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Mario Draghi

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Non si vuole mandare Draghi al Quirinale dove oggettivamente servirebbe, ma non gli si vuole garantire un futuro vero al governo. La domanda allora è: a che gioco stiamo giocando? Se a Draghi venisse garantito un futuro a Palazzo Chigi è ovvio che le cose cambierebbero. Ma di ciò i partiti hanno il terrore. Questa è la realtà. Tutti i capi partiti vogliono congelare la situazione perché è il modo migliore per non scegliere. Per mille ragioni ora, però, non è più possibile. Forse, anche a loro conviene votare con convinzione Draghi per la successione di Mattarella

Tutti si stanno rendendo conto che l’unico candidato possibile per il Quirinale si chiama Mario Draghi, ma tutti si affrettano a dire che se lui sale sul Colle salta la grande coalizione. Perché la grande coalizione sta lì solo se c’è il domatore dei leoni. Quindi, se il domatore deve restare lì allora leoni, leonesse e leoncini aprono le danze per trovare il suo sostituto per la designazione al Quirinale ma alla fine non lo trovano.

Renzi tiene pronto Casini. Salvini apre tavoli di ascolto, la Meloni cerca il patriota. Calenda si illude con la Cartabia che peraltro ha fatto molto bene. Berlusconi pensa di farcela lui e tiene inutilmente insieme, per reazione, un sistema finto che è quello Pd-Cinque Stelle. Sono pronte le riserve in rosa del Cavaliere. Lo spettacolo delle 23 votazioni per eleggere Leone e delle 21 per votare Saragat appartiene a una storia che non esiste più e la politica dei partiti di oggi al minimo storico di reputazione non reggerebbe l’urto di questa prova. All’epoca c’era un sistema di partiti che poteva riassorbire queste tensioni, ma anche all’epoca della Prima Repubblica quando alle regionali il Pci prende quasi gli stessi voti della Dc e la balena bianca non è più il perno assoluto del sistema, la presidenza Leone entra in crisi.

Ogni volta che il sistema dei partiti ha scricchiolato le onde telluriche si sono fatte sentire. In altre stagioni si è arrivati prima al governo Spadolini poi al governo Craxi. Scricchiolii e onde telluriche si avvertono di volta in volta sul Colle più alto e a valle a palazzo Chigi. È sempre stato così. Oggi di sicuro effetti diretti e indiretti di decomposizione sul sistema dei partiti si avvertirebbero con una velocità mai vista prima. Per capire la situazione reale, basta un solo esempio. È evidente a tutti che serve una grande alleanza per la crescita che si traduca in nuovo patto sociale sul capitale umano e sulla macchina pubblica per gli investimenti che coinvolga tutti. È evidente che questo grande patto sociale può partire solo dai partiti che smettono di fare propaganda e mostrano di capire l’importanza della sfida che hanno davanti. Invece no. Vogliono continuare a fare propaganda e dicono a Draghi: fallo tu, così tu resti lì a Palazzo Chigi, e noi continuiamo a scannarci.

La perversità di questo gioco ignora un clima internazionale dove tutti ci guardano. Nessuno di questi signori dei partiti è sfiorato dal ragionamento che le preoccupazioni internazionali sul fatto che Draghi possa lasciare Palazzo Chigi significano che il mondo non si fida del sistema italiano dei partiti. Significano che non lo si ritiene in grado di mettere una persona giusta alla presidenza della Repubblica e alla presidenza del Consiglio e che, quindi, allora l’unico sistema possibile resta quello di congelare tutto.

Come tutti possono capire si congelano solo le cose che non hanno vita. Si ibernano in attesa di una resurrezione che per l’Italia deve invece esserci domani, anzi oggi, non chissà quando. Fuori afferrano poco di cose interne italiane. In casa, però, i capi partito non capiscono che la sfiducia internazionale sulle loro teste li priva di respiro vitale perché un Paese super indebitato come il nostro (peraltro per colpe quasi tutte loro) ha bisogno di essere governato da donne e uomini che godono della fiducia degli investitori globali.

