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Lo scandalo dei progetti bandiera delle Regioni da bloccare sul nascere e l’urgenza di usare i poteri di supplenza della nuova governance anche per la revisione prezzi. La ministra per il Sud, Mara Carfagna, chieda e ottenga l’avallo dell’Economia e dell’intero governo affinché diventi operativa una struttura centrale che coordini tutti i soggetti tecnici per fare partire davvero gli investimenti e chiuda così la stagione della convegnistica sulle scelte strategiche su cui ormai sono tutti d’accordo. Su estrazioni e fonti rinnovabili un super commissario con poteri manu militari. La commissione europea sulla scuola finanzia tutto ma chiede solo una cosa: formazione permanente di docenti e scatti con valutazione di merito non di anzianità, l’esatto contrario di quello che vogliono, sbagliando, sindacalisti e politici.
Siamo nel pieno di un vortice globale fatto di sindrome cinese da Covid infinito che rallenta anche l’unica potenza economica che aveva ripreso a marciare con la Russia che taglia in contemporanea le forniture energetiche alla Polonia e la reazione europea sul petrolio che si avvicina. Siamo nel pieno della grande guerra delle materie prime con l’Italia vittima prescelta numero uno perché unico Paese al mondo dipendente dallo Stato aggressore, la Russia, per gas e petrolio, e dallo Stato aggredito, l’Ucraina, per l’intera filiera agro-alimentare. In un contesto internazionale così complicato è d’obbligo che sul piano interno si sfruttino al meglio tutte le opportunità offerte dall’Europa e dai risvolti meno nefasti della storia. Invece non va così o almeno così non va sempre.
Ci mancavano solo i “progetti bandiera” delle Regioni per complicare il quadro attuativo del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) che resta a tutt’oggi l’arma più potente per contrastare il salatissimo conto italiano di due cigni neri, pandemia e economia di guerra, che rischiano seriamente di fare conoscere al Paese la terza recessione in meno di quindici anni. Bisogna che si capisca una volta e per tutte che le risorse sono europee e nazionali, che il Piano di interventi è quello scelto dal Paese per colmare le disparità territoriali, di genere e generazionali, e che i soggetti attuatori sono Ministeri e Comuni. Alle Regioni spetta un ruolo minimo che non è di sicuro quello che loro vogliono svolgere e, cioè, di decidere loro che progetti si fanno o non si fanno, quale Comune amico finanziare e quale Comune nemico tenere a stecchetto.
Purtroppo, questo attivismo nasce dalla convinzione che, soprattutto, gli enti locali meridionali non saranno in grado di fare buoni progetti e di portarli all’esecuzione. Si vogliono, quindi, creare le condizioni normative e finanziarie perché quelle risorse eventualmente non utilizzate siano spendibili da loro con i loro “progetti bandiera” che sono quasi sempre scartoffie rispolverate di dieci o venti anni fa. Questo è uno scandalo che non si può nemmeno accettare come ragionamento di principio.
Abbiamo detto con chiarezza che molte amministrazioni comunali meridionali sono indifendibili e sfiorano il ridicolo con questi sindaci che dicono “date i soldi a noi” e sappiamo “noi a chi darli” perché gli asili nido, le palestre, le mense scolastiche non ci servono. Qui siamo di fronte all’oscurantismo più grave e vanno usati tutti i poteri di supplenza previsti dalla nuova governance del Pnrr per renderli innocui. Attenzione, ballano 10 miliardi di revisione prezzi fino al 2026 anche per i progetti di alta velocità come quella ferroviaria che dovrebbero potenzialmente camminare meglio, ma se non si rafforza una struttura centrale operativa con pieni poteri scegliendo con estrema urgenza chi ha le competenze e il carattere per assolvere a questo delicato ruolo, il fallimento si vedrà dopo ma è assicurato.
Per un sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, che non sbaglia un colpo, ce ne sono una miriade che sono ancora totalmente allo sbando e vogliono che ritornino in gioco i capi delle Regioni meridionali per ripetere i disastri presenti e passati già verificati con i fondi di coesione e sviluppo. Bisogna che la ministra per il Sud e la coesione territoriale, Mara Carfagna, che ha mostrato fino a oggi dinamismo e spirito di iniziativa, affronti ora questa situazione e si faccia promotrice di decisioni operative non più eludibili. Avendo la forza di chiedere e di ottenere l’avallo dell’Economia e dell’intero governo perché la struttura centrale unica diventi operativa coordinando tutti i soggetti tecnici coinvolti e chiudendo con urgenza la stagione della convegnistica che alimenta solo nuove perdite di tempo oltre che polemiche e divisioni.
La storia si batte in modo accanito a favore del Mezzogiorno perché la pandemia ha rilanciato i territori meridionali come allungamento naturale della filiera produttiva globale italiana in tutto il suo ciclo e lo scenario di guerra prolungato obbliga in materia di sicurezza di approvvigionamenti energetici a scommettere sul Mezzogiorno italiano come porta del Mediterraneo per l’intera Europa prima ancora che per l’Italia. Dalla industria del mare alla questione energetica fino all’approvvigionamento di tutte le materie prime l’unica cosa di cui non c’è più bisogno sono discussioni di tipo strategico, quello di cui c’è invece molto da fare, non da ragionare, è come tradurre queste obbligate scelte strategiche in decisioni effettive usando a livello centrale tutte le armi che uno Stato all’altezza della sfida può mettere in campo.
Non è tollerabile che il governo ai massimi livelli e l’Eni con il suo innegabile potere negoziale garantiscano all’Italia una via privilegiata rispetto alla stessa Francia negli approvvigionamenti in Africa mentre la transizione ecologica guidata da Cingolani non esca dalla sua mitezza nella battaglia con le sovrintendenze difese da Franceschini per nominare un supercommissario e fare partire subito una campagna di estrazione nei mari del Sud condotta manu militari. Così come si deve fare con ancora più forza per tutto ciò che è possibile negli stessi territori a favore dell’eolico e del solare tagliando brutalmente ogni genere di complicazione normativa. Siamo arrivati al dunque. Perché nel pieno di un terzo cigno nero da (quasi) terza guerra mondiale diventa patetica la ricerca di nuovi libri bianchi sul Mezzogiorno o dibattiti astratti su quanto debba venire da fonti rinnovabili e quanto da gas e carbone. A nessun ministro e, tanto meno, a più o meno blasonati centri studi può essere ancora consentito di fare perdere tempo a tutti perché in gioco c’è il futuro di milioni di posti di lavoro da difendere ora, non domani, con scelte che producono effetti, ora non domani.
È la stessa identica situazione che si ripete, sempre all’interno del Pnrr, con la scuola, che è, a sua volta, il capitale umano dell’Italia di domani se si vogliono davvero riunificare le due parti del Paese. Quindi, il capitale più prezioso della rinascita italiana possibile. La Commissione europea finanzia tutto, ma chiede solo una cosa: formazione permanente dei docenti e scatti con valutazioni di merito, non di anzianità, l’esatto contrario di quello che vogliono sindacalisti, lobbisti della politica e parlamentari al servizio di entrambi per quelle stesse ragioni clientelari-elettorali che sono state la base culturale e materiale della decadenza ventennale italiana. La stagione delle analisi e delle scelte strategiche, per non parlare della convegnistica, quando si tratta di Sud e di approvvigionamenti energetici è chiusa per sempre. Diciamo che ha esaurito la sua funzione perché ormai tutti sanno tutto. Adesso bisogna operare senza guardare in faccia a nessuno.
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