalle gestioni previdenziali. È quanto emerge dall’Osservatorio sulle pensioni erogate dall’INPS che analizza i dati del 2018.»
Si tenga presente che “ufficialmente” secondo l’ISTAT la spesa pensionistica 2018 ammonta a 293 mld, 16,6% del PIL https://www.ilsole24ore.com/art/pensioni-istat-2018-spesa-sale-293-miliardi-ACSFn8BB.
[2] Il professor Felice Roberto Pizzuti, docente di Politica Economica e di Economia e Politica del Welfare State presso la Facoltà di Economia della Università di Roma «Sapienza», nel suo articolo «Pensioni: una bomba sociale pronta a esplodere», evidenzia: «L’analisi storica dei bilanci del sistema pensionistico mostra che le consistenti riforme della prima metà degli anni ’90 furono più che sufficienti a recuperare gli squilibri finanziari accumulati negli anni precedenti. Già dal 1996, il saldo annuale tra le entrate contributive e le prestazioni previdenziali al netto delle ritenute fiscali è tornato ininterrottamente in attivo e nel 2016 è stato di circa 39 miliardi, pari al 2,3% del Pil (Tab. 1).»
Il dottor Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali, in un suo articolo pubblicato sul Corriere della Sera e intitolato «Numeri corretti all’Europa per tutelare i veri pensionati», scrive: «I dati – ● La spesa per le pensioni per il 2016 è pari a circa 218 miliardi mentre i contributi sono pari a 197 miliardi: il deficit è quindi di 21 miliardi. Inoltre, se alle prestazioni togliamo le integrazioni al minimo e le maggiorazioni sociali (l’ex milione al mese di Berlusconi) che pure l’INPS mette tra le spese assistenziali, e senza considerare la quota assistenziale per i dipendenti pubblici pari a 8,1 miliardi, la spesa si riduce a meno di 208 miliardi. ● Ma quanto arriva davvero nelle tasche dei pensionati italiani? Poiché sulle pensioni, a differenza di altri paesi dell’Unione Europea, gravano le imposte che per il 2016 sono stati pari a quasi 50 miliardi, la spesa vera si riduce a poco più di 150 miliardi che rapportato ai contributi pagati dalla produzione (aziende e lavoratori) evidenzia un saldo positivo di oltre 30 miliardi.»