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La vera sanzione che l’Europa potrebbe imporre a Putin è di attrezzarsi da subito sui fronti energetico, di sicurezza e di politica estera comuni. Perché anche se oggi Putin si accontentasse di questo risultato intermedio e di una ripresa di consensi in casa, di sicuro ci riproverà e allora l’Europa dovrà essere un’altra Europa. Altro che Europa disunita o unita oggi, quello che conta è unire al pragmatismo necessario in questi giorni caldi la scelta strategica comune di accelerare sull’Europa solidale. Che vuol dire, quindi, più autonomia sul piano energetico e comunque una Europa più corazzata con la quale Putin dovrà fare i conti. Poi lui farà quello che vuole, ma il quadro dovrà essere cambiato
Siamo il vaso di coccio tra vasi di ferro. Meno male che c’è Draghi altrimenti ci facevano a fettine. Il punto vero è che pochi ancora hanno consapevolezza della centralità di questa figura in un quadro europeo frammentato dove l’unico ancoraggio resta l’euro che lo stesso Draghi ha salvato. Siamo in presenza di una persona che quando parla gli altri lo ascoltano perché tutti sanno che può dire qualcosa. Perché per essere davvero ascoltati, bisogna metterselo in testa una volta per tutte, prima bisogna essere credibili. Perché si ascoltano le persone da cui si aspettano soluzioni. Draghi è l’unica figura che in campo internazionale ha dimostrato capacità, non ha narrato, ma ha fatto e ha ottenuto i risultati.
Dobbiamo renderci conto che un altro non ce l’abbiamo. Prima di lui c’è il Prodi presidente della Commissione europea che allarga l’Europa all’Est e che ha dunque una soluzione per l’Europa del dopo muro, ma sulle spalle del Professore ci sono le stagioni della politica e il prezzo che queste stagioni impongono in un Paese come l’Italia. Se vogliamo fare la stessa cosa con Draghi possiamo dire che siamo bene avviati, ma bisogna che tutti sappiano che stiamo bruciando l’ultima cartuccia che il Paese ha. E che, Draghi o non Draghi, rimaniamo l’anello debole della catena europea a sua volta debolissima. Rimaniamo l’anello debole di questa catena globale del nuovo ’29 mondiale perché noi più di tutti dipendiamo dal gas russo e dalle materie prime agricole dell’Ucraina. Perché noi più di tutti rischiamo di pagare un prezzo aggiuntivo sul mercato dei titoli sovrani dove lo spread sale per il rischio guerra e per la minaccia inflazionistica, ma da noi sale sempre un po’ di più degli altri perché noi – non gli altri – abbiamo 2700 miliardi debito pubblico. Perché solo nel 2021 con il governo di unità nazionale guidato da Draghi abbiamo dimostrato di essere capaci di crescere alla grande dopo un ventennio in cui siamo stati sempre gli ultimi.
Se dal 2014 a oggi l’Europa e l’Italia sono passati da una dipendenza energetica dalla Russia del 30% al 46,8% nella prima metà del 2021 si può solo misurare quanto lungo sia stato il sonno della ragione della vecchia Europa e quanta strada debba ancora fare l’Italia per non ritrovarsi alla prossima crisi di origine militare o economica nella stessa condizione. Se Putin ha ridotto drasticamente i quantitativi in arrivo dai vecchi canali ucraini, slovacchi e austriaci aumentando vertiginosamente il prezzo che siamo costretti a pagare, possiamo solo dire di avere ben chiaro dove ci conducono questa debolezza strutturale europea e i doppi tripli giochi che anche Paesi amici come Germania e Francia hanno fatto sui vari gasdotti che legano la Russia all’Europa.
Tant’è, però, e prima lo capiamo meglio è. Se sui mercati segnati da volatilità e con lo spread che è comunque tornato a salire sopra i 170 non sono successi sfracelli è perché gli investitori sono convinti che le sanzioni adottate nei confronti della Russia sono per fortuna blande e perché sono tutti convinti che siamo ancora in presenza di una guerra finta perché oggettivamente non conviene a nessuno portare lo scontro alle estreme conseguenze. I mercati non credono che sarà una cosa così grave per l’economia, che ci sono stati certo una escalation militare e un po’ più di pugno duro sovietico, ma che non si arriverà alla terza guerra mondiale. A nostro avviso, è il momento della Realpolitik e prendere atto che il Donbass è realmente una regione russofona non è particolarmente eretico. Stabilire confini etnici all’interno di una regione come l’Ucraina, per capirci “inventata” un po’ come la Iugoslavia, è un’impresa oggettivamente problematica perché questi confini interni sono piuttosto labili. Se Putin si prende il Donbass e si ferma lì sarebbe forse un grande risultato per tutti.
