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Nicola Zingaretti, Giuseppe Conte e Luigi Di Maio

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Non vogliamo disturbare il racconto romanzato della solita Italia che balla sul Titanic nei giorni della crisi di governo che segna il punto minimo di credibilità del nostro Paese nel mondo. Tutti recitano il solito copione teatrale fatto del solito politichese a geometria variabile tipo Conte-ter o Renzi-bis o di nuove pièce in musiche e parole tipo “Armata Brancaleone” con l’editore di giornali in Sudamerica, l’ex badante del Cavaliere e un gruppo scelto di fuoriusciti pentastellati.

Assistiamo impietriti alla “distruzione strategica” di un’Italia che non paga di avere perso la sovranità nella gestione strutturale del suo debito pubblico di appena 2600 miliardi dopo venti anni di crescita zero e di sistemica spoliazione della spesa pubblica produttiva nel suo Mezzogiorno, si prende anche il lusso di sbattere la porta in faccia a un’Europa che fa debito comune per salvarci e chiede solo di presentare progetti buoni e di cambiare la macchina esecutiva per fare in modo che quei progetti vengano attuati nei tempi prestabiliti. Un’Europa che ci chiede, cioè, di fare quello che avremmo dovuto già fare da soli da molto tempo.

Noi invece non abbiamo tempo per fare un Recovery Plan con tanto di opere e di cronoprogrammi perché abbiamo deciso di litigare su tutto secondo il solito copione italiano. Paghiamo per collocare i nostri titoli molto di più di spagnoli e portoghesi (se avessimo avuto i tassi dei primi nel 2020 avremmo risparmiato 1,6 miliardi) e abbiamo affiancato la Grecia nel punto più alto del discredito reputazionale. Siamo sotto osservazione delle agenzie di rating e ce la stiamo mettendo tutta perché ci declassino al livello della spazzatura, ovviamente non ce lo auguriamo.

Apprendiamo che non sono stati adottati 547 decreti attuativi pari al 60% di quelli previsti per mandare all’incasso il più clamoroso pacchetto di leggi di spesa che ricordi la storia recente di finanza pubblica di questo Paese. Vuol dire che continuiamo a prendere in giro gli italiani e a minare la fiducia della sua economia martoriata dal Covid. Perché senza quei decreti i soldi non possono arrivare. Il Capo del partito del Nord che è Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna e della Conferenza Stato-Regioni, è tornato a fare sentire la sua voce. Non vi permettete di fare un Recovery Plan, dice in soldoni dalle colonne di Repubblica, senza mettere all’incasso il bacino padano prima di quello di Taranto “perché se si fermano le aree territoriali che più corrono poi chi lo ripaga il debito pubblico?”
Signor Bonaccini, mi sa dare una sola ragione per cui mediamente dal 2000 al 2017 i cittadini emiliano-romagnoli hanno ricevuto pro capite 84,4 euro per investimenti pubblici in sanità contro i 15,9 euro dei cittadini calabresi e i poco più di 20 euro di quelli campani?

Nemmeno con il fondo perduto europeo che è così generoso con l’Italia solo perché conosce le cifre della vergogna italiana che sono quelle della rendita pubblica a favore dei ricchi costruita con i soldi pubblici dovuti ai poveri, il Capo del Partito del Nord alza le mani, chiede scusa, e dice “forza ragazzi” questa è la vostra chance, questa è la grande opportunità dell’Italia perché se non riparte il Mezzogiorno il Nord diventa colonia di un altro mondo che è quello franco-tedesco e l’Italia sparisce come Paese dalla cartina geografica.

Per carità, la “roba” che non è sua e che di questo passo non vedremo mai, Bonaccini intende ipotecarla con la solita miope arroganza di questi ultimi venti anni. Possiamo riunire le due Italie e possiamo farlo con i soldi europei? Sì. Non dobbiamo cacciare niente noi del Nord? Sì. Allora si rilancino i porti del Sud, si faccia finalmente l’alta velocità, si porti la banda larga ultra veloce, si colmi il divario abnorme in termini di investimenti in scuola e ricerca. Questo uno si aspetterebbe, invece no. Non si è capaci di dire sì alla solidarietà competitiva neppure con i soldi degli altri. Se l’Europa questi soldi non ce li dà, sapete chi ringraziare.

Questa povera Italia che ha perso da tempo la bussola è riuscita anche a fare un’accozzaglia di progetti stipati uno sull’altro in una fantomatica bozza di Recovery Plan che gli uffici tecnici di bilancio di Camera e Senato – non della Commissione europea – hanno fatto notare che sono fuori di 14,4 miliardi. In Italia facciamo finta di spendere e facciamo debito cumulando i danni e quel poco che dovrebbe arrivare a destinazione si ferma per strada perché la burocrazia europea non fa altro che ripetere che l’Italia sui ristori non è stata neppure capace di copiare la Germania. Inutile dire che le tre regioni rosso cupo dell’intera Europa sono Emilia-Romagna, Veneto e Friuli Venezia Giulia nella gestione della pandemia e inutile dire che esattamente come fanno loro e la Lombardia con lo Stato italiano, lo fanno ora anche con l’Unione Europea. Perché i numeri degli altri non vanno mai bene e loro sono i più bravi del mondo a prescindere, come direbbe il grande Totò.

Chiediamo scusa al principe De Curtis per averlo coinvolto in queste beghe di Paese di desolante tristezza ma vorremmo ricordare a tutti che i “padroni” dell’Italia ci soccorrono perché non vogliono saltare anche loro appresso a noi e stanno perdendo la pazienza. A loro non gliene frega proprio niente di che cosa pensa la segreteria del Pd o del sostegno di tutti i Cinque stelle a Conte. Questa è roba per l’avanspettacolo dell’altra faccia del Titanic Italia.

Loro, i “padroni” dell’Italia, la Bce, le agenzie di rating, il governo tedesco aspettano solo di vedere se vogliamo voltare pagina o no rispetto agli ultimi venti anni e fare le cose partendo dalla convergenza dimenticata tra Sud e Nord. Vi sembrerà strano, ma questa è la crisi che l’Italia deve risolvere non quella del cambio di squadra tra un politicante e l’altro. Questo Paese ha diritto di essere governato da una squadra all’altezza della situazione perché è in gioco la sua sopravvivenza.


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