Mario Draghi e Ursula Von Der Leyen alla presentazione del Pnrr
9 minuti per la letturaLa Ragioneria generale dello Stato – che ha la responsabilità del coordinamento tecnico e del monitoraggio dello stato di attuazione del Pnrr – ha preso l’iniziativa di predisporre una norma abilitante che andrà al prossimo consiglio dei ministri. L’affiancamento deve avvenire a 360 gradi sul piano progettuale, in tutte le fasi che vanno dall’elaborazione della idea alla esecuzione del progetto. Se vogliamo che l’Europa non ci tolga i soldi e che il piano nazionale finanziato con fondi europei vada in porto, bisogna sottrarre tutte queste pratiche al giogo politico clientelare delle Regioni. Ci sono a bando 15/20 miliardi di fondi per la sanità, risorse come mai viste per il dissesto idrogeologico, altri 20 miliardi solo per i Comuni. Parliamo di qualcosa che vale 40/50 miliardi. Inoltre sono disponibili altri 60 miliardi di fondo sviluppo per il settennato 2021-2027 e altri fondi europei strutturali per un ammontare oscillante tra 70 e 80 miliardi. Serve un nuovo metodo
Soldi, soldi, soldi. Li vogliono tutti per loro e li vogliono per continuare a fare quello che hanno sempre fatto. Spendere pochissimo e lentamente fino alla fine delle scadenze comunitarie i soldi europei per poterli poi usare per finanziare le marchette degli amici loro. Che saldano con il bilancio ordinario, ma lo fanno impiegando le risorse del fondo di coesione e sviluppo. Un gioco delle tre carte che usa la cassa europea dello sviluppo per pagare il conto dell’assistenzialismo e delle clientele senza pudore e senza pentimento.
I De Luca, i Musumeci vorrebbero ripetere queste pratiche della vergogna anche con i fondi europei del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) sfidando le regole morali della nuova Europa della coesione sociale finanziata con debito comune condiviso. Questi intendimenti e questi comportamenti sono incompatibili con il riscatto del Mezzogiorno e con la rinascita dell’Italia. Bisogna gridarlo con forza e interdirli da mettere testa e mani su queste pratiche. Tale discorso vale in modo assoluto per i Capi delle Regioni del Sud ma riguarda in misura altrettanto significativa i Capi delle Regioni del Nord, tutte peraltro da tempo in declino strutturale.
Non si spiegherebbe altrimenti come sia possibile che i monitoraggi della Ragioneria generale dello Stato certifichino nel 2021 un tasso di utilizzo delle risorse da spendere nel settennato 2014-2020, quindi già finito, pari al 12% del totale nelle Regioni del Nord e pari al 3% nelle Regioni del Sud. Con questo biglietto da visita che vale come loro presentazione e che dovrebbe produrre imbarazzo personale oltre che consigliare silenzio assoluto, i Capi delle Regioni hanno continuato a chiedere soldi per loro e da fare distribuire da loro davanti alla platea delle imprese riunite all’Unione industriali di Napoli. Con una bella faccia di bronzo hanno ignorato totalmente i numeri della vergogna che riguardano il loro operato e che Confindustria ha snocciolato impietosamente alla loro presenza.
Sbrigatevi o salta tutto. Abbiamo scritto ieri e lo ripetiamo oggi. Perché con questi signori le amministrazioni territoriali, soprattutto del Mezzogiorno, i buoni progetti li possono vedere solo con il binocolo e le possibilità di dare attuazione ai buoni progetti nei tempi e nelle modalità concordati con l’Europa sono praticamente pari a zero. Siamo sconcertati dal fatto che il loro esporre retorico, fuori dalla storia e dalla realtà, non sia stato sommerso di fischi fino a farli zittire. Siamo sconcertati dal fatto che questa doverosa reazione civile a chi di fatto ruba il futuro ai nostri giovani ancora non avvenga. Non hanno progetti. Non sono capaci di farli. Non chiedono aiuto a chi li sa fare per fare quello che dovrebbero fare loro. Sanno solo urlare che i soldi toccano a loro e guai a chi si permette di discutere su come li impiegheranno.
Per fortuna il problema ha assunto una dimensione così gigantesca che la Ragioneria generale dello Stato – che ha la responsabilità del coordinamento tecnico e del monitoraggio dello stato di attuazione del Pnrr – ha preso l’iniziativa di predisporre una norma abilitante che andrà al prossimo consiglio dei ministri. La norma, che il Quotidiano del Sud è in grado di anticipare, prevede che Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), Studiare Sviluppo e Invitalia dovranno affiancare gli enti territoriali del Mezzogiorno nel fare i progetti e dovranno accompagnarli nel fare tutto quello che si deve fare. Si parte dalla assoluta consapevolezza della debolezza dello stato di queste amministrazioni sul piano amministrativo e si vuole incoraggiare la volontà politica del territorio a uscire da vassallaggi fuori dal mondo.
