La conferenza stampa del premier Mario Draghi e del ministro Daniele Franco
7 minuti per la letturaLa delega fiscale è un obbligo assunto con l’Europa e un dovere da onorare per dare una prospettiva di lavoro serio a giovani e donne. E’ bastato avere conservato l’impegno di fare una ricognizione sulle rendite catastali da qui a cinque anni per scatenare il putiferio leghista nonostante il presidente Draghi abbia espressamente dichiarato che non ci sarebbe stato nessun aumento. Per questo consigliamo a Letta di non provocare Salvini e prudenza anche a Draghi. Perchè sulla casa i funamboli della politica italiana vedono la mecca di quella propaganda che può restituire loro il ruolo che hanno perso. Guai se si ripetesse la stessa storia che avvenne con la riforma sulla casa del ’62, della cosiddetta legge urbanistica, di Sullo. Si volevano colpire le speculazioni e continuare a fare le riforme, ma anche in quella stagione d’oro una propagaanda becera fece capire che si voleva colpire la casa e determinò la psicosi nel Paese
PER celebrare la vittoria del premio Nobel di un ricercatore italiano per una ricerca fatta in Italia, bisogna risalire a Giulio Natta e correva l’anno 1963. Avevamo una grande azienda chimica e una grande università. Soprattutto avevamo Natta che si inventò il polipropilene isotattico, le vaschette di plastica della Moplen, i paraurti di plastica delle prime Seicento. Il modo di vivere degli italiani e degli europei che cambia in casa, in macchina e al lavoro. Questi erano i miracoli italiani dell’Italia della prima ricostruzione quando intelligenza tecnica, riformismo cattolico e cultura laica trasformarono un Paese agricolo di secondo livello prima in un’economia industrializzata poi in una potenza economica mondiale.
Se i segni della storia hanno un valore la vittoria del Nobel per la fisica di Giorgio Parisi per una ricerca fatta per due terzi in Italia nella gloriosa università de La Sapienza di Roma, significa che la Nuova Ricostruzione italiana post nuovo ’29 mondiale ha un simbolo in più di cui nutrire quella fiducia contagiosa che ha alimentato la crescita dei consumi e il rimbalzone del 6% del prodotto interno lordo (Pil). Sembra quasi che si sia tolto il coperchio della pentola a pressione della peggiore classe politica occidentale fatta di persistenti degenerazioni partitocratiche e di una miscela esplosiva di populismo e sovranismo e così tutte le energie vitali sportive, economiche, di ricerca sono esplose. Così come è di sicuro aumentata d’incanto l’accoglienza internazionale dell’Italia.
Diciamo le cose come stanno. Viene fuori un Paese migliore di come viene raccontato e, per la prima volta, il mondo lo riconosce. C’è, però, qualcosa che ancora non è avvenuta oggi rispetto a quello che avvenne nella prima ricostruzione. In quell’epoca c’era la convinzione generale che si era in una stagione di evoluzione e di progresso e tutti si sentivano onorati di parteciparvi. Perché era la fase della rinascita dopo la seconda guerra mondiale quando la lira vinceva l’oscar mondiale delle monete e le donne e gli uomini avevano maturato durante la guerra un desiderio comune di riscatto. Questo è durato fino alla metà degli anni sessanta.
Oggi c’è qualcosa di molto simile che è avvenuto e riguarda gli italiani. Sentono che qualcosa di strutturale sta cambiando. Sentono che abitano in un Paese che non è più il grande malato d’Europa, ma un luogo di attenzione e attrazione dal resto del mondo. O non votano per dare un segnale chiaro ai partiti del rumore e della politichetta politicante oppure vanno a votare e scelgono la persona prima del partito che lo esprime.
Attenzione, però, il governo di unità nazionale guidato da Draghi è seduto su un pavimento di legno e sotto ci sono i tarli della politica di prima che mangiano il legno, è chiaro che se lo mangiano tutto lui va giù. Non accadrà, ma c’è una politica di prima che non sa cosa dire. Questi politici non sanno cosa dire. Questo è il problema fondamentale. Preferiscono guardare al loro ombelico piuttosto che intestarsi il merito di avere salvato il Paese e di avere avviato la sua rinascita. Un giorno si lamenteranno che questo merito andrà a Draghi quando sono loro che glielo stanno regalando.
Dimostrano con i loro comportamenti che gli unici interessati alla rinascita del Paese sono i cosiddetti tecnici, non i politici di professione. Sono quelli che vogliono passare alla storia e che vincono i premi Nobel, ma non loro. Non sono mai i partiti. Che viceversa continuano, purtroppo, a inseguire lo schema degli angeli contro i diavoli in cui ognuno ovviamente vede se stesso come angelo e l’altro come diavolo.