L’economia, pensano i capi partito, si sistema da sola, è un po’ l’illusione che ha portato al passaggio dalla prima alla seconda repubblica. Oggi, però, ancora di più non è così perché ci sono la pandemia e la crisi globale con le nuove ondate di chiusure e i venti inflazionistici, le incognite monetarie e le distorsioni sulla globalizzazione. L’economia non si può proprio tecnicamente governare da sola. Ha bisogno delle spalle larghe almeno del sistema politico di governo del suo Paese e di quello europeo. Torniamo, insomma, al problema di partenza: ci vorrebbe il clone di Draghi a Palazzo Chigi o almeno chi saprebbe fare squadra con lui e tutti i Capi di partito dovrebbero volerlo. Ovviamente per un periodo lungo perché i cambiamenti strutturali hanno i loro tempi. Siccome non  esistono sostituti possibili, il compito della politica è trovare le soluzioni e, spesso, la politica queste soluzioni le inventa.

Nessuno nel ’44 avrebbe mai pensato che De Gasperi potesse essere quello che avrebbe ricostruito l’Italia. Era considerato un politico di media caratura e nulla più, ma ha avuto l’occasione per emergere chissà come, diciamo che la sorte lo mette lì, e la gente scopre che De Gasperi è uno dei più grandi statisti che ha avuto l’Italia.  Per esempio, nessuno avrebbe prima immaginato che Ciampi sarebbe stato un Presidente del Consiglio e della Repubblica così efficace. O che Roncalli sarebbe stato un Papa così importante da fare il Concilio, insomma da guidare la rivoluzione che cambia la chiesa.

Qui oggi le cose stanno diversamente. Non si vuole mandare Draghi al Quirinale dove oggettivamente servirebbe, ma non gli si vuole garantire un futuro vero al governo. La domanda allora è: a che gioco stiamo giocando? Se a Draghi venisse garantito un futuro a Palazzo Chigi è ovvio che le cose cambierebbero e, per la stima che abbiamo di lui, siamo sicuri che passerebbe alla storia in modo compiuto come il nuovo De Gasperi di questi anni e non come il nuovo Einaudi di questi anni. Rimarrà oltre il governo di unità nazionale e l’Italia avrà la sua Ricostruzione.

Il punto è che De Gasperi all’epoca era capo di un partito di maggioranza relativa mentre Draghi oggi dal punto di vista dei partiti politici non è capo di un bel tubo. Ecco perché sono i partiti e i loro capi che devono dare a Draghi questa investitura e che devono pubblicamente dire che c’è bisogno di lui per almeno sei sette anni alla presidenza del consiglio. Qui viene fuori il vero problema. Quanti e quali partiti sono disposti a dire “ci presentiamo al giudizio degli elettori avendo Draghi come candidato alla presidenza del Consiglio”?

Si tratterebbe di ripetere ciò che accadde proprio con De Gasperi nel ’48. Che ruppe l’alleanza tripartita Dc-Psi-Pci che aveva da sola il 75% dell’elettorato e rappresentava la grande alleanza post-resistenza. De Gasperi fece un governo tecnico di passaggio per finire il lavoro costituente e si presentò ad aprile del ’48 al giudizio degli elettori per chiedere l’investitura popolare a guidare la Ricostruzione. Certo che nell’urna pesò l’anticomunismo, ma la sostanza della sfida proposta agli elettori era questa.

Vogliamo ripetere oggi questo schema e mettere un altro al Quirinale? Siamo consapevoli che questo vuol dire un secondo governo Draghi di transizione per preparare una prova elettorale e chiedere al popolo l’investitura di essere l’uomo della seconda ricostruzione? Questo i partiti sono disposti a farlo? No, non scherziamo, non lo vogliono proprio perché di ciò hanno terrore. Questa è la realtà. Tutti i capi partiti vogliono congelare la situazione perché è il modo migliore per non scegliere. Per mille ragioni ora, però, non è più possibile. Forse, anche a loro conviene votare con convinzione Draghi per la successione di Mattarella. Diamo ancora un po’ di tempo e ci arriveranno. Potrebbero stupirci giocando la carta Draghi per Palazzo Chigi, ma dubitiamo. Perché per loro questo è un boccone ancora più indigesto.


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