La vera sanzione che l’Europa potrebbe imporre a Putin è di attrezzarsi da subito sui fronti energetico, di sicurezza e di politica estera comuni. Perché anche se oggi Putin si accontentasse di questo risultato intermedio e di una ripresa di consensi in casa, di sicuro ci riproverà e allora l’Europa dovrà essere un’altra Europa. Altro che Europa disunita o unita oggi, quello che conta è unire al pragmatismo necessario in questi giorni caldi la scelta strategica comune di accelerare sull’Europa solidale. Che vuol dire, quindi, più autonomia sul piano energetico e comunque una Europa più corazzata con la quale Putin dovrà fare i conti. Poi lui farà quello che vuole, ma il quadro dovrà essere cambiato.
Non è facile fare tutto ciò perché questo significa omogeneizzare l’Europa con il suo Est che è un problema vero. Altro che Ucraina alternativa democratica che fa venire la tentazione democratica alla Russia, perché onestamente anche a Kiev e dintorni vige un regime di oligarchi tenuto insieme dalla corruzione. Sono questi dati comuni di bande di amici e di nemici e di nuovi intrighi che preoccupano. Perché sul terreno di guerra proprio così può scappare di mano la situazione. In termini strategici la vera sfida è “impiantare” la democrazia nell’Est perché qui siamo ancora alla sperimentazione. La verità è che l’Europa dell’Est ha un’altra storia rispetto a noi. Che Putin la sfrutti per i suoi interessi è indubbio, ma resta il fatto che di un’altra storia si tratta. Perché la rivoluzione liberale che nell’Ovest ci è stata dalla fine del Settecento in poi con modelli diversi, non è avvenuta nei Paesi dell’Est. Basti pensare all’impero asburgico che si è diviso in due pezzi. A Occidente sia pure in maniera limitata abbiamo avuto un costituzionalismo democratico, in Ungheria, in Polonia in Slovacchia non ne hanno voluto neppure sentire e questo ha impedito il completamento della rivoluzione costituzionale democratica anche nell’Est Europa.
Questo ci dice la storia e da qui bisogna ripartire. Dobbiamo costruire la vera sanzione a Putin che può essere solo quella di un’Europa che fa grandi scelte a partire dallo stoccaggio nell’energia puntando all’autonomia e che può finalmente schierare sui terreni della geopolitica un esercito e una politica estera comuni. Nel frattempo, però, l’Italia e l’Europa si sporchino le mani con l’energia facendo scelte di grande innovazione ma anche di utilizzo di tutte le fonti disponibili compreso carbone e capacità a olio. Nel frattempo, soprattutto, non si azioni il pilota automatico delle sanzioni americane energetiche ai russi che strangolano l’Italia e la Germania. Nessuna lealtà di alleanza può obbligarci a mettere in gioco la sopravvivenza di un’economia e di un Paese.
Questo davvero non ce lo può chiedere nessuno. Se poi i partiti italiani e i nostri parlamentari capissero anche che in un quadro globale così complicato l’unica carta che l’Italia ha per essere rispettata è quella di Draghi forse finirebbero gli ostruzionismi. Forse, si procederebbe a passo spedito su riforme e Pnrr. Perché il primo fuoco per l’Italia sono la guerra in Ucraina e lo scontro America-Russia, ma il secondo fuoco amico è la Bce che ha lasciato in pancia alla Banca d’Italia 700 miliardi di nostri titoli sovrani e il terzo fuoco amico è la Commissione europea che vuole vedere se siamo diventati capaci di spendere i soldi che loro ci danno o no. In questa situazione interna e esterna rasenta la follia mettere Draghi nelle condizioni di dovere scegliere tra la dignità di tutelare se stesso e il Paese e quella di mandare tutti a quel Paese perché nessuno vuole cambiare registro. Fermiamoci anche noi fino a quando siamo in tempo.
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