L’affiancamento deve avvenire a 360 gradi sul piano progettuale, di massima e esecutivo, a partire dalla studio di fattibilità quando se ne è sprovvisti, e sul piano amministrativo in tutte le fasi che vanno dall’elaborazione della idea alla esecuzione del progetto. Se vogliamo che l’Europa non ci tolga i soldi e che il piano nazionale finanziato con soldi europei vada in porto, bisogna sottrarre tutte queste pratiche al giogo politico clientelare delle Regioni e bisogna dotare le amministrazioni di consulenti e di nuovo personale in grado di accompagnare positivamente l’attuazione dell’ambiziosissimo programma.
Bisogna porre un argine a questi presidenti delle Regioni che vogliono solo i soldi per loro e che vogliono gestirli a loro piacere per continuare a distribuire questo o quello tra gli amici. Dovrebbero viceversa coordinarsi con gli enti locali in una conferenza unificata e con i ministeri del Sud e degli Affari regionali una sola volta per programmare a monte gli interventi rispettando lo spirito del piano e le sue priorità in modo da potere andare poi più veloci dopo nella fase esecutiva.
Si deve assolutamente intervenire perché i Capi delle Regioni non vogliono fare, come dovrebbero, solo una riunione a monte di programmazione in cui fissare criteri omogenei rispetto agli obiettivi indicati. Un’attività, sia chiaro, che avrebbero dovuto già svolgere prima dell’estate e che invece si sono ben guardati dal fare e della cui inadempienza non intendono nemmeno oggi dare conto. Vogliono proprio avere le mani in pasta su tutto dall’inizio alla fine del processo perché debbono essere loro a gestire questi soldi e a decidere chi dovrà fare gli asili nido nuovi con quei soldi europei e chi no.
Vogliono farci il loro bilancio ordinario, non i progetti di eccellenza per sanità, scuola e riqualificazione territoriale. Per fare gli asili nido e gli ospedali di comunità. Non si tratta ovviamente di bruscolini. Ci sono a bando 15/20 miliardi di fondi per la sanità, risorse come mai viste per il dissesto idrogeologico, altri 20 miliardi solo per i Comuni. Parliamo di qualcosa che vale malcontato 40/50 miliardi e che può fare la differenza sulla strada della riduzione effettiva dei divari territoriali e della conquista di una crescita strutturale sostenibile di lunga durata che riduca il peso del debito pubblico in proporzione al prodotto interno lordo.
Rendetevi conto che oltre a tutto ciò sono disponibili altri 60 miliardi di fondo sviluppo per il settennato 2021-2027 e altri fondi europei strutturali per un ammontare oscillante tra 70 e 80 miliardi. Senza contare i “residui” del programma di coesione 2014-2020 dove, vergogna delle vergogne, si sono spesi a oggi 3 miliardi su 54. Sì, avete capito bene. Di questa medaglia olimpica dell’inefficienza gli amministratori regionali sono i giusti destinatari.
Per tali evidentissime ragioni si ritiene che la norma abilitante che andrà all’esame del prossimo consiglio dei ministri debba estendere la sua area di intervento dai progetti del Recovery Plan a tutti i progetti europei strutturali e di coesione e sviluppo, vecchi e nuovi. Perché solo così la quota del 40% riservata al Mezzogiorno potrà diventare effettiva e, a nostro avviso, potrà come è giusto essere di gran lunga incrementata. Perché la riduzione dei divari territoriali ha bisogno di importi di interventi e di ritmo operativo dei suoi impieghi infinitamente più elevati di quelli preventivati. Questa è la realtà e chi è in buona fede non potrà non riconoscerlo. Anche perché di qui passano l’attuazione del Pnrr e la rinascita dell’intero Paese. Che senza la nuova super crescita strutturale si ritroverà con un debito al 150% del Pil e ritornerà quindi tra i Paesi a rischio default sovrano.
Proprio per la delicatezza della partita in gioco e le evidentissime “deficienze” strutturali, ci permettiamo di suggerire che in sede di predisposizione della nuova norma abilitante si intervenga con criteri nuovi anche nel riparto delle risorse europee del Pnrr per la sanità. Intendiamoci: la prima bozza predisposta dalla sanità che abbiamo anticipato nei giorni scorsi attribuisce alle Regioni del Sud il 40% degli investimenti e, per la prima volta, vanno alla Puglia e alla Campania più risorse di quanto spettano all’Emilia Romagna, al Veneto e al Piemonte. Attenzione, però, questo non basta: se si vuole davvero riequilibrare e ridurre le disparità territoriali, se si vuole davvero centrare l’obiettivo che l’Europa ci ha assegnato, bisogna che la quota di accesso che favorisce le regioni più ricche nella ripartizione delle risorse già ridotta al 60% scenda ancora almeno fino al 40% di modo che la maggioranza delle risorse pari al 60% del totale (e non il 40%) tocchi al Sud per fare i suoi ospedali di comunità, acquisire macchinari, digitalizzare tutte le strutture amministrative.
