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Una riunione del Consiglio dei Ministri presieduta da Mario Draghi

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Servono uomini nuovi e linguaggi nuovi. Serve che si muovano insieme dentro un quadro autorizzativo e esecutivo fortemente semplificati. Avendo alle spalle il centro unico di contatto europeo e di rendicontazione tecnica alla Ragioneria generale dello Stato e il comitato unico a palazzo Chigi che esprime la regia politica. Restituiamo al Paese la sua centrale di progettazione. Unica, con un solo nome. Mettendoci dentro tutti gli specialisti che ci servono reclutando i migliori e affidando loro il coordinamento e la integrazione con una nuova rete di professionalità diffusa sul territorio

Fare l’esatto opposto di quello che si è fatto negli ultimi venti anni. Farlo presto e bene. Non è in discussione il potere delle soprintendenze, ma il potere di veto esercitato su tutto per tutto. Che un uomo di esperienza come Franceschini faccia finta di non capirlo non appartiene alle cose che si possono accettare. Probabilmente lo sa bene anche lui. Non sarà un problema alla fine perché ha l’intelligenza politica di non mettersi di traverso.

I primi tre pilastri della Nuova Ricostruzione sono il decreto unico delle Semplificazioni – amministrative, parere culturale, valutazione di impatto ambientale, trasparenza, verifica contabile – la nuova governance – politica e tecnica – e i reclutamenti di personale a regola d’arte secondo criteri privatistici. Su questi tre pilastri in costruzione si vede oggi in superficie la schiuma bianca delle polemicucce che anticipa i grandi cambiamenti. Schiuma, bolle, grandi e piccole. Ancora schiuma.

La sostanza, però, è scolpita nella testa di Draghi come il rischio ragionato e l’osservanza delle regole. Come si è visto con le scelte di Figliuolo e di Belloni al posto di Arcuri e di Vecchione. Come è avvenuto con la campagna di vaccinazione e la ripresa graduale dell’economia in sicurezza. I tre pilastri si faranno, ma manca il quarto che è la centrale di progettazione e questo preoccupa perché nemmeno se ne parla.

Che bisogna cambiare tutto nella macchina di gestione degli investimenti pubblici in Italia dopo un ventennio in cui siamo cresciuti un sesto della Spagna è chiarissimo a questo governo e a chi lo guida. Avremo i primi tre pilastri della Nuova Ricostruzione perché la visione e la concretezza sono il segno di questo esecutivo di unità nazionale voluto da un Capo dello Stato che ha giocato la carta estrema al momento giusto. Sono il segno del fare obbligato che schiaccia gli argini impropri di una politica partitocratica sempre più fragile e lontana dai problemi reali delle persone. Può avvenire con il loro convinto consenso se rinsaviscono, ma può avvenire anche a loro insaputa se restano impigliati nel bozzolo mediatico-lunare dove si parla e si litiga su tutto meno che su quello che serve. Siamo sicuri che i tre pilastri ci saranno. Quello che ci preoccupa è invece l’assenza di un dibattito consapevole sul quarto pilastro. Senza il quale come capisce anche un bambino il nuovo palazzo non sta in piedi.

Serve una sala progettazione centralizzata perché il “palazzo” della Nuova Ricostruzione abbia la stabilità delle strutture che durano. Perché il Paese torni a essere la locomotiva nell’utilizzo dei fondi comunitari. Perché le due Italie tornino a riunirsi con una priorità meridionalistica effettiva.

Perché la macchina degli investimenti pubblici spenda bene e nei tempi dovuti le risorse programmate con il Recovery Plan nel campo delle infrastrutture immateriali e materiali e in quello fino a oggi molto squilibrato territorialmente della spesa sociale a partire da scuola e sanità. Perché questo processo finalmente organico di interventi che guarda a un Paese competitivo, sostenibile, meno diseguale e più equo, che dà risposte vere a Sud, giovani e donne, non può non mobilitare capitali privati preziosi per restituire all’Italia la forza smarrita di Fondatore e all’Europa la leadership perduta nel Mediterraneo.

Siccome gran parte di questo lavoro ha nel project management la sua prima pietra, siamo certi che il Mezzogiorno senza una sala progettazione centralizzata non ce la farà e che il Nord se la vedrà molto brutta e non rinuncerà al vizietto entratogli nella pelle dell’assistenzialismo mascherato come investimento. Chi mette a terra il progetto? Chi ne garantisce la gestione? Chi fa l’analisi prodromica? Chi ne valuta l’impatto? Chi fa i controlli? Chi fa rispettare i tempi alle amministrazioni territoriali e centrali?

Siamo favorevolissimi alla scelta di assumere con la banca dati valutando i curriculum di ingegneri, informatici e così via rispetto ai singoli progetti e dopo verifica meritocratica, ma, attenzione, non riteniamo che basti l’utilizzo di queste nuove risorse come task force in aiuto per invertire il quadro sconcertante di Regioni che non sono riuscite non dico a spendere o a impegnare, ma nemmeno a programmare decine e decine di miliardi di fondi comunitari.

Questi signori vogliono continuare a assumere come hanno sempre fatto, chiedono sempre più soldi, e hanno l’allergia per i progetti buoni. Questi gattopardi del Sud come del Nord se hanno campo libero ci portano al default sovrano senza preavviso. Sguazzano come anguille quando i soggetti economico-politici utilizzabili nella progettazione sono una moltitudine. Tipo: ministeri? Quali ministeri: uno per ogni progetto o più ministeri per ogni singolo progetto? Cdp? Invitalia? Società in house dentro Regioni, Comuni e Ministeri?

Facciamo il “macro conto” inevitabile delle inefficienze italiche regionaliste e troviamo il modo di liquidarlo a parte, ma restituiamo al Paese la sua centrale di progettazione. Unica, con un solo nome. Mettendoci dentro tutti gli specialisti che ci servono reclutando i migliori e affidando loro il coordinamento e la integrazione con una nuova rete di professionalità diffusa sul territorio. Servono uomini nuovi e linguaggi nuovi. Serve che si muovano insieme dentro un quadro autorizzativo e esecutivo fortemente semplificati. Avendo alle spalle il centro unico di contatto europeo e di rendicontazione tecnica alla Ragioneria generale dello Stato e il comitato unico a palazzo Chigi che esprime la regia politica con i poteri di richiamo e che rappresenta il punto più alto di garanzia per l’Europa.

Questo significa ragionare da sistema Paese. Questo significa avere possibilità concrete di attuare il Recovery Plan e di attuarlo con le scelte giuste e nei tempi prestabiliti. Questo significa avere fatto in pochi mesi quel nucleo essenziale di riforme che la politica italiana da venti anni almeno si rifiuta di fare.


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