L’ultimo esempio è venuto ieri dall’uscita della Lega dalla cabina di regia e dall’assenza al consiglio dei ministri per non votare la delega fiscale e indicare Draghi come il diavolo che vuole aumentare le rendite catastali e la tassazione sulla casa. Certamente è una mossa da nervosismo da débâcle elettorale alle amministrative, perché figuriamoci se Draghi vuole abbassare i consumi colpendo la casa. La delega fiscale, che è un obbligo assunto con l’Europa e un dovere da onorare con la coscienza dei nostri cittadini, fissa alcuni punti strategici: riduzione del cuneo fiscale che tassa il lavoro e, quindi, riduzione dell’Irpef che di quel cuneo è parte essenziale, abolizione progressiva di una tassa aberrante che punisce chi assume di più (IRAP) e, in generale, riduzione della imposizione fiscale che è tra le più alte al mondo, come segnalano tutti i grandi istituti di ricerca, per dare una prospettiva di lavoro serio a giovani e donne.
Parliamo di delega e di principi, non di decreti delegati che entrano in vigore. Parliamo di qui a cinque anni. Eppure è bastato avere conservato l’impegno di fare un lavoro, quasi statistico, di ricognizione sulle rendite catastali, magari scoprire e attribuire un valore anche a chi è totalmente nascosto, per scatenare il putiferio leghista. Nonostante che il Presidente Draghi abbia espressamente dichiarato che non ci sarebbe stato nessun aumento. Dove le rendite, da qui a cinque anni, dovessero salire, si penserà a ridurre le aliquote perché non è ammissibile che la pressione fiscale aumenti e questo è l’impegno assunto sulla casa. Niente da fare. Per ragioni solo di consenso la Lega si mette di traverso e commette lo stesso errore che la ha portata al dieci per cento. Continua ad avere due piedi in una scarpa. Senza capire che il suo futuro consenso sarà legato esclusivamente al dividendo politico che potrà trarre dalla nuova ricostruzione e non dalla solita propaganda quotidiana.
Anche il segretario del Pd Letta, che ha avuto un buon risultato elettorale ma deve fare ancora molta strada, sbaglia a provocare Salvini e a fare capire di preferire maggioranze più coese senza la Lega. Sbaglia perché il governo di unità nazionale funziona solo con una larga coesione se no non funziona. In Italia, poi, neppure si può fare una maggioranza Ursula perché Berlusconi non è disponibile. Così come sbaglia a insistere su temi indigeribili come patrimoniali o adombrare nuove tassazioni nascoste sulla casa perché l’Italia è un Paese composto da un popolo di proprietari di casa. Per questo consigliamo massima prudenza anche a Draghi perché sulla casa i funamboli della politica italiana vedono la mecca di quella propaganda che può restituire loro il ruolo che hanno perso. Sbagliano, ma è così.
Guai se si ripetesse la stessa storia che avvenne con la riforma sulla casa del ‘62, della cosiddetta legge urbanistica, di Fiorentino Sullo. La legge si proponeva di impedire che tutti i suoli fossero edificabili in una fase di grande sviluppo economico in cui si erano costruite case a destra e manca. Si volevano colpire le speculazioni e continuare a fare le riforme, ma anche in quella stagione d’oro una propaganda becera fece capire che si voleva colpire la casa e determinò la psicosi nel Paese. “Fiorentino perché mi vuoi portare via la casa?” si sentì chiedere dalla zia il ministro. Normale, purtroppo. Perché la casa in questo Paese è sacra e i partiti ci scommettono per guadagnare voti. Cerchiamo di non dare strumenti a chi vuole continuare a fare propaganda invece di misurarsi con i problemi giganteschi dello storico ritardo italiano, della nuova transizione ecologica, della grande crisi delle materie prime e delle fiammate inflazionistiche. Né a destra né a sinistra oggi guadagnerebbero consensi da una campagna fuori dalla storia perché gli italiani non ne possono più di essere presi un giro, ma in parlamento ci sono ancora loro, i partiti del rumore, e possono ancora produrre danni seri.
Chi ha più senso di responsabilità e sa qual è il suo vero dividendo politico lo eserciti evitando di esacerbare gli animi e solleticare istinti pericolosi. Con questa tattica potrebbe vincere qualche battaglia, ma perderebbe di sicuro la guerra.
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Caro Direttore,
c’è un solo problema: al massimo il Presidente Draghi resterà al governo fino al 2023.
Poi con le elezioni ci sarà un altro Presidente del Consiglio: ma Lei veramente è convinto che chiunque verrà di questi “politici” si sentirà poi in obbligo di rispettare gli impegni presi sulla casa dal Presidente Draghi? E dopo il 2026 cosa succederà?
Scusi ma io non mi fido di nessuno dei 945 che girano oggi in parlamento e non mi illudo che la qualità degli eletti cambi molto dopo il 2023 e Lei?
Umberto Pecoraro