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Un Paese come l’Italia se non ha un forte mercato interno non potrà mai avere una crescita importante. Non ce la fai se non hai fatto le riforme della pubblica amministrazione e non hai rimesso a posto la giustizia che non funziona. Non basta un occhio solo in una terra di cecati per portare il Titanic Italia fuori dalle secche. Servono scelte pragmatiche che cambino l’operatività del Paese. Possiamo e dobbiamo attuare le riforme facendoci guidare da chi sa impostare le cose e si fa capire.
Il futuro dell’Italia si chiama Recovery Plan. Che vuol dire riforme strutturali che cambiano la faccia del Paese e un piano di investimenti pubblici che modificano il contesto generale e consentono di mobilitarne ancora di più di privati. Significa gettare le basi per un periodo lungo di crescita con tassi di sviluppo da miracolo economico che permetta di riunificare le due Italie e di risolvere il più grave degli squilibri territoriali europei. Un Paese come l’Italia se non ha un forte mercato interno non potrà mai avere una crescita importante. Un’area economica grande come quella europea non può vivere solo di domanda estera. Deve stimolare la domanda interna altrimenti non ce la fa a fare la crescita perché non è il Lussemburgo.
La Grecia non va sul mercato. Non si indebita, è sotto programma. Il peggiore prenditore europeo siamo noi e, questa volta, se non facciamo le riforme, le conseguenze possono essere davvero gravi. Se l’Italia non si fa trovare pronta all’appuntamento con la storia, si dissolve più velocemente di quello che si pensi. Parliamoci chiaro. Se non hai fatto le riforme della pubblica amministrazione, non hai rimesso a posto la giustizia che non funziona, se pensi di andare avanti con un pezzo di Paese che vive in un altro continente, e se collezioni tutte queste performance negative con duecento e passa miliardi ricevuti dall’Europa, allora è chiaro a tutti che non ce la fai. Anzi, meglio, che non ce la farai mai.
Se riteniamo di rimanere imprigionati nel pettegolezzo del supertalk estate inverno e di privilegiare le stupidaggini del mondo dell’irrealtà rispetto a un discorso chiaro, lineare, di cambiamento strutturale della macchina pubblica e del nostro modo di produrre e di fare ricerca che si nutre di fatti e di scadenze rispettate, allora avremo guadagnato tempo grazie a Draghi ma non ci salveremo. Mi domando: perché non dovremmo essere capaci di fare quello che stanno facendo i greci? Perché non dovremmo essere capaci di fare buoni progetti con i soldi dell’Europa? Perché dovremmo essere addirittura inferiori alla Grecia che ha dimostrato di migliorare la sua capacità competitiva? È possibile che in Italia non riusciamo a fare le ferrovie veloci nel Sud quando la prima ferrovia in Europa la abbiamo fatta proprio noi a Portici, in provincia di Napoli?
Bisogna mettere un po’ di ordine nella macchina pubblica oltre al buon senso e alla reputazione presa in prestito da Draghi per l’Italia. Non basta un occhio solo in una terra di cecati per portare il Titanic Italia fuori dalle secche. Servono scelte pragmatiche che cambino l’operatività del Paese come si stanno compiendo e un dibattito della pubblica opinione che favorisca la consapevolezza comune e incoraggi un cambiamento di sostanza.
Il fortissimo gradimento che riscuote il Presidente del Consiglio legittima buone aspettative, ma non garantisce il risultato.
Quello che è accaduto fino a ora è che avevamo davanti cento sentieri, ma abbiamo imboccato il sentiero giusto. Potevamo fare i “matti” con i Paragone e i Borghi o potevamo insistere a vendere sogni e convincerci di avere abolito la povertà affacciandoci dal balcone di palazzo Chigi. Possiamo e dobbiamo invece attuare le riforme facendoci guidare da chi sa impostare le cose e si fa capire. Da chi può e deve assicurare agli occhi del mondo un potere di indirizzo e di guida dell’Italia per un periodo lungo di sette otto anni che consenta di attuare in modo condiviso il processo riformista, vivendolo come la base del riscatto della coscienza collettiva. Fidiamoci di questo Presidente del Consiglio che non va nei talk, non frequenta le feste e non va neppure all’Ambrosetti. Abbiamo solo da guadagnarci.
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