Mario Draghi
6 minuti per la letturaIl grande polverone politico alzato intorno a Mario Draghi, l’unico asset che abbiamo per fermare l’ansia e/o la speculazione dei mercati internazionali, sta bruciando il capitale di credibilità riconquistato in undici mesi di governo di unità nazionale. Per il decennale spagnolo si paga un rendimento di 0,7%, per quello italiano siamo all’1,41%. Lo spread è a 142.5 e molto può fare tranne che scendere. L’interesse dei partiti è tutto sugli appetiti che riguardano il governo per riconquistare un po’ di visibilità e di mangiatoie elettorali. Il tutto nell’anno della riforma di patto di stabilità e crescita e nelle dodici settimane in cui il governo italiano dovrà centrare 21 target per non perdere i soldi europei facendo altre riforme di struttura e dimostrando finalmente di sapere aprire i cantieri
Operiamo in un contesto di rialzo complessivo dei tassi negli Stati Uniti e in Europa con una diversa velocità di accelerazione. Il Bund tedesco è tornato a zero, esce dal rendimento negativo. Prima ti davano dei soldi per comprarlo, ora no in quanto sono aumentate qualità e quantità degli acquisti. Perché il risparmio corre dove si sente più sicuro e, di converso, i titoli sovrani dei Paesi periferici (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo) hanno meno domanda e ballano più del previsto. Il contesto oggettivo di questi giorni complicati della lunga stagione del nuovo ’29 mondiale è esattamente questo.
Come è ovvio che sia con la fiammata europea dell’inflazione che almeno per la Federal Reserve (Fed) non è più un fenomeno transitorio in America e con i programmi di acquisti pandemici della Banca centrale europea (Bce) e della Fed che con tempi e modalità differenti si avviano comunque, di qua e di là dell’Atlantico, verso un ritorno alla normalità. Con un mondo che non è uscito dalla Grande Crisi e vede anche il primo serio rallentamento cinese che viaggia comunque a ritmi che noi europei possiamo solo sognare.
Per riuscire a pagare un dazio aggiuntivo a quello che la delicatezza della situazione e l’incertezza mondiale di per sé già determinano, i nostri partitini ridottisi a comitati elettorali con il loro circoletto provinciale sono riusciti a mettere sul titolo Italia il peso del cambio di clima politico.
È un piccolo capolavoro che si misura con il differenziale dei rendimenti all’interno dei titoli dei Paesi periferici che prezza il maggiore rischio italiano. Un solo esempio: per il decennale spagnolo si paga lo 0,7%, per quello italiano siamo all’1,41%. Più del doppio, chiaro? In poche settimane stiamo bruciando il capitale di credibilità riconquistato in undici mesi di governo di unità nazionale guidato da Draghi.
Perché succede tutto ciò? Per una serie di ragioni strutturali, certo, che vengono da lontano come il debito più alto di tutti che è la sintesi algebrica dei vizi della classe politica che è venuta dopo la seconda repubblica: ha prolungato e moltiplicato le clientele ma si è ben guardata almeno da proseguire sulla strada degli investimenti pubblici e privati che prima facevano la crescita e che sono invece spariti.
Perché dovremo fare, certo, come ricorda qualcuno, un altro scostamento di bilancio. Il vero motivo, però, quello che oggi pesa di più, è che stiamo alzando un grande polverone politico intorno a Mario Draghi e, cioè, intorno all’unico asset che abbiamo per fermare l’ansia e/o la speculazione dei mercati internazionali. Come dire: siccome piove e siamo già un po’ raffreddati, noi chiudiamo anche l’unico ombrello che abbiamo perché il quadro internazionale in cui operiamo o non lo conosciamo o facciamo finta di dimenticarlo.
