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Essere meno intervistato e stare meno sulla ribalta del vano apparire fa prendere sul serio le cose importanti. Fa recuperare metodo di lavoro e organizzazione, fa programmare gli sforzi su una scadenza di lungo termine. Questo è l’insegnamento che viene dall’esperienza delle Olimpiadi di Tokyo. La stessa cosa vale per la politica. Anche qui alla fine prevarrà chi ha inciso sulle cose, chi avrà lavorato bene sui dossier, chi avrà curato meglio i dettagli, chi avrà approfondito bene le cose nelle commissioni parlamentari. Sono quelli che non ci sono nei talk show o ci sono meno. Un Paese che esce dalla commedia dell’arte dei suoi personaggi stereotipati dove Arlecchino dice sempre le stesse bugie e Pantalone paga sempre il conto di tutti
Siamo a fare i conti con un dato di fatto che è sotto gli occhi di tutti, ma molti, troppi, non vogliono vedere. Il medagliere olimpico che fa degli italiani i più veloci al mondo, i primi nella marcia, ma anche quelli che saltano più in alto di tutti. Mai visto prima.
Siamo quelli che vincono nella fatica delle corse lunghe e nella forza esplosiva della velocità che esprimono lo stesso, identico, tasso di preparazione e di sudore. Che fanno la loro figura in piscina, nella pista del velodromo, gonfiando le vele sul mare, nel sollevamento dei pesi e sul tatami che è il tappeto delle arti marziali.
Il dato di fatto che emerge è che in tutte le discipline che sono fuori dal fascio assordante dei media, c’è la gente che si impegna davvero. Mentre la pubblicità e i media televisivi che sono più o meno la stessa cosa distorcono tutto e c’è chi, osannato sul nulla, pensa più all’apparire che all’essere, vinciamo invece in tutte le discipline popolate da eroi sconosciuti e poco raccontati che non ricevono attenzioni e sui quali non si scrivono articoli o non si fanno servizi televisivi durante l’anno.
Prendiamo atto che questo stimola la serietà rispetto all’apparire. Che essere meno intervistato e stare meno sulla ribalta del vano apparire fa prendere sul serio le cose importanti. Fa recuperare metodo di lavoro e organizzazione, fa programmare gli sforzi su una scadenza di lungo termine. Spinge a scommettere sulle Olimpiadi perché lì si potrà dimostrare il proprio valore e impone preliminarmente un duro programma di lavoro perché l’obiettivo è a distanza.
Così, proprio così, sarà sull’economia perché lì si vedrà se saremo fuori o non lo saremo dagli stereotipi. Si capirà se avremo preservato e consolidato le nostre capacità sul packaging e sull’automotive perché l’Italia non è solo moda e fashion, non è solo profitti di lusso. Se le sue grandi aziende di servizi e di tecnologia saranno o meno multinazionali globali che si fanno rispettare nel mondo e se lo Stato e i suoi miserabili granducati regionali, le grandi burocrazie centrali e locali, le mille magistrature di ogni ordine, tipo e grado, consentiranno o no a questo disgraziato Paese di riprendere a fare investimenti pubblici e a mobilitarne almeno altrettanti privati. Questo è l’insegnamento che viene dall’esperienza delle Olimpiadi di Tokyo.
La stessa cosa vale per la politica. Anche qui alla fine prevarrà chi ha inciso sulle cose, chi avrà lavorato bene sui dossier, chi avrà curato meglio i dettagli, chi avrà approfondito bene le cose nelle commissioni parlamentari. Sono quelli che non ci sono nei talk show o ci sono meno. Chi di loro “abita” nei talk show cercherà di rubare la scena e di prendersi meriti che non ha, ma in un Paese che fa le cose sul serio e, quindi, cambia è destinato a soccombere. In questo tipo di Paese salvato dalla bancarotta morale e economica, vince chi lavora, non chi chiacchiera.
Il problema di base è che l’Italia deve essere un Paese serio con personaggi seri e sempre meno un Paese di Arlecchino e Pulcinella. Un Paese che esce dalla commedia dell’arte dei suoi personaggi stereotipati dove Arlecchino dice sempre le stesse bugie e Pantalone paga sempre il conto di tutti. Per diventare un Paese che entra nel teatro vero di Goldoni che mette in scena le storie vere magari mandando sul palco anche le stesse maschere ma raccontando storie vere. Un Paese dove la politica si libera dai suoi stereotipi e dalla fuffa dei propagandisti.
L’importante è non trastullarsi sulle stupidità, ma fare le cose serie. Sul principio di fondo del reddito di cittadinanza, ha detto Draghi, sono d’accordo che è come dire “basta ripetere che è la causa di tutti i mali”, ma capiamo bene che cosa è il giusto sostegno al reddito di chi non ce l’ha e come può diventare e in che misura strumento di passaggio per prepararsi al meglio e arrivare a un vero posto di lavoro.
Passare dagli stereotipi ad affrontare e risolvere i problemi. La regina di tutti i problemi è l’economia perché dietro l’economia c’è la risposta ai bisogni delle persone e alla questione sociale. C’è la prima risposta al problema del lavoro. Nessuno si deve più sentire oggetto di propaganda. Bisogna invece che ciascuno abbia fiducia che tutti stanno lavorando per noi. Per i bisogni delle persone. Che sono prima di tutto il lavoro e prima di tutto il Sud che racchiude al cubo, a partire dal lavoro, tutte le sofferenze del Paese.
Serve un po’ di fiducia contagiosa da risultati come ai tempi di De Gasperi e del primo centrosinistra. Bisogna superare lo shock che il mondo non crollerà dopo il nuovo ’29, ma la gente capisce e si convince che il mondo non crollerà se percepisce giorno dopo giorno gli effetti benefici della risposta effettiva al nulla sovranista e populista, al catastrofismo della destra e della sinistra e ai loro variegati megafoni dei talk serali a reti unificate. Questo ci insegnano le medaglie delle Olimpiadi e il rimbalzo del prodotto interno lordo che cammina al 6% ma può fare molto di più.
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