Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, primo azionista delle Generali
6 minuti per la letturaL’Europa non pone un tetto ai prezzi perché Germania e Olanda non vogliono. Gli americani vincono la guerra del gas con i russi dopo che Nord Stream 1 e 2 erano stati concepiti da francesi e tedeschi insieme per bloccare il gasdotto Sud e le ambizioni italiane di essere noi la porta di accesso del gas in Europa. Per l’Italia c’è un tema di colonizzazione francese della finanza da tempo. Di questi “ufficiali di collegamento” ce n’è uno che sta più in alto di tutti: si chiama Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, primo azionista delle Generali. Ha il “merito” di avere aperto le porte dell’Italia a una schiatta di capitalisti predoni e di manager francesi funzionali al sistema di dipendenza e di avere ridotto a pochissima cosa la stessa Mediobanca. Arrivando a fare delle Generali, il pezzo più pregiato del Paese con un patrimonio cruciale per la sua stabilità, un feudo di manager autoreferenti che rispondono solo alla loro sopravvivenza e a quegli interessi. Fino a diventare esso stesso un ostacolo alla crescita della società. Anche per queste ragioni la “battaglia per l’indipendenza” delle Generali condotta da Francesco Gaetano Caltagirone, che ha investito quasi tre miliardi di euro nella compagnia, è sacrosanta
IL RIDISEGNO dell’ordine internazionale passa attraverso il riordino dell’ordine europeo. Questo ci dicono la pandemia globale, il nuovo ’29 mondiale e la guerra di Putin in Ucraina. Questo ci dicono le scene terribili di sangue nel cuore dell’Europa e la geopolitica che si intreccia ogni giorno con la guerra finanziaria e ridisegna gli assetti di potere e economici.
Purtroppo, si constata che c’è un discorso sull’unità dell’Europa che resta ancora un discorso di nazioni. Per cui l’Europa comprerà il gas come acquirente unico per tutti ma non si può porre un tetto ai prezzi perché Germania e Olanda non vogliono e si nascondono dietro gli altolà dei fornitori norvegesi che non vogliono rinunciare ai loro extra utili. Gli americani vincono la guerra del gas dopo avere fatto saltare il gasdotto Nord Stream 2 voluto dalla cancelliera Merkel anche per tenere agganciata Mosca all’Europa, ma dopo che Nord Stream 1 e 2 erano stati concepiti da francesi e tedeschi insieme per bloccare il gasdotto del Sud e le ambizioni italiane di essere noi la porta di accesso del gas in Europa. Si discuterà ancora sul tetto al prezzo, ma per ora non si decide.
Questa di un’Europa che fa eccezionalmente debito comune per fronteggiare la pandemia, ma resta essenzialmente un discorso di nazioni è una verità pericolosa. Ci sono le storie delle nazioni che pesano sulle nazioni. La Francia, lo sappiamo, non rinuncia alla sua idea di grandeur anche se si vede sempre più insidiata dalla Germania. Che, a sua volta, si lecca le ferite per avere garantito tante cose alla Russia di Putin che così stava buona e invece ha ottenuto il risultato opposto di illuderla di rifare il suo impero perché per loro o la Russia è un impero o non esiste. Alla Cina è andata meglio perché non ha al suo interno Stati in grado di autonomizzarsi.
Vorremmo essere ancora più precisi. Su Macron, che sta facendo bene il suo, pesa la storia di De Gaulle e, a ben vedere, dietro la grandeur c’è un altro disegno imperiale da ricostruire. Che si scontra con la Germania che torna ad essere un grande Stato che fa anche spesa militare per cui il motore franco-tedesco rischia di essere sbilanciato da questo ritorno. Che appunto impone la sua linea: il tetto al prezzo del gas non si può fare. Con chi lo fa? In coppia con chi? Con l’Olanda ovviamente che sui derivati di quelle materie prime ci fa guadagni d’oro, ma anche perché perderebbe un altro pezzo del suo status che “vive” sulla sua storia di essere stata nel Seicento e nel Settecento uno dei più grandi imperi commerciali al mondo. Sempre di volontà imperiali stiamo parlando.
Allora a questo punto la domanda è: gli altri, a partire dall’Italia, sono in grado di chiedere e ottenere da Germania e Francia di smetterla di mettere sempre al primo posto la loro egemonia nel sistema europeo, ma piuttosto di guidare con l’Italia l’egemonia non loro ma del sistema europeo? Questo discorso vale per l’Europa e ancora di più per l’Italia stretta nella doppia morsa della colonizzazione finanziaria e industriale di Francia e Germania.
Su questo punto ho scritto in tempi non sospetti che esiste in Italia soprattutto una questione francese in quanto c’è una squadra bancaria, finanziaria, industriale su cui la Francia può contare in Italia. Un esercito di uomini e posizioni costruite nel tempo, ognuna con una sua ragione e un suo profilo, ma all’interno di un assetto di insieme che risponde a una regia diretta a convogliare sotto le insegne o interessi francesi pezzi sempre più importanti dell’economia e della finanza italiane, con banche e assicurazioni in prima fila. Di questi “ufficiali di collegamento” che sanno stare bene al mondo ce n’è uno che sta più in alto di tutti: si chiama Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, primo azionista delle Generali. Ha il “merito” di avere aperto le porte dell’Italia a una schiatta di capitalisti predoni e di manager francesi funzionali al sistema di dipendenza e di avere ridotto a pochissima cosa la stessa Mediobanca.
Arrivando in un circuito autoregolato a fare delle Generali, il pezzo più pregiato del Paese con un patrimonio cruciale per la sua stabilità, un feudo di manager autoreferenti che rispondono solo alla loro sopravvivenza e a quegli interessi. Fino a diventare esso stesso un ostacolo alla crescita della società. Se è vero, come è vero, che vent’anni fa Generali era seconda solo ad Allianz mentre ora è metà di Zurich e di Axa, un terzo di Allianz. Se è vero, come è vero, che alla guida di Zurich e artefice della sua crescita c’è quel Mario Greco, ex ad delle Generali, che andò via dalla compagnia triestina proprio per contrasti con l’azionista di maggioranza relativa.
Per queste ragioni la “battaglia per l’indipendenza” delle Generali condotta da Francesco Gaetano Caltagirone, che ha investito quasi tre miliardi di euro nella compagnia, è sacrosanta. Perché ha una squadra di prim’ordine e perché ha indicato davanti alla comunità finanziaria dove e come è possibile la crescita che non c’è stata e, in queste condizioni, non ci può essere. Perché si è squarciato anche l’ultimo velo di ipocrisia che riguarda un Total Shareholders Return (TSR) venduto come spettacolare di Philippe Donnet, il capo francese delle Generali e della sua corte, omettendo che nel computo c’è il dividendo, ma anche l’aumento del valore del titolo in Borsa determinato dagli acquisti di circa 3 miliardi proprio da parte di Caltagirone come di altri che contestano la sua gestione (tanto è vero che fino al 2019 e, cioè, prima dei grandi acquisti il TSR delle Generali era tra i meno performanti). Soprattutto, perché non può più essere consentito ai manager di giocare con i soldi degli altri e con il risparmio degli italiani.
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