Mario Draghi
8 minuti per la letturaCome si può mettere in discussione con tanta leggerezza il patrimonio di fiducia costruito con una campagna di vaccinazione che ha funzionato alla perfezione e ha consentito la riapertura in sicurezza e la conseguente ripresa dell’economia? Come si può mettere in bilico la stabilità di un Paese che dopo venti anni prova a rialzare la testa con un’idea chiara di futuro. Si può buttare a mare tutto questo perché bisogna decidere a colpi di propaganda se Salvini o Meloni saranno o no i leader di un ipotetico schieramento di centro destra o perché Letta possa costruire questa fantasia del nuovo Ulivo o bisogna sciogliere Forza Nuova perché qualche sondaggio riservato dice che nella corsa a sindaco di Roma Gualtieri è ancora dietro a Michetti e che la Raggi pesa più di Conte sull’elettorato romano grillino? Che cosa insegna a Draghi la lezione del governo Ciampi del ’93 sulla minaccia degli autotrasportatori: con i Camalli oggi come allora bisogna dialogare molto senza cambiare linea
Basta giocare con la carta estrema. Basta giocare con Mario Draghi. Nessuno si rende conto con che cosa si sta giocando perché si maneggia materiale tellurico come fosse cartone. Diciamo che giocano una partita senza rendersi conto che ne stanno giocando un’altra. Credono di fare una partita a scopa e invece è a tressette.
Ma come si può pensare di indebolire un leader italiano che ha dimostrato ancora una volta di essere un leader globale senza pensare che il frutto di questa esperienza di governo di unità nazionale ricadrà sull’intero sistema solo se si farà in modo che Draghi e il suo esecutivo non verranno percepiti come un’eccezione che conferma la regola italiana della nullità o dell’irrilevanza fate voi? Come si può mettere in discussione con tanta leggerezza il patrimonio di fiducia costruito con una campagna di vaccinazione che ha funzionato alla perfezione e ha consentito la riapertura in sicurezza e la conseguente ripresa dell’economia? Come si può mettere in bilico la stabilità di un Paese che dopo venti anni prova a rialzare la testa con un’idea chiara di futuro e che, con la guida di Draghi, è diventato in pochi mesi un Paese in grado di guidare gli eventi facendo salire il G 20, che non è il cortile di casa, dalla ribalta economica a quella geopolitica e che ha recuperato un ruolo di guida in Europa?
Si può buttare a mare tutto questo, abbiate pazienza, perché bisogna decidere a colpi di propaganda se Salvini o Meloni saranno o no i leader di un ipotetico schieramento di centro destra o perché Letta possa costruire questa fantasia del nuovo Ulivo o, ancora più terra terra, bisogna sciogliere Forza Nuova perché qualche sondaggio riservato gli dice che nella corsa a sindaco di Roma Gualtieri è ancora dietro a Michetti e che la Raggi pesa più di Conte sull’elettorato romano grillino?
Ma che cosa deve ancora accadere per capire che in questo clima infuocato la sacrosanta manifestazione indetta da Landini deve essere posposta al sabato dopo le elezioni perché combattere con mobilitazione e condivisione il neofascismo e difendere la democrazia non può avvenire alimentando i falò di chi vuole lo scontro civile? Che cosa possono essere se non riflessi pavloviani a spingere un giovane vice segretario del Pd come Provenzano a parlare di arco costituzionale che appartiene a un’altra stagione politica e a collocare fuori da quell’arco gli elettori di Fratelli d’Italia che sono malcontati più o meno quanto quelli del suo partito? Ma davvero davvero l’incendio elettorale di una seconda tornata amministrativa può spingere a ignorare la storia e a non prendere atto che non viviamo più i tempi di chi ha fatto la Costituzione e di chi no? Che, anzi, oggi la Costituzione è di tutti? Che non ci sono più i garibaldini e i monarchici o i repubblicani mazziniani e i monarchici istituzionali?
Non abbiamo né tempo né spazio per ritorni di spezzoni reali o finti di strategia della tensione e chi li alimenta, consapevolmente o meno, si assume responsabilità gravissime nei confronti dei nostri giovani e delle generazioni future. Soprattutto l’atteggiamento di Provenzano, come di molti altri sul fronte opposto, dimostra che nessuno di loro è interessato al governo di unità nazionale, ma a raccogliere voti. Del governo non gliene frega niente come se Draghi potesse stare in piedi da solo. Cosa che ovviamente non è possibile perché Mattarella ha giocato la carta estrema Draghi per fare la tregua e avviare la Ricostruzione Nazionale sulle macerie di venti anni di crescita zero e di una politica da Titanic Italia che, a furia di muoversi a braccetto con il peggior dibattito occidentale della pubblica opinione, ha portato il Paese sull’orlo del baratro. Se i partiti oggi rompono la tregua devono sapere che rompono il giocattolo. Con che faccia poi questi stessi partiti pensino di andare da Mattarella per chiedere di restare lì è davvero un mistero.
