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I Benetton sono fuori, ma lo Stato si “compra” i loro debiti in Aspi e li colloca sulle spalle curve della Cassa Depositi e Prestiti. Il grande fallimento del grande capitalismo del Nord fa rinascere le Partecipazioni Statali. Guai però se si continua a lottizzare scartando uomini di valore
La deriva argentina dell’Italia è stata evitata. All’ultima curva e a caro prezzo. Siamo rimasti nell’economia di mercato e la credibilità non è caduta in frantumi. Non c’è stata la revoca della concessione ai Benetton. Non c’è stato il commissariamento di Autostrade per l’Italia (Aspi). Non c’è stato l’intervento in stile peronista fuori da ogni regola che avrebbe fatto escludere l’Italia definitivamente dal portafoglio degli investitori globali.
I Benetton sono fuori, ma lo Stato si “compra” i loro debiti in Aspi, li colloca sulle spalle curve della Cassa Depositi e Prestiti, e la famiglia di Ponzano Veneto li può “deconsolidare” da Atlantia. Che è la holding di controllo ancora in loro mani, ha in pancia la prima azienda di costruzioni tedesche e molto altro, e soprattutto vola in Borsa con una crescita superiore al 25%. Sul mercato sanno fare di conto e hanno capito che i Benetton incasseranno anche la vendita delle azioni agli amichetti di Cdp e quando Aspi sarà quotata e dovranno uscire totalmente anche l’ultimo pezzo di azioni lo collocheranno sul mercato e avrà un prezzo di vendita e di incasso. Insomma: l’esproprio populista prima delle sentenze non c’è stato e il mercato sconta con guadagno ciò che aveva perso per le parole in libertà che lo accreditavano.
La punizione politica dei Benetton c’è stata e chi scrive, indipendentemente da quello che sarà l’esito delle vicende giudiziarie legate alla tragedia di Avellino e al crollo del Ponte Morandi, non ha dubbi che questo risultato sia il frutto avvelenato dell’ultimo fallimento dei Grandi Privati di questo Paese. Bisogna dire le cose come stanno. Dal nocciolino degli Agnelli alla razza padana di Colaninno&C la privatizzazione delle telecomunicazioni pubbliche italiane mette agli atti che un patrimonio mondiale costruito dagli uomini della Grande Iri non di quella che è venuta dopo, è stato dilapidato rovinosamente dalle grandi famiglie del capitalismo privato italiano. Sui capitani coraggiosi di Alitalia basta solo la citazione per capire di che cosa stiamo parlando.
Quello che è successo in Autostrade per l’Italia con i Benetton ne è la riprova finale: un management inadeguato ha espresso al meglio la cultura della rendita e al peggio la cultura degli investimenti in sicurezza e di strategia industriale. Anche questa volta non cambia il copione dei Soliti Noti: i Benetton vengono estromessi certo, ma potranno dire che si sono tolti un problema e hanno avuto pure tanti soldi. Questa è l’Italia di ieri e di oggi che non cambia mai.
A questo punto, però, viene il bello. Potremmo dire che il grande fallimento del grande capitalismo del Nord fa rinascere di notte, come acutamente osserva Patrizio Bianchi, le Partecipazioni Statali.
Si impone allora di essere molto chiari: senza un nuovo Alberto Beneduce e senza un nuovo Pasquale Saraceno, senza manager del livello dei Sinigaglia, dei Reiss Romoli e dei Mattei, non si esce dal nuovo ’29 e non avremo la nuova ricostruzione economica dell’Italia, come avvenne nel dopoguerra quando si trasformò un Paese agricolo di secondo livello prima in un’economia industrializzata poi in una potenza economica mondiale. Al massimo faremo di Cassa Depositi e Prestiti la “discarica” di un sistema che non cresce pronta a accogliere dentro di sé tutto ciò che non funziona facendone una conglomerata di cose diverse che esprime un portafoglio di perdite e non un nuovo potere direttivo di politica industriale e di coordinamento e rafforzamento delle sue grandi reti.
Grazie a scelte avvedute consapevoli come è accaduto per Terna e ancora prima nel tempo con Eni, Snam, Enel, si è imboccata la strada della public company che ha dato soddisfazioni e costituisce ciò che resta della grande impresa italiana. Per errori gravi e ripetuti in Telecom-TIM e in Aspi da parte dei grandi privati, ci si avvia a arrivare allo stesso approdo per le reti della fibra e delle autostrade. Siamo a favore delle società a capitale pubblico di mercato a patto che la politica non lottizzi più e non scelga per i loro vertici persone che rispondono ai partiti, ma uomini di solida cultura industriale e capaci di essere riconosciuti e apprezzati dai mercati. Quando sentiamo la musica della solita lottizzazione per cui la Sinistra Padronale ha già il nome del suo amministratore delegato di Aspi e ai Cinque Stelle si rifila il nuovo presidente di campanello cominciamo a tremare. In un Paese che deve rifondare la sua macchina pubblica e è alle prese con la Grande Depressione mondiale non è questo che serve.
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