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Purtroppo avete fatto anche male. Pochi spiccioli di soldi veri, sussidi a pioggia, sconto Irap e proroga delle tasse, ma nessuno protegge e rilancia l’economia reale. Vincono lo Stato nelle imprese private e la macchina burocratica della complicazione che si allarga e blocca tutto. Così rischiamo di diventare il grande malato d’Europa.
Più di un mese di vertici notturni, riunioni di maggioranza, psicodrammi collettivi per partorire il maxi decreto dei grandi numeri e del poco a tutti in mano alla macchina burocratica più improduttiva che la storia ricordi. Arriviamo per ultimi in Europa ma in compenso, dopo lunghissima meditazione, abbiamo scelto di imboccare il binario morto dei sussidi a pioggia e dello Stato padrone assistenziale. Uno Stato che non è in grado né di disporre bonifici bancari e postali né di garantire la cassa integrazione in tempi utili, ma allo stesso tempo sa solo spostare le scadenze delle tasse e pretende di entrare nelle piccole imprese e dettare le regole a chi ha lavorato una vita per rendere grande questo Paese.
Non ci siamo sottratti a nessuno dei riti ideologici che appartengono alla politica delle parole e dell’incompetenza. Abbiamo raccolto tutti gli avanzi di magazzino delle marchette ministeriali mettendo uno spicciolo su ogni clientela possibile. Quasi sempre pubblica. Abbiamo più o meno consapevolmente condotto il treno italiano sul binario morto dei sussidi e dello Stato Padrone e abbiamo spostato le tasse per preparare al meglio la tempesta perfetta di settembre. Ha vinto ancora una volta la burocrazia. Anzi, ha vinto come non aveva mai vinto prima. Anche perché era in campo da sola a causa della ormai nota debolezza di personalità del ministro del Tesoro, Roberto Gualtieri.
Non c’è modo migliore per non proteggere l’economia reale e mettere fuori gioco anche ogni barlume di sana discussione sullo Stato imprenditore che non è lo Stato Padrone. Confondere i Latini, gli Arcuri, i Palermo con i Sinigaglia, i Fabiani, i Bernabei dimostra solo lo stato di confusione in cui è finita la politica italiana e di cui questa composita maggioranza (per non parlare dell’ideologismo di buona parte dell’opposizione) è la naturale espressione. Siamo così nel pallone, anestetizzati dalla nostra paralizzante incapacità, che non riusciamo nemmeno a muovere un sopracciglio di fronte alle lucide esortazioni dei grandi italiani che hanno fatto l’Europa.
Per capire che bisogna spendere tanto, bene e subito, e che pertanto bisogna fare debito, nemmeno la parola di chi è oggi nel mondo la faccia dell’Europa, Mario Draghi, è servita a qualcosa. La riflessione analitica dell’ex Presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, che propone di interrogarsi sul ruolo dello Stato in economia coinvolgendo Cdp o il ministero con una squadra specializzata di politica industriale (per salvare l’economia non per fare marchette) non è stata nemmeno degnata di una reazione da parte della politica. Diciamo le cose come stanno. Manca totalmente la regia della politica economica.
Di burocrazia in burocrazia di soldi veri non se ne vedono e il numero delle aziende che chiudono è destinato a aumentare vorticosamente. Abbiamo una squadra di governo che gioca nel campionato di serie b e noi abbiamo bisogno di una formazione da Champions league. Il peso di questa fase storica appare troppo grande per le spalle del ministro Gualtieri e del suo fidato direttore Rivera. Questa è la cruda realtà. Prima se ne prende atto meglio è.
Nel frattempo non possiamo che sperare che il Paese reale resista a tutto ciò e non precipiti – sospinto – nel burrone. Perché se chi governa continua a non cacciare i soldi dovuti a fondo perduto e consente a banche e burocrazie di ignorare sistematicamente il tessuto produttivo delle piccole imprese e dell’intero Mezzogiorno, il rischio che l’Italia diventi il Grande malato d’Europa promette di trasformarsi in una certezza.
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