Mario Draghi
6 minuti per la letturaMario Draghi parla una lingua che la politica non conosce. Che è la lingua del fare, non del dichiarare, ma che, a ben vedere, è la lingua della Politica con la P maiuscola. È il vocabolario del riscatto dei nostri partiti che smettono di essere comitati elettorali e si rendono conto che il loro dividendo sono le riforme e la Nuova Ricostruzione. I capi partiti devono capire che non saranno le chiacchiere del peggiore circo mediatico europeo, che è quello italiano, a fare recuperare loro il consenso dei cittadini. Che i partiti di governo non sopravviveranno se lasceranno solo a Draghi il merito di ciò che è anche merito loro. Se continuano a mettere pali nelle ruote lavorano per la Meloni o per la crisi del governo mettendo a rischio la tranquillità finanziaria del Paese
Nei prossimi due mesi si decide tutto. Perché è il tempo tecnico che separa i partiti della coalizione del governo di unità nazionale dalla nuova campagna elettorale, ma anche quello sufficiente per rendersi conto che l’unico dividendo politico che possono incassare è legato alla capacita di realizzare il programma di riforme e di investimenti della Nuova Ricostruzione del loro governo. Devono uscire in fretta dal fotoromanzo della politica per entrare nella sana competizione ministeriale di chi si impegna di più a fare le cose concordate. Che sono quelle della politica reale e dei bisogni dei cittadini. Che sono riforme di sistema, sostegno alla manifattura e ripresa degli investimenti pubblici e privati nel Mezzogiorno. Perché questo è il loro progetto politico e, allo stesso tempo, l’unica occasione di riscatto che hanno agli occhi dei cittadini.
Non rendersi neppure conto che in meno di dodici mesi il loro governo ha messo a segno una crescita da miracolo economico (+6,5%) e è riuscito a ridurre di quasi dieci punti il rapporto debito/pil rispetto alle previsioni pandemiche del Conte2, significa rimanere con la testa e con le gambe in quel set della politica ridotta a propaganda. Significa lavorare tutti senza neppure rendersene conto per la Meloni e la sua Destra in solitaria opposizione o per la crisi del governo e la fine della legislatura presentandosi a mani vuote davanti al giudizio degli elettori.
Siamo in pieno masochismo e questo Salvini e Conte lo devono capire perché il fuoco sotto la cenere cova nei pentoloni di Lega e Cinque Stelle. Così come loro due e gli altri capi partiti della coalizione devono acquisire la consapevolezza che mettere in crisi il governo in questo momento significa fare venire meno la tranquillità finanziaria del Paese e esporre un’economia ancora vulnerabile ai venti della grande crisi globale, delle minacce di inflazione e caro energia, senza scudi di protezione. Nessuno li capirebbe e tutti chiederebbero loro conto di una instabilità istituzionale che si cumulerebbe con le incertezze globali del nuovo ’29. Una catastrofe, insomma.
Mario Draghi parla una lingua che la politica non conosce. Che è la lingua del fare, non del dichiarare, ma che, a ben vedere, è la lingua della Politica con la P maiuscola. È il vocabolario del riscatto dei nostri partitini che smettono di essere comitati elettorali e recuperano la cultura dei partiti del fare della prima Ricostruzione mettendo insieme oggi come allora intelligenza tecnica, riformismo cattolico e cultura laica. In questo contesto la partita delle partite è l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza che deve diventare un metodo di lavoro condiviso, ma che nei prossimi due mesi si capirà se lo sarà per davvero.
Per questo Draghi ha chiesto conto a ogni ministro delle singole criticità. Per questo ha dato a ognuno di loro 48 ore. Per questo non ci saranno più alibi per nessuno alla voce fare perché la cultura degli stati di avanzamento dei lavori deve informare unitariamente lo spirito di azione della compagine ministeriale e segnare in casa e fuori lo spartiacque tra il ventennio della crescita zero per abolizione della capacità di fare investimenti e una ripartenza con tassi da miracolo economico che diventa crescita strutturale e che riduce stabilmente il debito pubblico.
Questi risultati, non altro, consentiranno all’Italia di esprimere fino in fondo il valore aggiunto della carta Draghi al tavolo intorno al quale si discuterà del nuovo patto di stabilità europeo e del congelamento degli extra debiti pubblici da Covid. Che significano per noi a seconda delle scelte che si prenderanno la vita o la morte. I capi partiti e i ministri che rappresentano questi partiti devono capire una volta per tutte che non saranno le chiacchiere del peggiore circo mediatico europeo, che è quello italiano, a fare recuperare loro il consenso dei cittadini. Che i partiti non sopravviveranno se lasceranno solo a Draghi il merito di ciò che è anche merito loro. Soprattutto la Lega, con il suo popolo di imprenditori-elettori che sa benissimo quanto vale la carta Draghi per le loro imprese, deve capire che non conquista voti mettendo pali nelle ruote del governo per competere con la Meloni che quelle ruote le vuole fermare per sempre. Se continua così la Lega sbaglia il posizionamento e perde in partenza. Oltre a fare il male del Paese.
Diciamo le cose come stanno. Draghi ha ancora una volta impostato il lavoro in modo pragmatico trasformando il consiglio dei ministri in una cabina di regia per riempire il vuoto lasciato dalla fuffa della politica politicante. Si parte dal consiglio dei ministri e qui si riferisce sui singoli dossier, sui bandi, sugli stati di attuazione, rispetto all’obiettivo. Per capire che cosa manca, dove ci sono i colli di bottiglia, le strozzature normative da superare. Il decreto governance (77/2021) istitutiva la cabina di regia che aveva questo compito. Se si porta in consiglio dei ministri il ruolo che è della cabina di regia vuol dire che non si scherza più e che nessuno può sottrarsi alla sfida. Vuol dire che c’è consapevolezza che o si ingrana in questi due mesi o ci si ferma tutti. Ballano 24,1 miliardi su 45 target da conseguire nel primo semestre di quest’anno che sono un pezzo molto rilevante della nuova Italia.
È troppo chiedere ai partiti di cogliere la sfida e di competere con i loro ministri a chi fa prima e bene a raggiungere gli obiettivi del Pnrr, non a chi fa il primo a andare in tv per dire che loro avrebbero fatto così o colà senza neppure rendersi conto di quello che il loro governo e i loro ministri hanno già fatto? Possibile che non si capisca che come fu per i grandi partiti del Dopoguerra anche loro avranno una lunga stagione di consensi se la smetteranno di occuparsi di equilibrismi dialettici tra partiti inesistenti e dimostreranno di essere loro i soggetti della Nuova Ricostruzione del Paese?
Speriamo che lo capiscano e, soprattutto, che siano coerenti nei comportamenti. In questi due mesi si decide tutto e quasi tutto dipende dal tasso di coerenza fattuale interno e esterno degli uomini di governo e dei loro capi partito. Questa è l’unica operazione possibile che hanno per restituire a un Paese dilaniato il primato intelligente della politica reale. Quella di cui noi e loro abbiamo vitale bisogno.
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