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Alessandro Rivera

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Hanno costretto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a chiedere scusa agli italiani perché gli aiuti a troppi arrivano in ritardo e i finanziamenti manco a parlarne. Noi siamo stati chiari dal primo giorno mentre i giornali cosiddetti di qualità suonavano la fanfara dei 400 miliardi. Abbiamo titolato: non è un salva-imprese, ma un salva-banche (LEGGI), non arriverà il becco di un quattrino. Avevamo sbagliato per difetto: il decreto liquidità non solo si è rivelato, come previsto, un perfetto “decreto illiquidità”, ma non riesce neppure a essere un salva-banche per l’imponente architettura di passaggi burocratici che rende difficile alle banche perfino scaricare debiti in sofferenza per la parte tutelata con la garanzia dello Stato che è al 90%.

Quella mente perversa che nemmeno di fronte alla Grande Depressione mondiale ha voluto dare la tutela penale al 100% e la sospensione della segnalazione alla Centrale Rischi – escludendo peraltro in un solo colpo pressoché tutto il sistema di piccole e medie imprese meridionali- e che ha riempito di norme e normette il provvedimento esattamente come avrebbe fatto (sbagliando) in tempi di pace, deve essere accompagnato alla porta senza esitazione alcuna. Il fallimento del decreto liquidità è una responsabilità burocratica di questi signori che pensano solo agli stipendi pubblici, a partire dal loro, e non hanno capito che per ordine dello Stato, dettato dalla ragione indiscutibile di salvare vite umane, sta saltando l’intera economia del Paese che è l’unica ragione di sopravvivenza dello stesso Stato. Tra fare affondare l’economia italiana per sempre e affondare la burocrazia del Tesoro della Repubblica italiana, noi scegliamo di affondare la seconda.

Il punto non è che hanno fatto fare una brutta figura a tutto il governo, ma che gireranno sempre con le teste al contrario. Non hanno capito che per uscire dalla Grande Crisi ci sono solo due strade: subito liquidità a fondo perduto, molta liquidità, moltissima liquidità a fondo perduto per proteggere l’economia italiana e preservare un corpo vivo tale da reggere a regime l’urto del nostro debito passato; poi a sistemare i conti, ci penserà l’inevitabile azzeramento mondiale degli extra-debiti da Pandemia. Hanno paura non si capisce di che cosa al Tesoro. Non sanno scrivere leggi di 50 righe come servono oggi. Non accettano di farsi sostituire dall’autocertificazione per l’economia (per i cittadini invece sì) e dai conti dedicati per rientrare alla grande, come giusto, nei controlli. Non vogliono cambiare in nulla, non lo capiscono. Sono il pericolo atomico sia per la gestione dell’emergenza perché sono incompatibili con l’erogazione della liquidità a fondo perduto sia per la gestione della rinascita perché sono incompatibili con prestiti e investimenti pubblici in tempi rapidi.

Ci chiediamo: come ha fatto il ministro dell’economia a non prendere provvedimenti? O ha sbagliato il burocrate o ha sbagliato il ministro perché i ministri vengono messi lì per questo. Spiace molto dirlo, ma il direttore generale del Tesoro Rivera – di cui spesso abbiamo lodato le capacità nelle trattative internazionali e verso cui nutriamo pregiudizi positivi – questa volta ci ha profondamente deluso e per amore del Paese deve assumere su di sé la responsabilità di questo default che è più grave di quello sovrano che rischia di provocare il bizantinismo legislativo di cui è il primo ideatore.

Se non lo fa sua sponte, allora dovrà essere rimosso dall’incarico e sostituito in corsa. E se il ministro dell’Economia Gualtieri è così succube da non farlo, allora il problema si porrà al gradino più alto. Perché questo – non altri – è oggi il problema italiano e chi continua a ignorarlo condanna definitivamente il Paese. Parliamoci chiaro. Se io azienda italiana, tedesca, inglese, americana, cinese fatturo dal 90 al 50% in meno perché lo Stato mi ha bloccato l’attività non basta la liquidità, che noi peraltro a oggi non siamo neppure riusciti a erogare, ma serve nuovo debito pubblico per trasferire finanziamenti a fondo perduto ai privati. Mentre noi ci “autotorturiamo” nei nostri bizantinismi il dilemma del mondo non è più solo la liquidità alle imprese ma il finanziamento a fondo perduto alle imprese che renda compatibile il debito futuro con la loro sopravvivenza. Insomma: il tema è diventato il fondo perduto che serve oggi alle imprese per non fare aumentare il loro debito. Per tutte le imprese? No. Se sei nell’alimentare, se sei nel farmaceutico, se sei nella telefonia, se ti chiami Amazon che hai fatto esplodere il tuo fatturato, allora non ti devo dare nulla a fondo perduto. Anzi, ti devo togliere qualcosa per darlo a chi ha perso. Ma i nostri scienziati con la loro testolina di contabili pensano solo allo stipendio pubblico (loro) e non si chiedono che fine farà l’economia che consente allo Stato di pagare il loro stipendio. Soprattutto, non capiscono che cosa succede nel mondo.

Volete sapere, alla fine di tutto ciò, che cosa accadrà davvero nel mondo? Gli Stati Uniti stamperanno moneta, la Cina stamperà moneta, l’Europa stamperà moneta. Perché questo succede nei tempi della Grande Depressione mondiale da Coronavirus. Non siamo noi il problema del mondo ma è il mondo che è un problema. I debiti nuovi (Covid) saranno tutti azzerati perché siamo tutti sulla stessa barca. Anche i tedeschi sono nella stessa barca nostra perché nessuno comprerà più le loro auto e quei soldi che si stamperanno andranno anche a loro. Noi ignoriamo la realtà, siamo gli unici a non trasferire fondo perduto, e così stiamo facendo di tutto per diventare noi il problema del mondo. Un capolavoro assoluto.

C’è, infine, un altro problema solo italiano che, se non si esce da questo regionalismo impazzito, può assumere la dimensione del problema della burocrazia. Riguarda la classe di governo delle Regioni meridionali e il silenzio fragoroso su provvedimenti del Tesoro che, contro ogni evidenza, vogliono continuare a regalare decine e decine di miliardi della Cassa Depositi e Prestiti a imprese decotte piuttosto che investirli sull’unificazione infrastrutturale del Paese.

Se ci si vuole occupare della salute economica dei propri cittadini che ha rischi di mortalità superiori a quelli determinati dalla crisi pandemica, bisogna pretendere liquidità, ovviamente tracciabile per evitare che vadano dove non devono andare, e impegni cogenti della Cdp per fare finanza di sviluppo con le infrastrutture materiali e immateriali nelle regioni meridionali. Questo vuol dire, governatore De Luca, occuparsi del futuro delle proprie comunità. Le abbiamo dato atto, e lo ribadiamo, di avere domato il mostro del contagio, ma adesso per piacere cambi in fretta registro. Ci è venuto un dubbio: vuole fare il Presidente della Regione o l’uomo di spettacolo? Basta con le riprese televisive o su facebook, trasferisca la stessa verve e la stessa energia sui tavoli della liquidità e delle infrastrutture di sviluppo. Solo così potrà evitare che i morti di fame e di debiti superino quelli da Coronavirus.

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Francesco Ridolfi

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