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Sono pronti a dilapidare un capitale di fiducia internazionale costruito in pochi mesi di governo di unità nazionale guidato da Draghi. Viviamo momenti di incertezza globale e i partiti riescono anche a farci pagare il pegno aggiuntivo dell’instabilità politica che fabbricano loro. Rischiano di privare allegramente gli italiani dell’unico capitano che abbiamo per farci uscire dalla tempesta perfetta. E nemmeno si accorgono che Generali, il pezzo più pregiato del Paese con un patrimonio cruciale per la sua stabilità, è diventata feudo di manager autoreferenti che rispondono solo alla loro sopravvivenza. I manager giocano con i soldi degli altri e con il risparmio degli italiani. Un capitalismo privato che ha visione e mette i soldi suoi deve subire quel gioco. Anche queste sono cose che non fanno bene al titolo Italia
C’è una capacità endemica della classe politica italiana a ignorare la realtà e a dimenticare la grande partita dell’economia. Ritorna il chiacchiericcio sovranista che gioca a fare il Presidente della Repubblica mandando al diavolo questo Paese. Sono pronti partiti e capi partito a dilapidare un capitale di fiducia internazionale costruito in pochi mesi di governo di unità nazionale guidato da Draghi e stanno facendo di tutto per andarsi a sedere sulle macerie che essi stessi hanno creato. Partiti, partitini e media pubblici e privati specializzati nel racconto rumoroso della fuffa, se non proprio del nulla, sono impegnati a scrivere il solito fotoromanzo dei giochetti della politica e a dividersi su tutto.
Abbiamo un’abilità tutta nostra. Viviamo momenti di incertezza globale, siamo alle prese con l’inflazione, la difficile ripresa europea e la nuova variante Omicron, siamo dentro il nuovo ’29 mondiale e riusciamo anche a pagare il pegno aggiuntivo dell’instabilità politica che fabbrichiamo con la nostra consueta incoscienza. In questi momenti a soffrire sono ovviamente i titoli dei Paesi periferici tra i quali ci siamo anche noi perché c’è una componente esogena che tocca tutti e, quindi, il risparmio va sul Bund tedesco e i periferici ballano. Noi, però, abbiamo l’abilità di aggiungerci un evento interno, moriamo dalla voglia di metterci il nostro carico domestico in un contesto che già ci penalizza. Per cui salgono gli spread di tutti i periferici ma noi saliamo di più di Spagna, Portogallo, Grecia e di tutti gli altri e quando, sia pure di poco, loro cominciano a scendere noi continuiamo di poco a salire.
Dall’estate all’autunno del 2011 l’Italia è arrivata a un passo dal default sovrano dentro un cigno nero figlio della miopia monetaria della presidenza francese della Bce (Trichet) e del duo politico Sarkozy-Merkel impegnati in una nobile gara a chi faceva l’errore più grosso, fattori esogeni, ma molto aiutato dalla crisi di decoro del governo Berlusconi e dai giochetti più malsani della politica dentro la sua maggioranza divisa e fuori di essa. Pensate: anche in quella terribile stagione i periferici italiani non salivano più di quelli spagnoli. Oggi invece in termini relativi facciamo peggio anche se operiamo in condizioni assolute rese molto meno drammatiche dal sonnifero monetario di una Bce che si muove ancora nel solco espansivo voluto da Draghi e non in quello rialzista di Trichet.
Perché avviene tutto ciò? Perché siamo davanti alla follia collettiva della politica che in un momento di sdrucciolamento complessivo non resiste ad aggiungere il carico eterno della anomalia italiana. Stiamo concentrando tutta la capacità di confusione nazionale in una tempesta perfetta sul bene più prezioso che abbiamo che è la credibilità di Draghi.
Se continuiamo in questo dibattito ridicolo del primo presidente del centrodestra o del solito presidente mascherato del centrosinistra, rischiamo di riuscire con una mossa sola a fare cadere il governo Draghi, che non è il Fanfani ter o quater, a gettare una valanga di discredito sulla presidenza della Repubblica che in questi due anni di crisi nera della politica e di grande buio generale è stato l’unico aggancio di luce su cui si è appesa la fiducia degli italiani, a svilire ulteriormente l’autorevolezza del parlamento ridotto a un mercato dei cavalli.
Tutto in un colpo solo, chiaro? Perché non c’è un problema unico che è quello di Berlusconi, che basta e avanza, ma anche uno spiazzamento complessivo dei Cinque stelle che è il primo gruppo parlamentare e vuole allo stesso tempo per il Quirinale una donna, il bis di Mattarella e Draghi. Perché Letta ha l’idea straordinaria di fare l’Aventino alla quarta votazione che sarebbe quella di Berlusconi e Salvini dice nei giorni pari l’esatto contrario di quello che dice nei giorni dispari. Ovviamente la Meloni vuole Draghi non perché sarebbe il Presidente che garantisce al meglio l’Italia nel mondo per un periodo lungo, ma perché così lei crede, sbagliando di molto, di andare subito a votare.
Guardando alle cose serie nel Titanic Italia non c’è solo il problema dello spread, ma può addirittura accadere che Generali, il pezzo più pregiato del Paese con un patrimonio cruciale per la sua stabilità, sia ridotta a diventare feudo di manager autoreferenti che rispondono solo alla loro sopravvivenza. Fino a diventare essi stessi un ostacolo alla crescita della società e arrivando a determinare le condizioni per le dimissioni del vicepresidente vicario e primo socio privato, investitore di lungo termine, del valore di Francesco Gaetano Caltagirone. I manager giocano con i soldi degli altri e con il risparmio degli italiani. Un capitalismo privato che ha visione e mette i soldi suoi deve subire quel gioco. Sono cose che non fanno bene al titolo Italia.
Non credo che questa politica dei partiti abbia gli strumenti per capire la portata di tali fenomeni. Nei fatti stanno in tempi rapidissimi dilapidando un patrimonio di credibilità che è l’unico bene che abbiamo e sembrano volere chiudere in una parentesi l’esperienza del governo Draghi. Se non si fermano, rischiano di privare allegramente gli italiani dell’unico capitano che abbiamo per farci uscire dalla tempesta perfetta.
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