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Mario Draghi

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Il meridionalismo accademico ha fatto male al sud più di ogni altra cosa. Siamo in presenza di un intervento pubblico (Progetto Italia) finanziato con fondi europei in parte grant in parte a tassi di favore che pone il Mezzogiorno al centro della sua azione. Sono più di 80 miliardi di base perché il 40% è l’impegno del governo Draghi e dell’Unione europea. È in atto una rivoluzione, ma il meridionalismo della cattedra impersonato oggi da Gianfranco Viesti domani chissà da chi, non è che dice mettiamo insieme nel Sud le forze per fare buoni progetti e dare gambe solide al più grande intervento mai concepito di investimenti in conto capitale. No, per carità, sfogliano le pagine e dicono che non trovano scritto quello che in questo momento non ci può esser scritto e, tra un ammiccamento e l’altro, fanno capire che non c’è la prova di tutti questi soldi al Sud e alimentano così quella ubriacatura collettiva da liquidità che è da sempre la condanna del Mezzogiorno

Il meridionalismo accademico ha fatto male al sud più di ogni altra cosa. Siamo in presenza di un intervento pubblico (Progetto Italia) finanziato con fondi europei in parte grant in parte a tassi di favore che pone il Mezzogiorno al centro della sua azione. Sono più di 80 miliardi di base perché il 40% è l’impegno del governo Draghi e dell’Unione europea.

Su infrastrutture, Ferrovie, porti, Zes, reti digitali la priorità del Mezzogiorno è riscontrabile nei programmi preventivamente indicati. Sugli altri progetti c’è un’indicazione operativa ai singoli ministeri con vincoli di destinazione che sigillano la quota del 40% destinata al Sud, ma non c’è ancora il riscontro nominativo per i singoli progetti né per il Nord né per il Sud. Per la ragione che mancano ancora le procedure finali che sono in via di definizione con l’Unione europea per l’Italia come per gli altri Paesi. Infine, c’è una parte che riguarda procedure competitive (bandi di gara) che è il vero banco di prova del salto di qualità culturale della classe dirigente del Mezzogiorno. Perché qui, senza esagerazione, il 40% già destinato al sud, che di per sé in euro equivalenti vale due volte e mezzo il Piano Marshall nel decennio d’oro (’51-’61) del miracolo economico italiano, potrebbe fare elevare questa quota al 50/60% del totale.

C’è tutta la volontà politica a livello centrale e l’impegno possibile dell’amministrazione centrale affinché si persegua in modo fattivo il riequilibrio territoriale. Si è attrezzato un sistema di monitoraggio permanente per il rispetto della destinazione territoriale degli interventi del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr). Nel progetto estate per la scuola si è assegnato al Mezzogiorno il 70% e oltre delle risorse mentre per gli asili nido e i servizi sociali si è deciso per quest’anno e per gli anni a venire il riequilibrio in base al numero dei bambini e dei fabbisogni non della spesa storica.

È in atto una rivoluzione, ma il meridionalismo della cattedra impersonato oggi da Gianfranco Viesti domani chissà da chi, non è che dice mettiamo insieme nel Sud le forze per fare buoni progetti e dare gambe solide al più grande intervento mai concepito di investimenti in conto capitale. No, per carità, sfogliano le pagine e dicono che non trovano scritto quello che in questo momento non ci può esser scritto e, tra un ammiccamento e l’altro, fanno capire che non c’è la prova di tutti questi soldi al Sud e alimentano così quella ubriacatura collettiva da liquidità che è da sempre la condanna del Mezzogiorno. Viceversa avrebbe invece il dovere di invitare tutti a lavorare sui bandi e sui progetti e di chiarire a tutti che il Recovery Plan opera step dopo step. Ovviamente mai una parola una di critica sulle risorse non utilizzate fino a oggi che dimostrano una malattia ancora più grave della debolezza progettuale.

Parliamoci chiaro. Fino a quando soprattutto gli sceriffi che fanno il bello e il cattivo tempo nelle Regioni meridionali, le amministrazioni locali del Mezzogiorno, il ceto culturale e produttivo non capiranno che la musica è cambiata, non andremo da nessuna parte. Se poi anche chi guida il sindacato che sta dando un contributo attivo sul piano delle grandi riforme della pubblica amministrazione e nella gestione della emergenza lavoro, come è successo ieri dalle telecamere di Sky con il leader della Uil Bombardieri, indulge a questa retorica distruttiva sul Mezzogiorno dimostrando di ignorare i fatti francamente sale la preoccupazione.

I fatti, quelli veri, sono che le Regioni fanno interdizione su tutto perfino su chi deve gestire i centri estivi e sul numero dei bambini. I fatti, quelli veri, sono che le Regioni devono fare la programmazione e impiegano un’eternità a decidere la programmazione degli asili nido non a farli. Hanno fatto perdere la pazienza perfino a una persona mite come il sindaco di Bari, antonio decaro, che è il presidente dell’associazione nazionale dei comuni. Se volete fare così anche per il Recovery allora i soldi spendeteli voi, ha detto a muso duro, viceversa se si vogliono fare le cose si va in conferenza unificata e le risorse per gli asili nido si assegnano in base ai due parametri della popolazione e del numero dei bambini da zero a sei anni.

Non ci ha visto più Decaro quando le regioni non hanno voluto anticipare la programmazione neppure al 25 maggio del 2022 ma si sono voluti prendere tempo fino alla fine dell’anno. Per fare la programmazione, avete capito bene, non per spendere i soldi che ci sono e sono stanziati. Se pensate che questa è anche la procedura per il Pnrr, sbotta, allora prendiamo le chiavi e ve le lasciamo. Come dargli torto? Se i venti staterelli regionali, in prima fila quelli del Sud, ci mettono tre anni per fare la programmazione e poi i Comuni dovrebbero fatto tutto in sei mesi, allora il rischio per i Comuni di dovere restituire loro i soldi indietro all’Unione europea con i soldi dei loro bilanci, è praticamente una certezza.

Si occupassero di questo i Viesti, i Bombardieri, invece di sproloquiare su impegni solenni del governo e su un cronoprogramma di riforme che vuole proprio rompere questo circolo vizioso della rendita e del nulla che si alimenta di chiacchiere e di formalismi. Per questo apprezziamo il cambio di passo impresso dal governo Draghi che non buca una data sul calendario delle riforme. Perché se questo Paese vuole tornare a crescere stabilmente questo è il passaggio obbligato. A partire proprio dalla giustizia che delle anomalie italiane è senza dubbio la più vistosa. L’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, non è né un mafioso né un corruttore. Per poterlo affermare ci sono voluti sette anni di calvario giudiziario. Questo un Paese civile, se vuole sopravvivere, non se lo può permettere. Al netto dei danni non recuperabili per la dignità delle persone e la reputazione della Capitale d’Italia.


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