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La verità è che c’è qualcuno che sta facendo girare il transatlantico Italia dentro il canale di Suez e nel supertalk si parla solo del barchino che per un fatto suo ha difficoltà ad attraccare. La gente vuole vivere tranquilla e vuole le riforme senza frattura sociale. Questo è il nuovo miracolo italiano. Mentre i partiti fanno propaganda. La destra prova a fare la respirazione bocca a bocca a questa minoranza del nulla perché spera le dia la vittoria elettorale senza accorgersi che ha sbagliato tutti i conti. La sinistra mette su un altro spettacolino che è quello dell’antifascismo e ritiene di poterlo fare senza mettere in discussione il governo di unità nazionale. Che non c’entra nulla con la nettezza di risposte necessarie all’assalto subìto dalla Cgil e con la bellezza della grande piazza del Sindacato sui valori fondanti
VOGLIAMO ripeterci. Perché come abbiano scritto ieri non si può più stare zitti. Il problema italiano è la sua bolla mediatica. Un racconto del niente, soprattutto televisivo, che manda in onda ogni giorno un’Italia che non c’è più.
In settembre sembrava impossibile aprire le scuole perché c’era malcontato un migliaio di no vax e non contava nulla il record assoluto europeo di vaccinati del personale scolastico e degli studenti. Tanto meno contavano avere messo in cattedra centoventimila persone nella prima settimana di settembre, non a novembre come avveniva da decenni, e la piattaforma tecnologica in funzione che fornisce il quadro della situazione di ogni classe nel giro di qualche secondo. Niente, niente.
C’era un preside che aveva dei dubbi, o meglio esternava dei dubbi perché stava facendo campagna elettorale per le sue elezioni di categoria, e quel preside passava a tutte le ore da una rete all’altra in un crescendo valchiriano di bolla mediatica che portava il “circo equestre” autoreferente nel suo bel mondo dove ogni competenza è frantumata, dove i fatti spariscono, e dove il fossato tra Paese mediatico e Paese reale diventa incolmabile. Impedisce di vedere che in Italia la scuola si riapre senza doverla richiudere perché si sta ricostruendo il Paese con l’unico vero esercizio riformista degli ultimi trent’anni.
Siamo pericolosamente davanti a una rappresentazione che non ha più corrispondenza nel Paese reale. Tv e giornali del Paese nutrono la politica e la politica nutre tv e giornali rimanendo tutti insieme abbracciati fuori dal mondo reale. Non si coglie l’esercizio vero che sta riformando il Paese perché ci si occupa con pervicace ostinazione solo di gossip. Il Paese reale che ha preso d’assalto il salone del libro di Torino, che riempie i teatri, che è tornato entusiasta a lavorare e vuole cimentarsi con prove sempre più impegnative, ma cosa ancora più grave il Paese che vive sulla sua pelle la questione sociale italiana che viene da molto lontano, non entrano nel dibattito della pubblica opinione. Perché non interessa la tv e, soprattutto, è anni luce distante dai talk show quasi tutti schiacciati neppure più sul quotidiano, ma sul particolarismo di questa o quella battuta e controbattuta, entrambe impegnate nella nobile gara della conquista del primato dell’insignificanza.
La verità è che c’è qualcuno che sta facendo girare il transatlantico Italia dentro il canale di Suez e nel supertalk si parla solo del barchino che per un fatto suo ha difficoltà ad attraccare. Emerge nettissimo, oltre a un evidentissimo problema mediatico, un analogo problema di rappresentanza della politica. Per cui la gente si identifica con Draghi rispetto a una rissosa e inconcludente rappresentanza partitica a sua volta pure frammentata. La gente vuole vivere tranquilla e vuole le riforme senza frattura sociale.
Questo è il nuovo miracolo italiano. Che è il senso profondo, autentico del riformismo e, cioè, l’esatto contrario della rivoluzione che spacca tutto. Perché il miracolo prosegua e produca effetti duraturi, bisogna combattere il male italiano del trasformismo. Soprattutto bisogna che il “circo equestre” mediatico lasci Marte e rimetta piede sulla Terra e che i suoi compagni di merenda, che sono i partiti del rumore, facciano un percorso analogo.
Viceversa cercano di farsi un nido nella nuova stagione rimanendo con la testa in altre stagioni e, quindi, rinunciando ai vantaggi effettivi della ripresa del Paese. Abbiamo, da un lato, la sinistra che, a margine dello spettacolo, mette su un altro spettacolino che è quello dell’antifascismo e ritiene di poterlo fare senza mettere in discussione il governo di unità nazionale. Non abbiamo qui bisogno di ribadire la gravità inammissibile dell’assalto squadrista alla Cgil e la nettezza di risposte che richiede. Così come la bellezza della grande partecipazione e della mobilitazione su valori fondanti che il sindacato tutto è riuscito a rappresentare ieri a a Roma.
Il punto sono le conseguenze sul governo di unità nazionale della strumentalizzazione a fini elettorali di tutto ciò. Dall’altro lato, abbiamo invece la destra che prova a fare la respirazione bocca a bocca a questa minoranza del nulla perché spera che questa minoranza le dia la vittoria elettorale senza rendersi conto che ha sbagliato tutti i conti. Perché ammesso e non concesso che questo comportamento portasse a una vittoria sarà una vittoria di Pirro. Perché se vogliono spendere quatto miliardi per regalare tamponi ancora meno ne avranno per potere abbassare le tasse.
Siamo alla demagogia della spesa pubblica che porta consenso per qualche minuto e nelle cento ore successive ti porta la rivolta della gente perché o devi aumentare le tasse o devi tagliare i servizi. Bisogna incentivare il meno possibile la spesa pubblica dove non ha senso farla. Non ha alcuna logica fare pagare all’ottanta e passa per cento di vaccinati il conto del venti per cento fortemente a scalare di chi è fuori dal mondo e che il caravanserraglio mediatico-politico si sforza vanamente di volere legittimare a tutti i costi.
La politica, al contrario, deve dire a questa gente che sbaglia recuperando il suo ruolo di guida come accade sempre nelle grandi stagioni della politica. Bisogna cominciare a dirglielo che sono come i terrapiattisti e, cioè, che sostengono qualcosa che non sta né in cielo né in terra.
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