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Magistrati in toga

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La chiacchierata mail di Patarnello alla rubrica dell’Associazione nazionale magistrati con le riflessioni sulla premier Meloni e la riorganizzazione della giustizia


A me personalmente non piacciono le seppie, ma sopporto il vederne arrivare un piatto a tavola sapendo di non essere il destinatario della specifica pietanza. Ad altri non garba la magistratura. Questione di gusti. Pur facendomi inorridire, non ho mai pensato di dire che le seppie sono velenose, “nuocciono gravemente alla salute” come invece si legge sulle confezioni di sigarette, fanno parte di un complotto gastronomico ordito da chi mi ha invitato a cena disconoscendo le mie preferenze alimentari. Rabbrividisco se sono in umido, nel risotto o con i piselli, ma ne parlo serenamente nella convinzione che non ci sia nulla di strano. La chiarezza è fondamentale in ogni circostanza. E la precisione va a braccetto. Domenica l’acqua ha allagato mezza Italia, ma il vero temporale è quello causato da un messaggio di posta elettronica.

I mezzi di informazione si sono scatenati dopo che il quotidiano Il Tempo ha pubblicato lo scoop di una “terribile” mail inoltrata da un giudice a presunti sodali di una ipotetica formazione carbonara di toghe indisciplinate.
Il testo viene prospettato come un feroce attacco alla Premier. Destinato a fomentare una ristretta cerchia di rivoluzionari che si scambiano missive digitali in gran segreto. Chi apprende la notizia si chiede come la mail possa esser finita nelle mani sbagliate e poi consegnata alla redazione di un giornale abbastanza filogovernativo. Tutti si affrettano a pensare che un compare del mittente abbia tradito la torbida combriccola di ignobili oppositori privi di senso patrio.
Come ai tempi paleocristiani, in moderne catacombe sembra infatti si celino ardimentosi adoratori della Costituzione e di altri sacri principi. Professando quella che l’evolvere dei tempi ha classificato come laica blasfemia.

Abbassato il frastornante volume della colonna sonora dei mass media che tratteggiavano la silhouette di un rivoluzionario con il covo in un tribunale, chi non si è fatto inebetire dalla versione unica dei fatti e da un processo sommario alle intenzioni ha provato a calarsi nella scena del delitto per capire cosa fosse davvero successo.
Ipotizzando una “mailing list” blindata e ristretta ad un novero di cospiratori selezionati con attenzione meticolosa, chiunque avrebbe lecitamente pensato all’immancabile “traditore” che si è venduto – visti i tempi – per 30 bitcoin. Delatore o doppiogiochista poco importa, perché avrebbe dovuto macchiarsi di una simile infamia?

Ancor prima di scoprire l’elenco dei destinatari e qui cominciare la spunta dei potenziali sospetti, si è costretti a constatare che la lettera virtuale in questione non è stata veicolata in un giro vizioso di pochi adepti. Il messaggio è stato inoltrato alla vastissima rubrica della Associazione Nazionale Magistrati. Cui fanno capo tutte le diverse correnti “sindacali” anche di ben differente ispirazione politica e pertanto tra loro in contrasto.
Il fatto che la mail non sia per una platea a numero chiuso di iscritti a Magistratura Democratica, ma si riveli praticamente “pubblica”, intristisce chi cercava lo “spione” (ignobile per alcuni, provvidenziale per altri). Chissà quanti tra i ricevitori hanno pensato di girarla ad amici, conoscenti e “riconoscenti” confidando in un qualsivoglia apprezzamento o plauso nelle più distinte forme…
Niente Giuda, niente giudice di Getsemani, ma ormai il coro che vuole libero Barabba ha intonato il suo ritornello.

A questo punto non resta che esaminare in modo viscerale il testo di così scottante comunicazione a libero accesso.
Che avrà scritto il dottor Marco Patarnello? Chi confida nel poter leggere cose gravissime poggia la sua convinzione sulle efferate dichiarazioni di politici intimoriti. Sulle interrogazioni parlamentari e su altre minacciose reazioni di apparente legittima difesa.
A leggere il testo integrale della mail ci si accorge che le riflessioni del mittente si inquadrano nell’ampio quadro di restyling organizzativo e funzionale della Giustizia. Patarnello – a voler semplificare – scrive che, mentre Berlusconi aveva come obiettivo la disponibilità di un salvacondotto, Meloni (non avendo inchieste giudiziarie a suo carico) “non si muove per interessi personali ma per visioni politiche e questo la rende molto più forte. E rende anche molto più pericolosa la sua azione”.

Il magistrato precisa poi che “la compattezza e omogeneità di questa maggioranza è molto maggiore che nel passato. E la forza politica che può esprimere è enorme e può davvero mettere in discussione un assetto costituzionale ribaltando principi cardine che consideravamo intangibili”. Circostanze oggettive, nulla più, che inquietano chi condivide pacificamente la successiva frase secondo la quale “il pericolo per una magistratura ed una giurisdizione davvero indipendente è altissimo”.
Patarnello si preoccupa infine delle fondamenta su cui poggia la nostra democrazia. E sottolinea “Non dobbiamo fare opposizione politica ma dobbiamo difendere la giurisdizione e il diritto dei cittadini ad un giudice indipendente. Senza timidezze”.
Nei tweet e nei post sulle tante piattaforme social la storia suonava decisamente diversa. E innescava istintive reazioni contro chi cerca con impegno e sacrificio di salvaguardare la Giustizia. Il giudice invita solo i suoi colleghi a “tenere la schiena dritta” e l’ortopedia etica e morale non sono reato, ma solo buon esempio…


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