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Il presidente Sergio Mattarella a Borgo San Dalmazzo, depone una corona d’alloro, presso il Memoriale della Deportazione

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Al fascismo non ci pensa più nessuno tranne una parte politico-mediatica che persegue suoi interessi e fa il male dell’Italia a livello internazionale. L’errore grave che potrebbe commettere la Meloni è quello di pensare che nel profondo del Paese questo tema sopravvive e può pesare sul piano elettorale. Non è così e bisogna avere la forza di unire alla professione di fede in un’altra cosa importante che si sta costruendo, che è il nuovo partito conservatore europeo, il giudizio storico sul fascismo che è condannato dagli atti che ha messo in piedi distruggendo un Paese che era uscito vincitore dalla prima guerra mondiale. Questo è il significato del 25 aprile che serve oggi a riunire l’Italia. Il magistero di Mattarella che esprime forza della storia e sintonia con il sentimento degli italiani può aiutare molto.

LA VERA cosa che si deve dire e nessuno vuol dire è che si è fatto del 25 aprile in un arco di tempo importante un discorso divisivo per colpire gli uni e gli altri. Tanto è vero che per lunghissimo tempo il fatto che la Resistenza fosse un valore comune condiviso non era così naturale. Tanto è vero che i partigiani comunisti avevano una loro organizzazione, un’associazione nazionale che si chiama ANPI, e l’area cattolica ne aveva un’altra, il Corpo dei Volontari della libertà, con un ruolo di spicco di Enrico Mattei, e di altre figure di rilievo non comuniste e rappresentanti altrettanto autorevoli di formazioni partigiane storiche.

Di fondo emergeva nella fase di uscita dall’orrore fascista e in quella della Ricostruzione del Dopoguerra che portò alla democrazia nata dall’antifascismo come valore fondante, una distinzione operata dalla Resistenza della Sinistra rispetto alla Resistenza dell’area cattolica. Permaneva la volontà dei primi di mettere tra parentesi il contributo dell’area cattolica e di tutte le altre aree del pensiero politico così come di altre formazioni storiche partigiane non comuniste. Questo bisogna dirlo perché è vero. C’è voluto un sacco di tempo, se vogliamo essere sinceri, perché il linguaggio della festa di Liberazione condivisa guadagnasse appartenenze e tutte le forme di resistenza ne facessero parte. Prima di potere dire che era davvero la festa di tutti e coinvolgere direttamente tutti quelli che la Resistenza la hanno davvero fatta. Basti pensare alle esitazioni iniziali con cui si accolse il nome di uno dei padri storici del cattolicesimo italiano come Dossetti tra quelli dei padri dell’antifascismo che ha salvato il Paese. Si esitava su Dossetti presidente del Comitato di liberazione nazionale di Reggio Emilia, un uomo che unì fede e politica come nessun altro e non le mandò a dire nemmeno a De Gasperi, e che ebbe piena consacrazione nel pantheon della rinascita democratica e civile del Paese quando colse prima di tutti le degenerazioni a cui avrebbe potuto condurre l’avvento di Berlusconi in politica.

Per questo l’uscita di un ministro di valore come Nordio di proporre una festa diversa dal 25 aprile facendone anche la festa dell’Unione europea è sbagliata. Perché i Paesi fanno una festa su eventi nazionali, cioè, su eventi che hanno inciso sulla storia della propria nazione. Fare una festa sulla caduta del muro di Berlino sarebbe sbagliato, non perché l’evento non appartenga alla grande storia dell’Europa, ma perché non c’entriamo niente noi. È la nostra storia invece quella della festa di liberazione del 25 aprile che ha portato in dote la Costituzione frutto dell’antifascismo, come ha ricordato anche Mattarella con il suo consueto magistero, e che ha posto le basi della forza reale della democrazia italiana.

C’è qualcosa di veramente profondo che appartiene alle radici di questo Paese che non può mai essere dimenticato. Un giorno Giorgio Pisanò, del Movimento sociale italiano (Msi), incontrando Vittorio Foa, partigiano, politico, sindacalista, scrittore, gli disse: “Ci siamo combattuti da fronti contrapposti, ognuno con onore, possiamo darci la mano.” E la risposta fu, cito a mente, “è vero, ma possiamo darci la mano perché abbiamo vinto noi se no io sarei rimasto ancora in galera”. La Resistenza è questo. È la liberazione dall’orrore fascista, è la madre della Costituzione nata dall’antifascismo, è il valore fondante della nostra democrazia. Che ha avuto un cammino di condivisione non immune da distinzioni pericolose, ma ha percorso un cammino così lungo e glorioso da consentire alla Destra di entrare nel sistema democratico e di vincere legittimamente le elezioni arrivando al governo del Paese esprimendo una cultura che non ha nulla in comune con la cultura fascista.

Non è più tempo di semplificazioni tanto al chilo che ci porta a individuare nell’opposizione sacrosanta al Putin hitleriano la consacrazione di una Destra al governo che nasce da un’altra storia e non ha più nulla a che vedere con il fascismo. La storia non si ferma e va avanti per fatti suoi, non per controdeduzioni. Quando a De Gasperi il nunzio apostolico diceva “avete vinto e ora dovete fare le cose che vi dice la Chiesa”, si sentiva rispondere che la Democrazia cristiana doveva governare tenendo conto delle sensibilità di tutti e ovviamente la Chiesa ribatteva che De Gasperi e la Dc non erano abbastanza integralisti. Oggi c’è solo un’insidia dalla quale si deve proteggere il governo Meloni di destra centro che ha fatto bene in economia e ancora riscuote la fiducia delle istituzioni internazionali e degli investitori globali pur in presenza di qualche preoccupante scricchiolio a favore degli spagnoli. Questa insidia è quella di tenere conto oggi di sensibilità che non esistono più e sono diverse da quelle di cui teneva conto De Gasperi.

Al fascismo in questo Paese non ci pensa più nessuno, ma c’è una parte politico-mediatica che ne agita il ricordo per interessi di bottega, peraltro destinati a essere fallimentari, che si traducono nella criminalizzazione dell’avversario e nel fare il male del Paese a livello internazionale. L’errore grave che potrebbe commettere la Meloni è quello di pensare che nel profondo del Paese questo tema sopravvive e può pesare sul piano elettorale. Sarebbe un errore molto grave perché al fascismo non ci pensa più nessuno e non ci sono voti da proteggere. Bisogna avere la forza di distinguere tra la professione di fede in un’altra cosa importante che si sta costruendo, che è il nuovo partito conservatore europeo, e il giudizio storico sul fascismo che è condannato dagli atti che ha messo in piedi e che ha annullato tutti gli altri. Da quell’insieme di atti che ha distrutto un Paese che era uscito vincitore dalla prima guerra mondiale. Distinguere significa esprimere un giudizio storico sul fascismo distruttore e offrire una nuova prospettiva legittimata dal consenso e dalle cose che si fanno. Questo, a nostro avviso, è il significato del 25 aprile che serve oggi al Paese. Il magistero di Mattarella che esprime forza della storia e sintonia profonda con il sentimento degli italiani può aiutare molto.


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