Fabio Panetta
4 minuti per la letturaIn Italia mancano le persone che lavorano sui numeri. Ci sono enclavi importanti, la Banca d’Italia prima di tutte, ma il metodo comparativo-competitivo fa fatica a guadagnare terreno nella pubblica opinione e, tanto meno, a dettare l’agenda della politica. Che preferisce glissare dicendo spesso senza impallidire che non capisce di numeri quasi che possa esistere la politica senza misurarsi con le regole algebriche dell’economia e della finanza se vuole provare a soddisfare i bisogni delle persone e favorire la crescita delle attività produttive.
La verità è che sfuggendo ai numeri e a quello che raccontano si possono “vendere” molte favole interessate e continuare a fare clientele e soprusi di ogni tipo. La domanda da un milione di punti è una sola: perché non cresce l’Italia? La risposta è secca: ha smarrito il suo Mezzogiorno. Poi ci sono tante altre sotto-domande: perché non fa le riforme strutturali? Come è stato possibile abolire il Mezzogiorno dalla spesa pubblica produttiva? Perché continua a imperare una pubblica amministrazione che sforna leggi inattuabili e non risponde a nessuno del suo operato? Perché la giustizia tutta – penale, civile, amministrativa, contabile – anche se ha la stragrande maggioranza dei magistrati che sono persone di assoluto valore, non riscuote più la fiducia dei cittadini e è ritenuta in Europa la grande malata italiana?
A suonare la sveglia in casa nostra è stato Fabio Panetta, membro del Board della Banca Centrale europea e ex direttore generale della Banca d’Italia, quando ha detto chiaro e tondo che è difficile immaginare il futuro di un Paese che ha un terzo della sua popolazione con un reddito pro capite pari alla metà degli altri due terzi. Sono almeno due anni che Panetta documenta con rigore assoluto i divari territoriali e, con la forza dei numeri, mette la classe dirigente nazionale davanti alle sue responsabilità. Questo giornale dal primo giorno di uscita ha condotto l’operazione verità che è stata certificata dalle principali istituzioni economiche, statistiche e contabili del Paese e è stata consacrata in Parlamento dalla commissione di indagine parlamentare nata dopo le nostre inchieste giornalistiche. Continuare a tagliare drasticamente la spesa sociale e azzerare gli investimenti produttivi nel Mezzogiorno non è più possibile se l’Italia vuole rimanere nel novero dei Paesi industrializzati.
Se c’è realmente questa consapevolezza il Recovery Fund può procedere in Italia molto liberamente altrimenti opererà con molte difficoltà. Alla fine sanno tutti che anche i leader austriaci e olandesi fanno la faccia feroce perché devono pagare uno scotto alle loro opinioni pubbliche, ma hanno capito benissimo che è interesse comune sostenere l’Italia e mantenere vivo e vegeto uno dei maggiori Paesi europei. Serve a noi come a loro.
Per tali ragioni di fondo solo noi possiamo rendere difficile questo cammino chiedendo quello che non si può avere e dimostrando la solita incapacità di avere chiari gli obiettivi, di programmare bene la spesa e di attuarla nei tempi prestabiliti. Se dovesse succedere anche questa volta è bene sapere che avremo perso la più grande opportunità per fare le riforme, riunificare le due Italie e stabilire un clima nuovo in Europa. Non ne posso più di chi storce ancora il naso al solo sentire la parola Mezzogiorno, ma è bene che gli amministratori regionali del Nord e del Sud e l’intera classe di governo si rendano conto che non c’è una carriola che si alza e fa cadere sull’Italia 200 e passa miliardi. Questi quattrini arriveranno un pezzo alla volta a fronte di progetti di sviluppo chiari e attuati nei tempi concordati. Tutti vogliono che al centro ci siano le infrastrutture di sviluppo del Mezzogiorno e che si facciano per davvero.
Se ne discute da un mese e ogni persona di buon senso avrebbe immaginato che almeno da tre settimane un team di tecnici qualificati sia all’opera per definire non la rubrica del telefono dei cantieri, stile ministra De Micheli, ma un piano organico con procedure, risorse e tempi certi per aprire davvero quei cantieri. Nessuno di chi ci governa può andare in vacanza nemmeno per un giorno se non ci dice chi sta lavorando al suo posto e quale sarà il cronoprogramma che porterà all’esame del Parlamento. Anche questo fa parte di quella legge dei numeri verso la quale l’Italia ha un’allergia da cui deve assolutamente guarire. La bella intervista all’ex ministro dei Beni culturali e direttore generale della Treccani, Massimo Bray, con cui apriamo questa edizione settimanale, ci racconta di una rinascita del Mezzogiorno alla voce cultura che interpreta la rivoluzione digitale in ogni suo ambito e diventa il simbolo concreto della rinascita dell’Italia. Dietro la sfida vinta di Pompei e ignorata da troppi c’è l’intelligenza politica delle parole di Bray che sono il programma di un Paese che fa di conto, utilizza bene i fondi europei e sa guardare lontano. L’Italia europea che ci piace.
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