Il presidente del Consiglio Mario Draghi
3 minuti per la letturaDOBBIAMO uscire in fretta da un sistema burocratico regionale dove sceriffi e comandanti varii dei venti staterelli in cui si è deciso di dividere il Paese continuano a pagare pegno a chi ha portato più voti. Porti competenza zero e un pacco di voti? Nessun problema, questa o quella direzione sono tue o di chi designi tu per via familiare o amicale. Sfacciatamente. Ripetutamente.
Se le burocrazie ministeriali svuotate negli anni di poteri e gratificazioni hanno perso gli uomini migliori e, soprattutto, in alcuni dicasteri, primo fra tutti gli ex Trasporti, sono ormai precipitate nello stato permanente del nulla paralizzante, l’occupazione famelica dei mandarinati regionali da parte degli uomini di fiducia dei partiti si traduce nel potere finale di bloccare tutto per gli altri e di favorire tutto quello che si può per gli amici degli amici.
Il declino che nessuno vuole vedere si chiama Titanic Italia e si sviluppa intorno a questi coacervi di incompetenze e di interessi di piccolo e grande cabotaggio che delimitano alla perfezione al centro e in periferia la questione irrisolta della incapacità italiana di fare investimenti pubblici. Senza i quali risulta, peraltro, complicato mobilitare quelli privati. Si avverte quotidianamente il peso della differenza tra il coraggio di scelte strategiche impopolari del governo di unità nazionale guidato da Draghi adottate in tempi record e la contromisura silenziosa adottata dalle mille burocrazie italiane di rispondere con soluzioni tattiche che non dicono mai no e sono popolari ma aggravano il declino perché non fanno le cose o almeno le rinviano. Non si misurano con i problemi reali delle persone.
Parliamoci chiaro. Il Recovery Plan italiano si gioca tutto qui e nei mesi che ci separano dalla fine dell’anno si capirà se la musica sta cambiando per davvero o se il pallino è ancora in mano a quelli di prima che al massimo possono fare melina. Le riforme della nuova governance per la gestione del super piano europeo, le semplificazioni e i nuovi reclutamenti per la pubblica amministrazione si muovono speditamente nella direzione del cambiamento.
Non illudiamoci, però, perché la trama della dissoluzione italiana si dipana in ogni dove e cosparge il terreno del fare di reti piccole e grandi dove tutto si impiglia. Di giorno si dispongono in modo sacrosanto poteri di richiamo, si chiede con forza un patto tra gentiluomini degli uomini dello Stato, si cercano gli analisti informatici e gli esperti di territorio e amministrativi per rimpolpare e qualificare i ranghi della pubblica amministrazione centrale e territoriale, ma di notte nell’ombra c’è chi invece trama per tornare a parlare di autonomia più o meno differenziata e compiere così l’atto finale di quel processo di dissoluzione del Paese che ha origine con il federalismo regionale della irresponsabilità e il suo carico diseguale di marchette. Dio ce ne scampi.
Ogni passettino che si compie su questa strada apre voragini dentro le quali cadrebbero parti sempre più consistenti del Paese senza alcuna speranza di potersi mai più risollevare. Non si pronunci più neppure il nome dell’autonomia differenziata. Abbiamo già dato, il cammino da compiere è quello inverso. Così come facciamola finita, per piacere, con i ragionamenti autoassolutori che girano nei ministeri italiani a partire da quello dei Trasporti. Dove si sa dire solo no e, anche quando si dice apparentemente sì, in realtà poi è un no.
Nei ministeri italiani si deve capire una volta per tutte che se per fare un caffè servono trenta secondi e loro ci mettono dieci minuti, non ci si può autoelogiare perché si è ridotto il tempo da dieci a cinque minuti. Questo miglioramento reclamizzato di una performance del 50% fa semplicemente paura perché cinque minuti per fare un caffè sono un’eternità. Le autorità cosiddette indipendenti, i giudici amministrativi e contabili debbono fare l’esatto contrario di quello che hanno fatto fino a oggi.
Con le buone o con le cattive Draghi, Franco, Brunetta e così via, su questo punto, non devono mollare. Costi quel costi. Perché alcune rotture dolorose, purtroppo, sono obbligatorie. Anche il sindacato tutto lo deve capire. Stiamo parlando del punto decisivo. Perché è quello che fa la differenza.
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