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Gli Stati Uniti faranno tutto il possibile perché sono tra i massimi inquinatori, ma non vogliono nuove tassazioni. Ci sono Paesi europei come l’Italia che sono già avanti con costi alti e ipotizzano di fare altri investimenti. I cinesi, al primo posto tra gli inquinatori, dicono “lo faremo, ma non ora”. Poi, ci sono i Paesi in via di sviluppo come l’India, il Brasile e quelli del Medio Oriente che frenano. In questo delicato esercizio il lavoro di Draghi nel suo doppio ruolo (G20 e COP26) può dare frutti non scontati. Si tratta di mobilitare interventi finanziari significativi e di allargare il campo di azione di Banca mondiale, Fondo monetario e Wto in una nuova cornice di poteri che ambisce a essere la nuova Bretton Woods
La terra brucia, ma qualcosa si muove. Sull’ambiente il G20, anche su spinta italiana, ha ripreso la strada maestra dell’accordo di Parigi. Che era stato messo in quarantena da Trump. Oggi tornano tutti a muoversi in quella direzione, si avvertono gli effetti del nuovo quadro politico americano e, pur con gli inevitabili distinguo, sulla linea generale di marcia si sono adeguati anche Paesi come l’Arabia Saudita e l’India.
L’accordo sulle tasse che era impensabile all’inizio ora c’è. Anche qui il cambio di amministrazione americana ha aiutato molto. Forse, ci sarà sul piano dei vaccini un accordo internazionale con una forte presa di posizione a favore dei Paesi in ritardo perché aumenta la consapevolezza che la campagna di vaccinazione non può che essere globale. Il punto più importante di tutti riguarda, però, la lotta al cambiamento climatico. Anche qui c’è una consapevolezza diffusa che bisogna fare qualcosa, ma sono in gioco costi enormi e i Grandi del mondo devono convincersi che questi costi vanno affrontati anche con effetti temporanei perché il rendimento di fare oggi qualcosa può essere molto importante domani.
Diciamo le cose come stanno. Si tratta di mobilitare interventi finanziari significativi e di allargare il campo di azione di Banca mondiale, Fondo monetario e Wto in una nuova cornice di poteri che ambisce a essere la nuova Bretton Woods. Resta il dato di fatto che il Tesoro americano, che ha in mano le casse del secondo inquinatore del mondo, il primo è la Cina, è lontano dal decidere nuove tassazioni a questo scopo e non pensa a un rapido abbandono nell’utilizzo di fonti fossili per il 2030. Certo, l’accordo di principio che entro il 2050 si arriverà a emissioni zero non si nega a nessuno, ma se si vuole nel secolo un aumento di temperature tale da non avere effetti drammatici catastrofici serve qualcosa di più.
Per queste ragioni molto probabilmente l’accordo di principio del G20 presieduto da Draghi rinvierà a qualcosa di più sostanzioso da definirsi in sede di COP26 a Glasgow, copresieduto dallo stesso Draghi e dal primo ministro britannico Johnson, rispettivamente in qualità di presidenti di G20 e di G7. Ovviamente servirà una forte accelerazione di azioni e contatti tra primo e secondo inquinatore del mondo, Cina e Stati Uniti appunto, che dovrà consentire di esplorare l’intera cassetta degli attrezzi disponibili. In questo delicato esercizio il lavoro di Draghi nel suo doppio ruolo può dare frutti non scontati.
Si tratta di definire misure alternative in termini di incentivi per le grandi imprese, di collocare in modo realistico i dati sulle emissioni per valutarne correttamente i rischi e muoversi di conseguenza. Si tratta di utilizzare le banche e, in genere, le istituzioni finanziarie a tutto campo, ma rendendosi conto se sul piano politico e finanziario ci sarà o meno una possibilità di compensare Paesi che non hanno gli spazi fiscali per agire, che non possono dunque intervenire con incentivi fiscali perché non sanno come pagarli.
Bisogna capire quanto è disponibile come grant o in generale sussidio a livello globale, ma sia chiaro che tutto dipende dal fatto se gli Stati Uniti e la Cina, la Russia e l’India, decidono o no preliminarmente di intervenire.
Questo è il punto. Gli Stati Uniti faranno tutto il possibile perché sono tra i massimi inquinatori, ma come già anticipato dalla Yellen non vogliono che questi interventi passino attraverso nuove tassazioni. Ci sono Paesi europei come l’Italia che sono già avanti con costi alti e ipotizzano di fare altri investimenti. I cinesi invece dicono “lo faremo, ma non ora” anche se hanno la pressione delle opinioni pubbliche per le grandi città. Poi, ci sono i Paesi in via di sviluppo come l’India, il Brasile e i Paesi del medio oriente che frenano. Si fa molta pubblicità in casa loro su questi temi e le comunità sono spaventate dal costo di tutta questa roba che può significare per loro aumento dell’inflazione e riduzione del reddito potenziale.
Sono ovviamente più interessati a una regia globale Fondo monetario e Banca mondiale. Avrà un ruolo più rilevante la Wto. Così come soggetti, tipo BlackRock e altri sempre privati, sono disponibili a investire una parte dei loro fondi come strumenti finanziari gestiti da banche in via di sviluppo che dovrebbero trasferire queste risorse alle economie emergenti. Va bene, certo, per le piccole economie, non per India e Brasile. Non ha senso ovviamente per la Cina e serve altro per i Paesi arabi. C’è un motivo geopolitico, più che altro, che guida tutto e che deve capire che la nuova Bretton Woods non può più attendere.
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