Questo significa coerenza meridionalista del Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Questo significa provare sul serio a restituire all’Italia il suo secondo motore. Questo significa operare concretamente perché le due Italie mai così distanti comincino a riunificarsi e affiancare il secondo motore che è il Sud al primo che è il Nord. Questo significa ragionare da sistema Paese adulto e avere l’ambizione di fare dell’Italia la locomotiva d’Europa.
Tutto ciò è possibile solo se il Mezzogiorno si mette o viene messo nelle condizioni di tornare a fare investimenti pubblici e a mobilitarne di conseguenza molti di privati. Perché, come sosteneva il partigiano milanese Morandi, l’Italia sarà il Mezzogiorno industriale che sarà. Sono passati tanti anni, ma siamo sempre lì. Oggi, però, bisogna crederci e operare perché un nuovo ambiente infrastrutturale e condizioni di vantaggio per chi fa impresa di mercato nel Mezzogiorno scandiscano la rinascita del Paese intero. Ogni altra ipotesi fuori da questa si rivelerà effimera. Partiamo con la nuova norma abilitante e non molliamo su tutto il resto. Sono certo che le sorprese positive dalla prima linea del territorio che sono le amministrazioni comunali potranno essere davvero numerose. Aspettano solo di essere liberate dal cappio oppressivo di questo o quello tra i viceré regionali del Sud e del Nord.
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BRAVISSIMO!
Bravissimo, direttore Napoletano! Finalmente! Grazie!
– Sia per aver opportunamente fatto i nomi – in negativo – dei presidenti di Giunta regionale De Luca e Musumeci;
– sia per aver portato potentemente il focus sulla creazione della tecnostruttura dedicata per la progettazione e la realizzazione dei progetti, che è il vero fattore critico per il successo del PNRR, in particolare al Sud;
– sia per aver reclamato forte e chiaro – per la prima volta anche con il Governo Draghi – che al Sud deve essere assegnato il 60% dei fondi.
Per la semplice ragione che, altrimenti, fallirà uno dei tre obiettivi strategici del Next Generation EU e quindi del PNRR: la riduzione del divario territoriale.
Che poi, a ben vedere, considerato il peso dei giovani e delle donne meridionali nel tasso di inattività nazionale e comparato Nord-Sud, significa anche la riduzione del divario generazionale e del divario di genere.
Una sola integrazione mi sento di fare, se vogliamo approntare un margine, una riserva di sicurezza per sfruttare al massimo questa occasione storica per l’Italia e in particolare per il nostro Mezzogiorno, in 160 anni della storia patria: che nella tecnostruttura dedicata siano coinvolti anche altri soggetti qualificati, quali ad esempio l’Accademia, Banca d’Italia, le poche, grandi aziende pubbliche (ENI, ENEL, ecc.), che sono in grado di fornire rapidissimamente team qualificati per l’elaborazione e l’esecuzione dei progetti.
Poiché non si può commentare in calce all’articolo del professor Giuliano Cazzola (https://www.quotidianodelsud.it/laltravoce-dellitalia/le-due-italie/occupazione/2021/10/22/pensioni-lo-scalone-e-una-tigre-di-carta-che-spaventa-gli-allocchi/), lo pubblico qua.
BUFALE SULLA RIFORMA DELLE PENSIONI FORNERO E CODA DI PAGLIA
La Riforma delle pensioni SACCONI (2010) ha sia aumentato l’età di pensionamento di vecchiaia a 67 anni (L. 102/2009, art. 22-ter, comma 2, L. 122/2010, art. 12, L. 111/2011, art. 18, comma 1, e L. 148/2011, art. 1, comma 21), sia quella del pensionamento anticipato a 41 anni e 3 mesi (L. 122/2010, art. 12, comma 2, e L. 111/2011, art. 18, comma 22-ter). Per TUTTI, maschi e femmine, dipendenti e autonomi. Un anno e mezzo prima che arrivasse il Governo Monti-Fornero.
La Riforma SACCONI fu votata anche da Forza Italia-Popolo della Libertà (oltre che dalla Lega Nord).
E dall’on. Cazzola, che ricopriva la carica di vice presidente della commissione Lavoro della Camera dei Deputati (oltre che dall’on. Giancarlo Giorgetti, che era presidente della Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione della Camera dei Deputati).
