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Mario Draghi oggi al Teatro del Maggio fiorentino

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Dobbiamo verificare se la normalità sanitaria sarà accompagnata da una normalità burocratica capace di fare investimenti pubblici e di mobilitarne parallelamente di privati. Se chi ha risorse da investire è capace di farlo, soprattutto in aree come quelle del Sud che hanno una storia da recuperare. Quello di riaprire di nuovo praticamente tutto dopo il 31 marzo è il segnale più forte che si potesse dare sopratutto per il nostro turismo. Così, però, deve avvenire anche con le riforme del Pnrr da qui a giugno mostrando sul campo identica capacità decisionale. Riapriamo la vita di prima, importantissimo, ma dobbiamo sapere che la nostra vita di prima non era la migliore possibile. Per questo su scuola, turismo, fisco, concorrenza e giustizia non si può più attendere. E la nuova normalità deve partire dal Sud

L’OCCASIONE storica richiede un disegno coraggioso verso il futuro. Facciamo vedere  i gioielli di famiglia, non è sbagliato, ma dobbiamo fabbricare i gioielli nuovi. Parlando del Mediterraneo e di Firenze Draghi parla di Sud e di Nord del mondo e prova sempre ad alzare la palla sperando che qualcuno la schiacci.

Lo fa cercando il vecchio discorso nazionale sulla grandezza storica che può essere ancora attrattiva. Come lo è per gli americani che studiano il Rinascimento a Firenze e come non è con l’università europea sempre a Firenze che è una bella cosa del futuro ma dove noi contiamo meno di quello che potremmo. Lo fa parlando del buco nero dei giovani del Mediterraneo senza lavoro e rilanciando la sfida per loro dei lavori del futuro in un mondo nuovo dove prevalgano la cultura del dialogo e della pace. Che è lo spirito giusto per questi tempi, ma fa i conti con i venti di guerra e si deve tradurre in investimenti produttivi e capacità di attuarli.

Lo fa Draghi, soprattutto, annunciando a sorpresa che dopo il 31 marzo l’Italia tutta riapre e che finisce la stagione dei colori delle Regioni e delle mascherine in classe. Riapriamo: giusto, sacrosanto; ma che cosa riapriamo? Riapriamo il turismo, giustissimo e siamo ancora in tempo utile per non perdere l’estate, ma ricordiamoci che anche grazie al Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) dovremo costruire l’industria del turismo del futuro. Che vuol dire standard di qualità molto alti al Nord come al Sud aumentando quantità e qualità dell’offerta e intercettando una domanda internazionale che è sempre più esigente.

Riapriamo la vita di prima, importantissimo, ma dobbiamo sapere che la nostra vita di prima non era la migliore possibile. Riapriamo totalmente le scuole, certo importantissimo, ma dobbiamo anche renderci conto che dobbiamo avere delle scuole migliori di quelle che avevamo chiuso. Dove sono le riforme che ci cambiano la vita? Chiediamocelo almeno. Prendiamo coscienza che non si possono più tenere due piedi in nove scarpe. È venuto il tempo delle decisioni. Chi ci sta si deve vedere, si deve sentire e devono essere in tanti a volere prendere le decisioni.

Si deve anche capire che chi non ci sta, chi frena, chi dice no alla nuova vita di tutti è il nemico del futuro che si nasconde dietro interessi di piccolo o grande cabotaggio. È quello che insegna la lotta alla pandemia dove chi ci governa ha preso una scelta forte imitata da molti Paesi nel mondo, ha tenuto ferma la rotta, ha potuto riaprire prima di tutti e in sicurezza la nostra economia mettendo a segno un risultato  storico di crescita (+6,5%) del Prodotto interno lordo (Pil) nell’anno peggiore della storia (2021).

Quello di riaprire di nuovo praticamente tutto dopo il 31 marzo è il segnale più forte che si potesse dare soprattutto per il nostro turismo. Sta all’Italia di oggi come il green pass di Draghi di ieri. Così, però, deve avvenire anche con le riforme da qui a giugno mostrando sul campo identica capacità decisionale. Perché è giustissimo tornare alla normalità, ma poi bisogna chiedersi se la nostra normalità è in grado o no di gestire una situazione che non sarà normale. Si torna certo a una normalità italiana nelle norme, nelle istituzioni e nel modo di affrontare i problemi, ma i problemi che dobbiamo affrontare sono diversi, sono enormi e non possiamo farlo con il nostro sistema ripristinato che già non brillava con i problemi ordinari di prima. Per questo bisogna tornare ai primi dieci mesi del governo Draghi quando si è scelta una sola strategia e si sono visti i risultati perseguendola senza compromessi e rendendo evidenti i comportamenti di chi si assumeva la responsabilità di non starci.

Ma vi sembra normale che nei giorni terribili del nuovo ’29 mondiale non si possa fare una riforma seria del Consiglio superiore della magistratura perché non ci si può mettere contro questa o quella fazione che i magistrati seri – la stragrande maggioranza – nemmeno sopportano più? Ma come si può pensare di rinviare ancora l’esecutività della riforma della concorrenza per mantenere in vita il privilegio di qualche amico che gestisce senza pagare alcunché pezzi di mare e stabilimento balneare in concessione? È possibile che la riforma fiscale di cui si è già fatto un pezzo senza nemmeno accorgersene si debba fermare perché il tabù della riforma del catasto blocca tutto? Che cosa deve ancora succedere per capire che il taglio dei tempi della giustizia penale e civile è una questione di vita o di morte per le persone e per le imprese? Uscire dalla proroga dell’emergenza, a nostro avviso, significa imparare a gestire problemi difficili senza bisogno di leggi eccezionali.

Questa è la grande sfida che ha oggi davanti il Paese. Non è più accettabile che il nostro sistema burocratico funzioni solo con procedure eccezionali perché sono quelle che ti mettono al riparo da ogni tipo di indagine. Il nostro sistema deve superare la prova della normalità. Non è possibile andare  avanti con i medici che lavorano venti ore al giorno perché c’è l’emergenza e, invece, finita l’emergenza, mancano i medici. Dobbiamo verificare se la normalità sanitaria sarà accompagnata da una normalità burocratica capace di fare investimenti pubblici e di mobilitarne parallelamente di privati. Se chi ha risorse da investire è capace di farlo, soprattutto in aree come quelle del Mezzogiorno che hanno una storia da recuperare. Che è quella di un taglio abnorme di risorse e di una perdita progressiva di capacità di gestirle che arriva fino al punto di mettere in dubbio che i soldi nuovi ci sono veramente.

Questo è il problema numero uno del Mezzogiorno di oggi che può addirittura superare la miope ostilità di alcune parti della classe dirigente del Nord del Paese.


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