Mario Draghi
4 minuti per la letturaIn caso di insuccesso, il giudizio fuori dell’Italia suonerebbe più o meno così: se non ci è riuscito neppure Draghi, vuol dire che l’Italia è insalvabile. Per un Paese che ha perso da tempo la sovranità nella gestione strutturale del suo debito pubblico sarebbe la condanna a morte. Farebbero bene a riflettere su questo punto tutte le lobby che tengono in scacco questo Paese perché difendono il loro spazio di potere e tolgono il futuro ai nostri giovani
Non è vero che Conte non ha fatto niente. È vero che, a un certo punto, si è fermato, lo hanno bloccato fino alla paralisi. Questo bisogna riconoscerlo a una persona perbene che con dignità e onore ha gestito un Paese complesso come l’Italia in uno dei momenti peggiori della sua storia. Ora, però, bisogna rimettere in moto il Paese. O si rimette in moto e si va avanti o si torna indietro e si cade esattamente come succede se vuoi pedalare all’indietro su una bicicletta.
Se Draghi non ce la fa, diventiamo all’istante peggio della Grecia. Perché la reputazione che ha meritatamente quest’uomo nel mondo fa sì che agli occhi degli investitori globali e dei Grandi della terra lui rappresenti l’ultima spiaggia per l’Italia. O ci porta a crescere o ci porta a fondo. Perché, in caso di insuccesso, il giudizio fuori dell’Italia suonerebbe più o meno così: se non ci è riuscito neppure Draghi, vuol dire che l’Italia è insalvabile. Per un Paese che ha perso da tempo la sovranità nella gestione strutturale del suo debito pubblico, sarebbe la campana della condanna a morte.
Farebbero bene a riflettere su questo punto tutte le corporazioni che tengono in scacco questo Paese perché difendono il loro spazio di potere e tolgono il futuro ai nostri giovani. A partire da quella corporazione multiforme che ha la responsabilità più grande perché ha nelle sue mani le chiavi che bloccano da almeno venti anni la capacità di fare gli investimenti sul futuro o più banalmente di fare le cose.
Questa multiforme lobby corporativa è la più ingombrante di tutte perché mette insieme pezzi di tutte le magistrature – penale, civile, amministrativa, contabile – pezzi delle grandi burocrazie centrali e regionali, pezzi di un modo di fare informazione servile a questi poteri e privo di quei requisiti minimi di competenza capaci di garantire un racconto veritiero dei fatti. Che metterebbe a nudo distorsioni, ipocrisie, certo, ma prima ancora documenterebbe la demolizione in atto del capitale umano e sociale di un grande Paese.
Farebbe emergere la permeabilità altissima alla corruzione diffusa e alla infiltrazione della criminalità organizzata in gangli sempre più larghi della sua economia e delle sue istituzioni, che trovano alimento vitale proprio in questo stato confusionale. Aiuterebbe a restituire la dignità che meritano alla stragrande maggioranza dei magistrati, dei burocrati e di chi fa informazione con passione e abnegazione dentro un sistema costruito per bruciare tutto in un groviglio di norme e contro norme e di regole professionali distorte che sono i segni fisici di quella guerra di potere senza vincitori che ha un solo grande sconfitto che è il Paese.
La politica italiana ha perso credibilità perché in parte è alla testa di questo sistema, in parte perché ne è connivente, in parte perché non ha capito niente.
La grande opportunità di oggi della politica – lo ha capito più di quello che sembra una parte rilevante degli azionisti della maggioranza del governo Draghi e l’opposizione responsabile di Fratelli d’Italia – è impossessarsi del dividendo della ricostruzione nazionale che solo questo nuovo “esecutivo De Gasperi” può garantire alle due Italie con un metodo nuovo di lavoro e una dimensione strategica condivisa.
Questa è la sfida capitale alla quale ha chiamato tutti un Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che merita la riconoscenza degli italiani. Perché ha avuto l’intelligenza di concepire il disegno strategico e l’abilità di convincere a spendersi in prima persona l’unico grande italiano capace di garantire una stagione di governo non di due ma di nove anni, indipendentemente dal ruolo che Draghi avrà, dove i protagonisti saranno le donne e gli uomini della politica che avranno saputo cogliere l’ultima occasione che ci è data.
Dove il sistema Paese – al primo posto c’è obbligatoriamente il Mezzogiorno come priorità strategica nazionale e soggetto attuatore del cambiamento – sceglie insieme il registro della fiducia reciproca e abbandona il copione logoro delle battaglie di potere delle mezze tacche e la pratica strumentale del fango. Facciamo respirare all’Italia, a pieni polmoni, l’aria pulita della fiducia che è la base per restituire a essa il ruolo che le compete in Europa e nel mondo. L’alternativa è il teatrino di prima e le macerie di un Paese intero. Capito?
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