I ministri Roberto Gualtieri e Paola De Micheli
6 minuti per la letturaIl Sud continua a essere abolito dalla spesa pubblica produttiva. La stima di crescita obbligata che consente di fare scendere il debito espone tassi di sviluppo che se vai indietro negli ultimi venti anni di storia italiana fai fatica a trovarli. È appesa al nulla perché non c’è un programma di investimenti, non si sa chi decide e chi li fa. E se scattano i progetti panchina sono tutti al Nord. Sulla rete digitale siamo finiti in un pantano senza precedenti dove di tutto ci si occupa meno che di quello che serve. Il presidente Conte ha la rotta giusta e può ancora farcela ma a patto che spariscano gli elenchi di balle della De Micheli e che prenda lui in mano la regia della politica economica
Il Mezzogiorno continua a essere abolito dalla spesa pubblica produttiva e la sua classe dirigente continua a stare zitta preferendo ognuno trattare qualche briciola per sé e non tutti insieme esigere il molto di più dovuto non a ognuno di loro ma a tutti. Il miope egoismo dei potentati regionali del Nord e la rassegnazione incapace degli sceriffi del Sud allarga il solco del divario interno italiano. Adesso il re è nudo. La tabellina della “verità” uscirà ufficialmente lunedì ma il più ineffabile dei ministri dell’economia della storia recente, si chiama Roberto Gualtieri, la sta già facendo circolare a mani basse. Per potere scrivere nella tabellina che nel 2022 e nel 2023 il debito pubblico italiano comincerà a scendere si favoleggia di 45 miliardi di extra prodotto interno lordo e di investimenti pubblici che raddoppiano dal 2 al 4%. D’altro canto solo così possiamo fare una tabella così bella perché solo questa fortissima crescita potrà fare scendere già dal 2022 il debito e ancora un po’ di più l’anno dopo e, quindi, scriviamo che avremo una crescita reale nel 2021 del 6%, nel 2022 del 3,8% e nel 2023 del 2,5%.
Sorvoliamo per carità di patria sul miracolo del 130% del debito/pil in dieci anni. Queste stime sono appese a che cosa? Come faremo a realizzarle? Siccome i fondi del Recovery Fund ammesso che esistano arrivano dopo, noi nel frattempo che facciamo? Non lo sappiamo, rispolveriamo i progetti panchina della vecchia Dc che appartengono a una stagione della politica che si fa fatica a ricordare, ma fa niente. Noi intanto facciamo un documento di finanza pubblica con cui annunciamo che facciamo questi risultati assiomaticamente. Diciamo le cose come stanno: partiamo dalla stima di crescita obbligata perché è quella che consente di fare scendere a parole il debito. È una stima ambiziosissima perché espone tassi di sviluppo che se vai indietro negli ultimi venti anni di storia italiana fai fatica a trovarli e è appesa al nulla perché non c’è un programma di investimenti con questa o quella opera, non si sa chi decide e chi le fa, non si sa che tipo di contrattazione si farà con l’Europa e chi la gestirà. Non si sa un tubo.
Allora vogliamo essere chiari. Se tutto va bene siamo rovinati. Il problema competitivo italiano si chiama Mezzogiorno e non si fa nulla. Siamo oggettivamente sgomenti davanti al servilismo di una informazione cosiddetta di qualità che continua sfornare interviste al presidente del Consiglio e ministri dove il Mezzogiorno è sempre al primo posto di tutto e invece è all’ultimo senza un minimo di contraddittorio. I numerini di fantasia della tabellina italiana dell’Economia non hanno nessuna possibilità di realizzarsi ma anche quel poco in più di crescita che si dovesse fare avverrebbe con i cosiddetti progetti panchina che sono tutti al Nord tipo nodo di Firenze, Pedemontana Veneta, e così via.
L’elenco di balle dei 130 miliardi dell’Italia veloce della De Micheli rimbalza di giornale in giornale, ma ha la caratteristica di non lasciare a terra nel Mezzogiorno d’Italia nemmeno uno dei fantomatici 130 miliardi. Sulla rete digitale che in mano a un soggetto pubblico a guida Cdp permette di fare finalmente gli investimenti nel Mezzogiorno e nelle aree interne del Nord, siamo finiti invece in un pantano senza precedenti dove tra francesi, americani, conflitti di interesse, governance da definire, di tutto ci si occupa meno che di quello che serve. L’unica cosa seria che si poteva fare e, cioè, dire con chiarezza che tutte le risorse del Next Generation Eu a fondo perduto andranno al Sud per infrastrutture di sviluppo tipo alta velocità ferroviaria, porti, retroporti, e così via mentre quelle a tassi di favore andranno al Nord, ci si guarda bene dal dirlo e tanto meno dal farlo. Ad abundantiam sconosciuti professori di diritto tributario dell’Università di Trento, la città più foraggiata d’Italia, continuano a ripetere che la matematica è un’opinione per negare ciò che è sotto gli occhi di tutti e, cioè, che la spesa sociale e infrastrutturale pubbliche hanno due pesi e due misure come certificano in modo inequivocabile i Conti Pubblici Territoriali della Repubblica italiana. Per reti e infrastrutture a un cittadino emiliano-romagnolo va tre volte di più che a un cittadino campano. Per la sanità e la scuola i cittadini del Nord ricevono pro capite pressoché il doppio di quelli del Sud.
Addirittura stimati economisti che hanno passato una vita a urlare nelle orecchie di tutti che le pensioni fuori controllo fanno saltare il debito italiano ora raccontano la favoletta che le pensioni di anzianità del Nord sono pagate con i contributi e non con i contributi accompagnati da un assegno della collettività che vale decine di miliardi l’anno. Tutto questo senza considerare che in quel dato ci sono l’effetto certo della mancata coesione frutto proprio delle decennali indebite sottrazioni di risorse al Sud e la persistente volontà di ignorare che i fondi europei vecchi e nuovi vengono dati all’Italia perché si traducano in spesa pubblica di sviluppo aggiuntiva per il Sud non in minima parte sostituiva di ciò che viene tolto in termini di risorse ordinarie. Siamo alla solita ipocrisia italiana e al capolinea della storia. La farsa del Sud che vive sulle spalle del Nord non fa ridere nessuno dopo che tutti sanno che è vero l’esatto contrario. Quando si capirà che solo facendo crescere il Mezzogiorno il Nord potrà puntare a una crescita ambiziosa sarà sempre troppo tardi. La riunificazione infrastrutturale e sociale delle due Italie serve quasi più ai ricchi che ai poveri. Serve all’Italia se vuole rimanere rispettata nel novero delle grandi economie industrializzate.
La sensazione è che si fa fatica a uscire dalla lunga stagione del miope egoismo del Nord e della rassegnazione incapace del Sud. Ai tempi del Coronavirus e della Grande Depressione mondiale non c’è più spazio per questi giochetti. Conte, che anche ieri alla Fiera del Levante coglie il dato strategico che l’Italia non può essere una potenza mondiale se non recupera il Sud e rivela la solita determinazione, deve però capire che chi gli sta intorno non lo aiuta perché si muove nel solco degli interessi storici lobbisti e divisivi. Soprattutto, deve capire che non loro ma lui verrà considerato il responsabile del disastro di cui loro pongono le basi ogni giorno con i propri comportamenti.
Può ancora farcela, Presidente, ma a patto che spariscano gli elenchi di balle della De Micheli e prenda lei in mano la regia della politica economica.
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