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DA MOLTO tempo abbiamo sottovalutato il ruolo dell’autotrasporto, e più in generale della logistica, nel nostro Paese e questa sottovalutazione è davvero imperdonabile: il Paese cresce grazie a questo comparto, infatti la movimentazione delle merci per oltre l’85% avviene su strada; quindi la efficienza di chi gestisce l’intero processo di logistica diventa la condizione essenziale per far crescere l’intero Paese. Spesso, però, dimentichiamo che le aree del Nord sono avvantaggiate rispetto a quelle del Sud perché il mercato, quello vincente, è ubicato al centro dell’Europa e quindi la fascia meridionale del nostro Paese è legata alla efficienza dei collegamenti ed alla loro velocità, alla loro sistematicità e alla loro garanzia imprenditoriale.

Per essere più precisi penso sia utile ricordare quanto riportato nell’incontro di Milano del Transpotec; in tale occasione è emerso che negli ultimi anni, grazie ad uno studio portato avanti da Federservice (Gruppo Federtrasporti), è in corso una grossa spinta verso forme societarie più strutturate, cioè si sta passando dal “padroncino” (un autista ed un veicolo) a forme societarie con più mezzi; questo processo sembra essere stato accelerato dall’onda pandemica e dalle due guerre. I dati parlano chiaro: negli ultimi dieci anni (dal 2013 al 2023) secondo i dati di Unioncamere il totale delle imprese è diminuito quasi del 21% passando da circa 102.000 unità a circa 70.000 e contemporaneamente sono cresciute le forme societarie più strutturate; infatti le società di capitale oggi rappresentano quasi il 32% del totale con circa 27.000 realtà.

Per essere ancora più precisi il dato che ritengo più significativo è il passaggio delle realtà molto piccole, cioè quelle che identificano i “padroncini” monoveicolari, passate, ripeto, da un numero di circa 62.000 unità del 2013 a circa 37.000 unità del 2023. Infine un altro dato, emerso sempre dall’incontro di Milano, è quello prodotto dall’Albo degli autotrasportatori: oggi in Italia abbiamo 961 aziende con un parco mezzi superiore a 100 veicoli e rappresentano appena lo 0,95% delle aziende operanti sul mercato ma gestiscono oltre 260.000 camion cioè quasi il 31% dell’intero parco italiano.

Questi dati quindi denunciano un fatto positivo: negli ultimi dieci anni le aziende di autotrasporto appaiono più forti ed economicamente più sostenibili. Quindi in quaranta anni siamo passati da una convinta ed intoccabile logica del “padroncino” (ripeto del singolo proprietario di uno o due mezzi di trasporto) ad una aggregazione di realtà davvero inimmaginabile, una realtà che ha visto, soprattutto negli anni ’80, confronti e scontri tra Governo ed intero comparto davvero pericolosi di una realtà che oggi si avvia verso un assetto organizzativo strutturato. È un cambiamento che era difficile prevedere, a tale proposito non posso dimenticare il blocco di 4 giorni del 1985, un blocco che sottopose l’intero Paese ad una non facile emergenza (a tale proposito ricordo che dopo il quarto giorno di blocco entrano in crisi gli approvvigionamenti energetici degli aeroporti e degli ospedali); erano i tempi degli scontri tra la Confetra e la FAI, la FITA e l’ANITA (le varie Associazioni rappresentative del comparto), erano i tempi dei confronti tra Guido Cremonese (Presidente di Confetra), Paolo Uggè, Giacomo Sarzina, Giuseppe Sambolino e l’ex Ministro Claudio Signorile. Confronti quasi sempre mirati alla richiesta di un riconoscimento formale a questo comparto di soglie tariffarie adeguate, soglie che poi non venivano concretamente rispettate ma utili solo per vincere battaglie di principio.

In tutto questo acceso confronto il Mezzogiorno del Paese rappresentava una sistema a se stante; infatti vere aggregazioni di “padroncini” erano quelle di supporto agli impianti Ilva di Taranto (ricordo che su 6 milioni di tonnellate di acciaio prodotte annualmente su ferrovia venivano trasportate solo 350.000 tonnellate) e quindi la logistica e il trasporto su gomma diventava una condizione obbligata. Nel Paese analogo fenomeno lo si aveva in Sicilia dove l’area industriale di Priolo (Siracusa) o l’area industriale di Termini Imerese erano legate ad un servizio di logistica e di trasporto su gomma garantito da una sommatoria di “padroncini” spesso non inseriti nelle associazioni di categoria nazionali.

Questo mondo, o meglio, questo assetto rivendicativo, forse sta finendo e sta nascendo un assetto auspicato sin dai primi anni Ottanta, cioè una aggregazione ed una vera e misurabile impostazione societaria capace di superare i non facili momenti che l’intero comparto ha vissuto in tutti questi anni. Io ricordo sempre che il mondo dell’autotrasporto è simile ai “linfonodi sentinella”, sì a quelle ghiandole linfatiche del corpo umano che anticipano e pre allertano il formarsi di forme cancerogene; infatti è un comparto che conosce talmente bene le evoluzioni e le involuzioni del sistema produttivo da anticipare fenomeni di crisi come, ad esempio, avvenne nel 2008 quando tutti gli ambienti economici (FMI, Banca d’Italia, Ministero dell’Economia e delle Finanze e BCE) previdero una crescita del PIL per il 2009 – 2010 del 6% – 8% ed il mondo dell’autotrasporto sei mesi prima aveva anticipato che invece ci si avviava verso un crollo del 7% o, addirittura dell’8% come poi avvenne. Ebbene, oggi la componente chiave dell’economia del Paese, la logistica, ripeto spesso non capita ed a cui non ne riconosciamo il ruolo determinante nella crescita e nello sviluppo, incontra tre gravi emergenze:

  1. Le guerre: quella in Ucraina ha praticamente bloccato la fluidità degli itinerari all’interno dell’Europa. Mentre la guerra nel Mar Rosso rischia di far crollare la movimentazione nei nostri porti.
  2. Oltre il 97% dei veicoli adibiti al trasporto delle merci è ancora alimentato a gasolio. L’elettrico tra i mezzi pesanti ancora non decolla: nel 2023 sono stati venduti in Italia solo 72 camion a batteria.
  3. La carenza di professionalità nell’autotrasporto, uno studio di Unioncamere ha denunciato che nel 2023 la figura dell’autista si è attestata al secondo posto della classifica per numero maggiore di assunzioni di difficile reperimento e non c’è nessuna inversione di tendenza dato che in questi primi mesi del 2024 le assunzioni riusciranno a coprire meno della metà del fabbisogno reale di 65.430 posti di lavoro.

Sottovalutare queste emergenze, sottovalutare queste difficili criticità significa compromettere l’accesso sui mercati dei nostri prodotti, significa penalizzare ulteriormente, questa volta forse in modo irreversibile, il Sud, significa incidere, in modo rilevante, sulla crescita del nostro PIL. Svegliamoci da un torpore che per molti anni, in particolare nell’ultimo decennio, ha caratterizzato il comportamento del Governo e del Parlamento nei confronti di questo polmone insostituibile dello sviluppo.


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