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QUALCOSA si muove, ma non so se si è capito fino in fondo che c’è un solo modo per rimettere in moto l’economia nazionale. Per dare un futuro all’Italia o, per lo meno, allungare i tempi della sopravvivenza del Nord produttivo, occorre aprire il cantiere Mezzogiorno con le opere dell’alta velocità ferroviaria e delle nuove reti infrastrutturali in genere. Bisogna che sia chiaro a tutti che annunciare un piano decennale per il Sud ha valore perché riconosce la priorità nazionale, ma non vale niente se non si traduce in attività immediate, riscontrabili, e se non si operano le scelte giuste degli uomini giusti per garantire una esecuzione di lungo termine dei progetti di sviluppo.
Su questo, non sono ammessi gattopardismi di sorta. A partire dalla tornata di nomine prossime venture dei soggetti pubblici economici di cui lo Stato ha ancora il controllo o ne è comunque un azionista importante. Rispettare il merito e le indicazioni degli investitori mi sembra doveroso, ma la vera rivoluzione sarà scegliere persone capaci che hanno una sensibilità meridionalistica perché le chiavi della cassaforte le avranno loro. Saranno questi signori a decidere se mettere più o meno soldi sugli investimenti nelle regioni meridionali. Sono questi capi azienda che dovranno avere al loro fianco gli ingegneri che sanno affrontare e superare i problemi tecnici. Saranno loro a dovere dimostrare sul campo di essere manager impermeabili alle mani dirette e indirette della criminalità organizzata.
La politica dovrà esercitare il suo ruolo di maieutica non per spendere il suo nuovo potere clientelare ma scegliendo nomi nuovi competenti che conoscono il mestiere e condividono la priorità del Paese. Serve gente capace che abbia questa sensibilità e il senso di responsabilità di rispondere all’azionista e, tramite lui, alle ragioni profonde del Paese. Non possiamo dimenticare che è stata la presenza pubblica a fare gran parte della modernizzazione dell’Italia. Fu l’intelligenza strategica di Fanfani che aveva capito una cosa semplice: o lo Stato si dota di “braccia armate” o non si combina nulla.
Ricorderei anche il “sindaco santo” Giorgio La Pira quando dice che bisogna evitare di fare finire in mezzo alla strada le persone con la chiusura del Pignone di Firenze e va a messa con gli operai nella fabbrica occupata. Il “sindaco santo” convince Mattei e l’Eni a rilevarla. Nasce il Nuovo Pignone con il quale i lavoratori tornano ad avere un lavoro e Mattei ci guadagna bei soldi perché sa quali sono i valori strategici e sa gestire le aziende. Abbiamo dimenticato quasi tutto di quella stagione eroica. Siamo in preda alla sindrome di Napoleone che cerca la battaglia sempre più grande e non si accorge che intorno ci sono solo macerie.
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