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Mario Draghi

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Consigliamo ai leader politici di smetterla di dare indicazioni a Draghi sulla composizione della squadra o su banalità di contorno perché finiscono con l’essere patetici. Consigliamo agli analisti in tv di fare almeno il piccolo sforzo di capire chi è Mario Draghi e di come si è sempre mosso perché solo in assenza di questi rudimenti elementari del lavoro si poteva ipotizzare che Draghi salisse al Quirinale un minuto dopo l’esito del referendum grillino sulla piattaforma Rousseau. Che Draghi rappresenti per questo Paese una straordinaria carta per la sua credibilità internazionale dovrebbe essere chiaro a tutti quelli che hanno intelligenza politica

Consigliamo ai leader politici di smetterla di dare indicazioni a Draghi sulla composizione della squadra o su banalità di contorno perché finiscono con l’essere patetici. Consigliamo ai cronisti politici italiani di fare almeno il piccolo sforzo di capire chi è Mario Draghi e di come si è sempre mosso perché solo in assenza di questi rudimenti elementari del lavoro si poteva ipotizzare che Draghi salisse al Quirinale un minuto dopo l’esito del referendum grillino sulla piattaforma Rousseau.

Consigliamo a tutti i retroscenisti italiani di prendere atto che la trama da loro intessuta e propagandata di un Draghi che sottobanco con i suoi alfieri della politica preparasse da tempo il suo arrivo a Palazzo Chigi per prendere il posto di Conte, è frutto esclusivamente della loro fervida fantasia come gran parte del teleromanzo del talk permanente italiano di questi giorni da noi battezzato Titanic Italia. Prepariamoci, dunque, alle riflessioni del presidente incaricato e rendiamoci conto che fare la squadra dei ministri richiede il tempo giusto se non si è potuto fare prima neppure una telefonata. Perché le persone serie scelgono quelli che servono per fare le cose che servono quando è chiaro il mandato.

Che Draghi rappresenti per questo Paese una straordinaria carta per la sua credibilità internazionale e una garanzia di visione strategica e di capacità operativa dovrebbe essere chiaro a tutti quelli che hanno intelligenza politica.

Per questo continuiamo purtroppo a constatare imbarazzati i soliti riflessi condizionati nei comportamenti di tutti i capi degli schieramenti politici che hanno detto sì a un governo di unità nazionale, voluto dal presidente Mattarella per sottrarre il Paese a un teatrino della politica e dei suoi media che ha avuto proprio in quei riflessi condizionati la ragione della sua degenerazione. Da Zingaretti come da Crimi, da Salvini come dai capi scissionisti dell’atomo Leu, I’Italia non si aspetta impraticabili rivendicazioni di spazi politici programmatici e di potere, perché sarebbero gli ennesimi riflessi condizionati delle eredità malvagie del loro precedente modo di stare al governo.

Ci si aspetterebbe che tutti si affrettassero finalmente a dichiarare “non abbiamo né nemici né avversari” e contribuiremo “con il nostro operato” non a creare questa o quella alleanza organizzata con i Cinque stelle o dentro un centrodestra entrambi più o meno divisi, quanto piuttosto a creare quella comunità di intenti che permetta di salvare il Paese.

A chi si affatica a mandare il suo bigliettino per avere questo o quello vogliamo dire che ha scelto proprio il metodo sbagliato per iniziare una esperienza di governo che deve consentire all’Italia di vincere la sfida del Recovery plan riformando giustizia civile e amministrazione per imboccare la strada della crescita e di assumersi la responsabilità (perché ora ha l’uomo giusto per farlo) di guidare il G20 e Cop 26 per regalare al mondo il nuovo multilateralismo e la risposta alla crisi ambientale. In questo ambito di pensiero e di azione non è neppure immaginabile che il Mezzogiorno non sia percepito al tempo stesso come il problema competitivo e la grande opportunità di un Paese che vuole rialzare la testa.

Siamo all’ultima spiaggia per l’Italia intera e senza gli investimenti pubblici produttivi nel Mezzogiorno e la riunificazione infrastrutturale immateriale e materiale delle due Italie, anche il giusto, rilevante, investimento nel mondo produttivo del Nord non può cambiare le sorti del Paese. Non è più tempo di movimentismi ma di contribuire a fare le cose perché almeno le priorità sono chiare.


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