Tanto è vero che ai comitati elettorali che hanno sostituito i partiti e hanno nelle loro mani il futuro dell’Italia non gliene frega quasi più niente del nuovo inquilino del Colle più alto – curriculum, capacità, senso del bene comune e del momento che viviamo – quasi che uno vale l’altro, ora l’interesse è tutto sugli appetiti che riguardano il governo per riconquistare un po’ di visibilità personali e di mangiatoie elettorali. La sostanza è che sui mercati per una serie di fenomeni internazionali tutto rema contro, lo spread è a 142.5 e molto può fare tranne che scendere, e noi senza nemmeno accorgercene del tutto ci stiamo giocando l’unico vero asset che abbiamo in questo modo infame.
Non è solo un tema di mercati perché l’anno che è appena iniziato è l’anno della riforma del patto di stabilità e di crescita. Forse, chiedo, la trama intessuta preventivamente da Draghi e Macron può valere qualcosa per il futuro dei nostri giovani? Forse, chiedo, la reputazione riconquistata dall’Italia e il rispetto che il nuovo cancelliere tedesco ha per Draghi possono valere qualcosa in questa partita che è decisiva per il futuro della nostra economia? Ne sentite parlare anche una sola volta al giorno per qualche minuto negli interminabili talk televisivi sulla nuova corsa del Colle? Avete sentito la voce di qualche capo dei partiti che in modo chiaro e trasparente abbia detto “è giusto che chi ha guidato il governo di unità nazionale assuma la guida della Repubblica per sette anni dimostrando in casa e al mondo che non abbiamo scherzato e vogliano cambiare per davvero”? Che la nuova credibilità italiana riconquistata poggia su intenzioni serie e durature? Per carità, nell’anno della riforma del patto di stabilità e crescita oltre all’indecente fotoromanzo della politica intitolato Quirinale che mandiamo in scena da mattina a sera, abbiamo assistito allo spettacolino inverecondo di Lega e Cinque stelle che hanno posto il veto alla nomina nell’Ufficio parlamentare del bilancio (UPB) di Massimo Bordignon che è il membro italiano dell’European fiscal board (Efb), autore della più coraggiosa proposta di riforma del patto di stabilità europeo con un documento innovativo sul quale aveva cominciato a lavorare molto prima della crisi pandemica.
Siccome Bordignon non piace alla Castelli, viceministro dell’Economia per i Cinque stelle, e a Bagnai (Lega), i due partiti hanno detto no al più bravo che abbiamo e hanno fatto nominare tre amici loro semisconosciuti. Non ci rendiamo nemmeno conto di quanti danni possono arrecare questi piccoli segnali che confermano che la politica dei partiti della competenza se ne frega ampiamente e vuole solo nominare amici suoi. Siamo arrivati al punto che si riuniscono i leader di Pd (Letta), Cinque stelle (Conte) e Leu (Speranza) per concordare una linea sulla scelta del nuovo Presidente della Repubblica e il massimo che riescono a fare è un tweet unico firmato e lanciato separatamente da ognuno di loro che recita più o meno così: “lavoreremo insieme per dare al Paese una o un presidente autorevole nel quale riconoscersi”.
Nulla sulla strategia da seguire, nulla sul nome da indicare, non si delinea neppure un profilo. Per la semplice ragione che Letta vuole Draghi e Conte no. Queste scelte generali come i veti a quelli bravi come le manovre in corso per l’occupazione e la spartizione di palazzo Chigi e dintorni danneggiano straordinariamente la posizione del Paese nell’anno della riforma del patto di stabilità e crescita e nelle dodici settimane in cui il governo italiano dovrà centrare 21 target per non perdere i soldi europei facendo altre riforme di struttura e dimostrando finalmente di sapere aprire i cantieri.
Ci viene da dire che ai nostri partiti e partitini oggi manca il principio di realtà. In psichiatria è il criterio fondamentale per diagnosticare una malattia mentale. Qui più semplicemente per diagnosticare la febbre alta della politica italiana del circoletto provinciale e invitare chi ha ancora un po’ di sale in zucca a intervenire con forza almeno per abbassare la temperatura. A mente libera si vedono meglio le cose in casa e fuori.
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