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I numeri del Def ci dicono che la guida della politica economica italiana è in mani sicure, ma anche che siamo alla prova del nove che il bilancio pubblico italiano non ha gli strumenti finanziari per fare fronte alla crisi senza precedenti di pandemia e guerra. Il punto è che lo Stato nazionale non può mettere sul piatto più di 9,5 miliardi di cui 4,5 a copertura di impegni già presi per cui di miliardi nuovi ne restano 5. Che è il nulla visto che per fare fronte solo alla crescita del caro bolletta il costo medio mensile per le imprese è stimato in 5,7 miliardi e su base annua si arriva a 68. Non possiamo fare diversamente perché lo Stato della Repubblica italiana si muove su un crinale stretto che riguarda la reputazione dei suoi titoli sovrani (il rendimento del Btp Italia decennale è a quota 2,3 rispetto allo 0,67 dell’aprile del 2021) dentro uno scenario di stretta monetaria mondiale con la Fed che annuncia 10 aumenti di tassi e di forte contrazione della crescita globale a partire dalla Cina. Per cui se l’Europa non fa quello che Draghi chiede non avremo l’intervento di quella stazza finanziaria, normativa, strategica, energetica, necessario per bloccare lo scenario avverso della recessione vera. Recuperiamo intanto lo spirito della scelta collettiva del Dopoguerra che il Paese fece con De Gasperi, Di Vittorio e Costa
Non si poteva fare altro di diverso nella condizione data. Trasferire fiducia, chiedere unità, mantenere la rotta ferma delle riforme. La guida della politica economica italiana è in mani sicure, che sono quelle di Draghi e Franco, ma siamo anche alla conferma finale, o se volete alla prova del nove, che il bilancio pubblico italiano non ha gli strumenti finanziari per fare fronte a una crisi di questo tipo che è senza precedenti. Perché questa crisi presenta agli italiani il conto cumulato di due cigni neri arrivati in sequenza uno dietro l’altro (pandemia e guerra) dopo quello della crisi dei debiti sovrani del 2011 che ci portò in dote la seconda recessione.
Questo ci dicono i numeri del Documento di economia e finanza (Def) nello scenario di fiducia realista prescelto avendo, però, molto chiaro che il quadro complessivo sta peggiorando, che si sbaglia meno a essere pessimisti che ottimisti perché pandemia e guerra sono un cocktail esplosivo. Il punto è che proprio all’interno di questa operazione verità lo Stato nazionale non può mettere sul piatto più di 9,5 miliardi di cui 4,5 a copertura di impegni già presi per cui di miliardi nuovi ne restano 5. Che dovrebbero servire a contenere i prezzi dei carburanti e il costo dell’energia, a coprire l’incremento dei prezzi delle opere pubbliche del Piano nazionale di ripresa e di resilienza e dei fondi per le garanzie sul credito alle imprese, oltre a assistere i profughi ucraini e ad alleviare l’impatto economico del conflitto in corso in Ucraina sulle aziende italiane. Cinque miliardi per fare tutto ciò è il nulla assoluto visto che per fare fronte solo alla crescita del caro bolletta il costo medio mensile per le imprese è stimato in 5,7 miliardi e su base annua si arriva a 68.
Diciamocela tutta. Lo Stato della Repubblica italiana si muove su un crinale strettissimo che riguarda la reputazione dei suoi titoli sovrani sui mercati ed è misurato da tre numeri che devono fare riflettere: il rendimento del Btp Italia decennale ieri è arrivato a quota 2,3 con uno spread a 168; a inizio anno lo stesso rendimento si fermava all’1,18 che era già il doppio dell’aprile del 2021 quando il decennale passava di mano allo 0,67.
Parliamoci chiaro: siamo di fronte a incrementi nettamente oltre il 100%, superiori a quelli tedeschi con il piccolo particolare che dobbiamo collocare sul mercato molti più titoli di loro e soprattutto di dovere pagare molto più di loro. Operiamo, per di più, in un quadro globale in cui la Cina rallenta e la crescita mondiale pure. Dove la vicepresidente della banca centrale americana ha detto senza mezzi termini di volere fare 10 aumenti di tassi consecutivi, ripetendo peraltro lo stesso errore di Trichet di molti anni fa alla guida della BCE, perché intende attuare una politica monetaria restrittiva che porterà di sicuro la recessione in America, ma stroncherà il mostro inflazione.
I titoli di stato statunitensi sono ai massimi storici degli ultimi cinquant’anni. Siamo alla vigilia di una stretta monetaria mondiale molto forte perché le banche centrali ora hanno paura dell’inflazione e perché la Federal Reserve tra l’economia e l’inflazione ha scelto la lotta alla inflazione.
Facciamola breve: il percorso virtuoso italiano individuato si muove dentro una scelta coraggiosamente espansiva che riesce comunque a tutelare un deficit-Pil al 5,6% e un debito/prodotto interno loro (Pil) che, pur avvantaggiandosi della crescita dell’inflazione che fa salire nominalmente il denominatore (appunto il Pil) rispetto al debito, dovrebbe scendere quest’anno al 147,0 e poi via via fino al 141,4% nel 2025. Siamo, a questo punto, arrivati al dunque. Ci ritroviamo in mezzo a due cigni neri mondiali e come Paese in mezzo a due burroni, esplosione del debito da una parte e rischio mercati, esplosione dell’economia e rischio deindustrializzazione dall’altra.
La dimensione del problema è tale da esigere un intervento di una stazza finanziaria, normativa, strategica, energetica, che non è fattibile con gli strumenti di un bilancio nazionale per di più di un Paese super indebitato come l’Italia. Per questo se l’Europa non fa quello che Draghi chiede, per fortuna non solo lui, e cioè un tetto europeo al prezzo del gas che sarebbe poi quello stabilito dal primo compratore del mondo e un nuovo Recovery fatto di compensazioni finanziarie immediate che rispondano a uno shock comune frutto della guerra lunga, allora si avvera lo scenario avverso della recessione vera, non solo tecnica, correttamente delineato nel documento di economia e finanza.
Questo è il bivio che soprattutto l’Italia ha davanti a sé perché questa volta, a differenza della pandemia che ha bloccato l’economia di tutti, lo shock esogeno da guerra determina situazioni nazionali differenti. A seconda dei singoli tassi di dipendenza energetica e alimentari esterni. A seconda della reputazione sovrana sui mercati delle singole nazioni. A seconda se prevarranno o meno le tentazioni europee di tornare a dividersi o a non decidere. Anche per questo, a nostro avviso, è molto importante l’appello di Draghi all’unità del Paese , che vuol dire unità di partiti, di governo, ma anche di forze datoriali, di sindacati, di comunità civile.
C’è in questo passaggio il respiro della scelta collettiva che il Paese seppe fare nel Dopoguerra quando l’armatore Costa, presidente della Confindustria, il bracciante figlio di braccianti Di Vittorio, leader della Cgil, il trentino de Gasperi e i suoi governi della rinascita capirono la portata della partita in gioco e seppero muoversi all’unisono. Questo per l’Italia è di quei momenti storici che ricordano quella fase con un tasso ancora più elevato di problemi da risolvere e di incertezze da diradare. Se non altro perché allora eravamo usciti dalla seconda guerra mondiale e oggi invece, anche se riguarda l’Ucraina, questa guerra di Putin contro uno Stato sovrano libero nel cuore dell’Europa tutti la sentiamo come una guerra nostra. Cerchiamo di essere almeno coerenti e speriamo bene.
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