Ma come possono pensare, mi chiedo, di avere al suo cospetto ancora voce in capitolo dopo che gli hanno rotto lo strumento che lui stesso aveva messo in piedi per salvare il Paese? Salvini deve capire che non c’è nessuna pacificazione da fare, la pacificazione la aveva già fatta Mattarella e lui farebbe bene a capire che ha tutto da guadagnarci se si muove nel solco di questa traiettoria. Se ritiene che la pacificazione non c’è più vuol dire che qualcuno l’ha rotta e farebbe bene a porsi più di un interrogativo per mettere rapido rimedio agli errori da lui commessi.
Se vuole davvero la pacificazione nazionale Salvini si tenga quella preziosa voluta da Mattarella e dica ai molti che continuano a soffiare sul fuoco che guardano anche a lui di smetterla. Se c’è una compartecipazione a questo disastro nazionale, come in effetti c’è, vuol dire che qualcun altro ha rotto la pacificazione e non c’è molto da ragionare per capire a chi si riferisce Salvini. Non è facile togliere dalla testa degli italiani che l’arma retorica tradizionale del fascismo sia cavalcata dal Pd ai fini elettorali per la competizione di Roma. Esattamente come ha già fatto in Emilia Romagna per le elezioni regionali. Del resto non è né più né meno quello che faceva Berlusconi agitando lo spettro del comunismo e dei comunismi vari che non ci sono più. Tutti ravanano nel profondo della cultura popolare diffusa che è legata al passato e al contrasto del fascismo e del comunismo rievocando senza costrutto, al di fuori di quello presunto elettorale, l’Italia degli scontri degli anni di piombo.
L’unico risultato certo è che, attraverso il green pass, riemerge l’eterno scontro bipolare di un Paese di guelfi e ghibellini che pensano che la politica è scontro se no la gente non va a votare e ognuno gioca a rilanciare la sua presenza identitaria. Potremmo chiamarla la cultura degli argini al comunismo e al fascismo e alla sacra difesa di una identità che è sempre anti qualcosa per qualche voto in più fino a fare saltare un Paese. Oggi il nostro problema è quello di passare dall’anti al pro. Dalla lamentazione all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Dal soffiare sul fuoco allo sviluppo. Dalla demagogia alla volontà e capacità di affrontare i problemi e di fare le cose.
Tutto questo lo si può fare solo con l’unità nazionale e con tutti insieme che remano nella stessa direzione, non con tante metà che remano nella direzione opposta, non strizzando l’occhio a organizzazioni opache come “io apro” che dovrebbe cambiare nome in “io chiudo” visto che tutto è stato riaperto e che si potrà tornare a chiudere solo se qualcuno di loro dopo avere preso di assalto la Cgil si ripeterà altrove e se tutti loro continueranno a fare propaganda mischiando temi sanitari con interessi politico associativi.
C’è, infine, un passaggio finale molto stretto che riguarda direttamente Draghi e il suo governo. Questo è veramente molto delicato. Non si scherza con i camalli e la logistica. Non si scherza con il fuoco del blocco delle derrate alimentari e dei trasporti. Non nel senso, però, che le mille mezze braghe italiane della politica centrale e, peggio, regionale, oltre che del sindacato, sono sempre lì a propugnare con il solito compromesso da offrire che aggrava invece di risolvere. Se ci sono errori si correggano, ma guai se si ha anche la sola percezione di cedimenti sulla linea della fermezza della riapertura totale dell’economia e del green pass obbligatorio sui luoghi di lavoro.
Ho davanti agli occhi la faccia di Carlo Azeglio Ciampi quando mi racconta la telefonata di Antonio Maccanico, all’epoca suo sottosegretario a Palazzo Chigi, in piena notte, durante l’estate del ’93, dopo l’accordo sulla politica dei redditi che portò l’Italia fuori dal circolo vizioso dell’inflazione a due cifre che “fabbricava” quattrini ma bruciava ricchezza e contribuiva a indebitare il Paese. Riproduco, di seguito, la conversazione tra i due. «Presidente, gli autotrasportatori hanno bloccato i rifornimenti di carburanti, siamo a un passo dalla mancata consegna delle derrate alimentari ai mercati generali».
«Caro Tonino, convocali e dialoga a oltranza, è vero che le loro tariffe sono ferme da tre anni, ma è bene che sappiano che il diritto di decidere tocca a noi e non possiamo fare compromessi perché in gioco c’è un valore che riguarda l’intero Paese: il perseguimento del bene comune e, cioè, l’abbattimento dell’inflazione».
Quante volte Ciampi mi ha detto che non dormì tutta la notte e che non ha mai smesso di ringraziare Maccanico che lui definiva correttamente uno dei più abili negoziatori della politica e della finanza di questo Paese. Aveva ragione Ciampi perché fu lui che riuscì a persuadere l’ala più dura del sindacato degli autotrasportatori ad accettare lo spirito della nuova politica dei redditi. Siamo di nuovo lì. I camalli di Trieste di oggi sono gli autotrasportatori di ieri. Come allora, anche oggi, bisogna dialogare molto senza cambiare linea, devono essere gli altri a farlo. Perché ci vuole un attimo a rompere il giocattolo e un tempo troppo lungo per rimettere insieme i cocci. Un tempo che il nuovo ’29 mondiale non ci consente di comprare.
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