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Un cantiere

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È giusto dire che la paventatissima recessione non ci dovrebbe essere. Per l’Italia però la nostra situazione di partenza è differente da quella degli altri Paesi ed esige di procedere sulla strada delle riforme di struttura e di quel clima di fiducia che sono stati alla base del miracolo di consumi del 2021. Serve in modo assoluto un cambio di paradigma della politica italiana che consenta di trasformare l’anno dei bandi del Pnrr, che è il 2022, nell’anno dei cantieri effettivamente aperti che è invece previsto per il 2023. Ovviamente partendo dal Mezzogiorno e accompagnando questa nuova stagione di investimenti pubblici con l’attrazione di investimenti privati interni e internazionali che diano un contenuto di realtà al sacrosanto racconto di un Sud d’Italia nuovo hub energetico dell’Europa e territorio privilegiato per la messa in sicurezza delle filiere produttive europee

Il bagno di realismo che l’Europa manda a se stessa e all’Italia con le previsioni macroeconomiche che correggono la crescita europea al 2,7% e quella italiana al 2,4% scongiurano per il momento ipotesi di recessione, ma indicano con chiarezza che il percorso italiano fatto di misure di sostegno selettivo finanziate tagliando qualche spesa o aumentando qualche entrata come ha fatto il governo tassando gli extraprofitti è obbligato dal contesto globale. Segnato dalla pandemia e dalla guerra con le conseguenti crisi inflazionistica, energetica, alimentare e la stretta monetaria in atto da parte delle banche centrali. L’Europa ha, dunque, promosso il governo e bocciato tutto il resto che è il rumore della propaganda politica italiana sganciata in tutto e per tutto dalla realtà.

Parliamo di bagno di realismo perché l’Italia è oggettivamente il Paese più fragile dell’Europa per il fardello di debito che gli ultimi venti anni hanno lasciato sulle spalle di tutti gli italiani. Ogni ipotesi di scostamento sarebbe quanto meno imprudente. Perché se è vero che la crescita accreditata dalle previsioni europee del 2,4% sarebbe quasi tutta crescita acquisita grazie alla performance da anni di miracolo economico (+6,6%) del 2021 che ha impedito che il rapporto debito/Pil corresse verso quella quota del 160% indicata dal Conte due, è innegabile che nonostante questo miracolo oggettivo del governo Draghi il quadro italiano resta complicatissimo. In una situazione di restrizione obbligata della politica monetaria per abbattere il mostro inflazione, il nostro Paese che aveva un rapporto debito/Pil pre pandemia e pre guerra del 134% si troverà a fine 2022 se tutto va bene al 147%. Tutto questo ovviamente potrà avvenire per noi e per gli altri sempre che, come appare ormai chiaro a tutti, l’embargo al petrolio russo non ci sarà e se si riuscirà a sbloccare per davvero il granaio ucraino altrimenti i flagelli della crisi alimentare apriranno scenari inesplorati.

Potremmo dire, anzi è giusto dire, che la paventatissima recessione non ci dovrebbe essere, e che addirittura le previsioni di crescita per la Germania si fermano ancora più in basso all’1,6% perché come noi paga il conto più salato legato alla dipendenza energetica da gas e petrolio russi. Il punto, però, per noi Italia, è che ciò che proprio non è più possibile è quello di continuare a vivacchiare intorno alla media della crescita europea perché la nostra situazione di partenza è differente da quella degli altri ed esige di procedere sulla strada delle riforme di struttura e di quel clima di fiducia che sono stati alla base del miracolo di consumi del 2021.

Non basta all’Italia di oggi dire “non siamo in recessione” e i segnali che provengono dal turismo, dall’edilizia, dal mondo della produzione e delle esportazioni indicano che la parte vitale del Paese ha fiducia nella guida senza improvvisazioni della politica economica del governo Draghi e nel ruolo che la sua leadership sta esercitando nella costruzione della nuova Europa e della strada diplomatica alla pace.

Quello che, però, ora serve in modo assoluto lo abbiamo detto ieri, lo ripetiamo oggi, è un cambio di paradigma della politica italiana che consenta di trasformare l’anno dei bandi del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr), che è il 2022, nell’anno dei cantieri effettivamente aperti che è invece previsto per il 2023. Ovviamente partendo dal Mezzogiorno e accompagnando questa nuova stagione di investimenti pubblici con l’attrazione di investimenti privati interni e internazionali che diano un contenuto di realtà al sacrosanto racconto di un Sud d’Italia nuovo hub energetico dell’Europa dal Mediterraneo e territorio privilegiato per il completamento di filiere produttive di livello europeo da mettere in sicurezza come approvvigionamenti e come produzione. Questa è la prova del fare più impegnativa da superare, ma è anche l’unica possibile.


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