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Gli Stati sovrani europei da soli non costruiscono l’Europa federale della tecnologia. Questa è la vera partita politica delle nuove elezioni europee di cui, però, nessuno parla. Non può essere un caso che l’Europa è indietro rispetto a Cina e Stati Uniti su tutte le tecnologie di applicazione generale. Può mai essere l’Europa del futuro quella dei sussidi di Francia e Belgio ai loro agricoltori per dare redditi ancora più sussidiati? Come si fa se non si mettono in comune le risorse per costruire una rete di difesa europea autonoma in un mondo deglobalizzato dove la sicurezza non è più assicurata?
SIAMO in una situazione geopolitica che raramente è stata così pesante tra ripresa dei bombardamenti russi in Ucraina e l’intrico del Medio Oriente dove l’orrore dell’attacco del sette ottobre di Hamas a Israele è diventato orrore senza fine nella Striscia di Gaza e ha scatenato la terza guerra nel mar Rosso con ricadute pesanti sui traffici globali e, in modo particolare, sulla nostra economia. Siamo di fronte al rischio di un isolazionismo americano che ricorda la fine degli anni Settanta quando gli Stati Uniti uscirono dalla guerra del Vietnam e, durante il periodo Carter, pensarono solo a loro, non al resto del mondo. Siamo davanti a una Russia di Putin che, nonostante tutte le sanzioni, sembra ripetere in un contesto diverso, non democratico, quello che fece la Germania dopo la seconda guerra mondiale. Grazie ai grandi investimenti nell’industria bellica e a una forte capacità di autorità sulla popolazione che si traduce nel potere di indirizzare persone e economia nelle aree più favorevoli al conseguimento dei suoi obiettivi.
Poi abbiamo la Cina, che è il punto cruciale del nuovo equilibrio mondiale. Perché gioca la partita colonialista, sostituendosi all’Occidente, nei Paesi in via di sviluppo erogando prestiti rilevanti in cambio di opzioni su porti, aeroporti, infrastrutture e materie prime. Perché fa con Putin quello che faceva Mao, sta lì sul fiume, pronto al momento giusto a prendersi tutta la Russia che è il territorio più grande del mondo e ha potenzialità di materie prime strepitose, ma non ha una capacità mercantile, commerciale industriale che invece i cinesi hanno. I report globali più accreditati mettono la Cina in testa negli investimenti in tecnologia e, sull’intelligenza artificiale, la battuta che gira è che gli americani la hanno ideata, la Cina la sviluppa e la utilizza e l’Europa passa il tempo a fare le regole per evitare o comprimere l’utilizzo non prendendosi dunque nessun beneficio.
Questa situazione geopolitica così complicata tra orrori militari, dominio autocratico in ascesa, assenza di regole nuove di governance globale politica e finanziaria, è evidente che non fa bene all’economia del mondo e, per essere più precisi, fa ancora più male a un’Europa frammentata che non fa politica industriale e innovazione a livello europeo e che, quindi, non esiste. Non può essere un caso che l’Europa è indietro rispetto a Cina e Stati Uniti su tutte le tecnologie di applicazione generale che possono essere impiegate. Non su una, ma su tutte. Parliamo di tecnologie di applicazione generale che cambiano il mondo come avvenne nella notte dei tempi con la prima macchina a vapore di modo che esserci o non esserci può fare di molto la differenza. Come Europa siamo indietro sulla rete internet che può essere applicata molto a livello commerciale. Siamo indietro sulle biotecnologie. Siamo indietro sul calcolo futuristico. Siamo indietro su tutto. Per capire la dimensione del nostro ritardo tecnologico a 360 gradi, basti pensare che la storia industriale recente indica l’Europa come la grande area automotive del mondo, ma non ha la capacità di immaginare un mondo in cui la mobilità europea sia diversa. Un mondo in cui le batterie non inquinanti convivano e mano a mano, con realismo e gradualità, prendano il posto dei carburanti fossili.
Perché l’Europa tutta insieme non potrebbe avere l’ambizione e perseguire concretamente il primato globale della parte tecnologica di applicazione generale non inquinante? Perché non dovrebbe essere l’Europa a guidare il processo della tecnologia del futuro come fece in passato con la grande chimica, la grande informatica, il grande acciaio, quando fare queste cose significava fare il massimo della tecnologia nel mondo? Dobbiamo fare tutto ciò perché la storia ci costringe anche a fare i conti con una demografia che ci segnala una terra che marcia verso i dieci miliardi di persone e l’Europa si ritroverà con 400 milioni di cittadini che sono poco meno della metà di un decimo della popolazione mondiale. Può mai essere l’Europa del futuro quella della Francia e del Belgio che vuole aggiungere ai sussidi europei i sussidi nazionali agli agricoltori perché i loro redditi doppiamente sussidiati siano equiparabili a quelli derivanti da attività economiche più avanzate?
Può essere questa la preoccupazione prevalente o la scelta più opportuna se poi non vuoi o non hai le risorse da spendere per costruire una rete di difesa europea più autonoma e resistente con un sistema proprio in un mondo che sta cambiando il modo di regolamentare la sicurezza non essendo più in grado di assicurarla? A fare l’Europa del futuro da soli non ce la fa nessuno. Bisogna che le comunità europee si facciano sentire e rompano il muro della confusione e dell’ignoranza mediatica che dominano i loro dibattiti nazionali. Perché drammaticamente non c’è e bisogna invece fare assolutamente emergere una classe politica in grado di prendere le linee cruciali per un processo uniforme che faccia seriamente i conti con la deglobalizzazione economica e la geopolitica. Dallo sviluppo tecnologico alla difesa, l’Europa gioca la partita del futuro e esce da questa stagione di guerre disastrose, con i Sud autocratici del mondo che per la prima volta mettono in discussione l’Occidente, solo se gli Stati sovrani europei rinunciano a mantenere le loro leadership e fanno l’Europa federale della nuova tecnologia e delle sue piattaforme generali all’avanguardia. Questa è la vera partita politica delle nuove elezioni europee. Se almeno si cominciasse a parlarne, la speranza potrebbe sopravvivere.
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