Poi Forza Italia (con tutto il centrodestra) ha attribuito tutto alla povera ministra Fornero. La quale “stranamente” (io un’idea me la sono fatta e l’ho anche esternata alla professoressa Fornero) non fa (quasi) nulla per rifiutare la maternità, che prima 60 milioni di Italiani (inclusi ISTAT, UPB, lo stesso INPS, il CIV dell’INPS, Banca d’Italia, i professori di Lavoro e Previdenza) e poi tutto il mondo (inclusi OCSE, FMI, i giornali più famosi) le attribuiscono, delle norme di SACCONI.
Trovo perciò surreale che sia Giancarlo Giorgetti, sia soprattutto Giuliano Cazzola, nonostante le mie segnalazioni e, con il professor Cazzola, i nostri passati dialoghi nel suo blog su Huffington Post, alimentino le BUFALE ormai mondiali sulla Riforma Fornero e citino sempre e soltanto Fornero e mai una volta, neppure per sbaglio, SACCONI.
In psicologia spicciola, si potrebbe definire coda di paglia, che non è un semplice modo di dire, ma un meccanismo psicologico potente.
PS: Anche qua ho già segnalato gli “errori” del/al prof. Cazzola, ch’egli commette da oltre un lustro (li ho riportati anche nel mio saggio sulla XVI legislatura). Volutamente, data la sua indubbia competenza in Previdenza ed essendo stato tra i principali legislatori della Riforma SACCONI; motivò anche in Aula il voto favorevole di Forza Italia-Popolo della Libertà alla severa e molto iniqua Manovra correttiva (lo rammento esattamente perché gli scrissi una lettera di critica severa, alla quale replicò, le conservo entrambe). Nonché sostenitore della Riforma Fornero, sempre in qualità di vice presidente della Commissione Lavoro e Previdenza https://leg16.camera.it/29?shadow_deputato=302844&idpersona=302844.
Allego due dei miei commenti in calce a due articoli del prof. Cazzola pubblicati su Il Quotidiano del Sud l’anno scorso.
https://www.quotidianodelsud.it/laltravoce-dellitalia/le-due-italie/economia/2020/10/09/pensioni-paghi-673-euro-e-ne-incassi-2033-il-calcolo-retributivo-che-arricchisce-il-nord/
https://www.quotidianodelsud.it/laltravoce-dellitalia/le-due-italie/economia/2020/09/09/quota-100-e-un-flop-ma-si-insiste-a-costo-di-far-arrabbiare-bruxelles/
Ma cosa sta dicendo? Quali bufale, adesso vuole dire che non fu la Fornero a stravolgere il sistema pensionistico italiano?
Già. Come ho scritto in calce all’articolo del Sole 24 Ore, sono un demistificatore di BUFALE. E per farlo bene e scrivere le 60 pagine del capitolo 2 sulle pensioni del mio saggio di 322 pagine (con 480 note) ho studiato comma per comma la Riforma SACCONI e la Riforma Fornero, utilizzando anche e soprattutto gli ottimi dossier delle leggi elaborati dal Servizio Studi della Camera dei Deputati (e non è stato divertente).
Però prima di continuare vada almeno a leggersi le norme (che ho riportato sopra), cosa che sicuramente non ha ancora fatto. Poi ne riparliamo. Perché mi sembra irrazionale e inutile discutere con uno che eccepisce, solo per sentito dire, su una materia tecnica che ignora completamente, della quale in ogni caso è facile il riscontro poiché si tratta di leggi del Parlamento italiano (che ovviamente vanno sapute leggere, superando – preavviso – la difficoltà della tecnica di stesura oggettivamente tendente al plagio della professoressa Fornero.
Aggiungo solo che la Riforma delle pensioni Fornero è diventata essa stessa una BUFALA mondiale, per colpa anche di esperti come il professor Cazzola o parlamentari come SACCONI e DAMIANO, al quale ho dovuto scrivere sette volte e che ho appena riascoltato a Radio Radicale.
E nel caso delle Manovre di Monti la BUFALA è ancora maggiore.
Al direttore Napoletano forse interesserà sapere che la stessa terribile “resistenza” ad accettare la verità dei dati che smentiscono le vulgate, ormai mondiali, sul Governo Monti (Manovre e pensioni) di cui sono rimaste vittime – che riscontro con TUTTI i miei interlocutori – l’ho riscontrata e la riscontro anche con Il Sole 24 Ore, prima con Davide Colombo ed ora con Marco Rogari, vedi ad esempio i miei commenti qui in calce all’articolo di ieri di Marco Rogari (che fa seguito ad altri):
Pensioni, ecco il piano del Governo: quota 102 e 104 ma si studiano deroghe
https://www.ilsole24ore.com/art/pensioni-cosi-quota-102-e-104-legge-bilancio-deroghe-precoci-e-usuranti-AELrs1q