Giuseppe Conte e Luigi Di Maio
5 minuti per la letturaA Luigi Di Maio, ministro degli Esteri di Pomigliano d’Arco che non può non avere a cuore il Mezzogiorno, facciamo presente che i due miliardi di euro (2021) destinati a sostenere parzialmente il provvedimento di decontribuzione per le imprese con i fondi europei del React-Eu, sono in grandissima parte assorbiti dal fondo sanità e vaccini, da contratti di formazione di medici specializzati, e dalla proroga di personale sanitario a tempo determinato.
Adesso, ministro Di Maio, le è chiaro a che cosa servirebbero i soldi del Mes sanitario? A finanziare con meno oneri e vincoli i contratti dei medici di cui c’è ovunque bisogno e molto altro in materia sanitaria senza toccare la dote europea, peraltro ancora oggetto di negoziazione, per sostenere il provvedimento più rilevante a favore del lavoro produttivo nel Mezzogiorno ideato da questo governo. Le pare poco? Ce ne laviamo le mani perché siamo impegnati alla Farnesina o vogliamo occuparcene seriamente? Per quanto tempo credete di potere andare avanti con queste contraddizioni? Ma è possibile che alla fine si debbano sempre toccare i fondi di coesione del Mezzogiorno italiano e dei Sud del Nord per affrontare questa o quella emergenza nazionale? Anche quando con tassi sotto zero e senza vincoli si potrebbero fare le stesse cose?
A Giuseppe Provenzano, che sulla decontribuzione nel Mezzogiorno si gioca tutto, riconosciamo di avere messo il cuore oltre l’ostacolo. Se il provvedimento della decontribuzione è ancora nella legge di stabilità lo si deve a lui che ha imposto una direzione di marcia e ha voluto l’utilizzo della fiscalità generale per sostituire quanto veniva sottratto alla voce React-Eu. Anche a lui, però, dobbiamo porre alcune domande. È vero o no che ha dovuto prendere atto che i 3,5 miliardi di finanziamento europeo per il 2021 e per la stessa cifra nel 2022 non esistono? Che la Commissione europea ha fatto informalmente sapere: levatevelo dalla testa? È vero o no che, al massimo, si possono strappare quattro miliardi, due a anno per il 2021 e per il 2022? È vero o no che attingendo al fondo di rotazione che anticipa il Next Generation Eu, se emergesse un veto della Commissione ci ritroveremmo a parlare di nuovo debito della Repubblica italiana e non più di finanziamento europeo a fondo perduto?
Comprendiamo che superare gli ostacoli posti dalla burocrazia di Bruxelles è più facile se si chiede l’autorizzazione a spendere soldi propri per le procedure di aiuti di Stato (vedi Irlanda e Portogallo) che non per quelle vincolate del Next Generation Eu, ma ci rendiamo conto che viene fuori un’impalcatura fragile che è tenuta in piedi dal coraggio dell’ottimismo di Provenzano che ovviamente apprezziamo ma che allo stesso tempo determina più di qualche ansia?
Quando cominceranno a rullare i tamburi della solita politica forte del Nord che avrà gioco facile a sostenere che la decontribuzione al Sud sostenuta con la fiscalità generale è sempre debito nuovo, e solo debito, che cosa risponderemo? Il piano di interventi ancorché decrescente ha una sua forza se è strutturale e se si sviluppa, come vuole Provenzano, su un arco di tempo relativamente lungo, fino al 2029, ancorché decrescente. E se i dubbi e le perplessità riguardassero anche la durata e la negoziazione avesse esito negativo, come si fa a andare avanti? Il fondo di rotazione è in grado di sostenere un impegno finanziario così rilevante per un tempo così lungo? A nostro avviso no e siamo certi che la Ragioneria generale dello Stato una parte rilevante di queste somme le taglierebbe sempre dai fondi europei di coesione che è un modo per dare con una mano e togliere con l’altra gli stessi soldi che dovrebbero servire a fare ripartire il Mezzogiorno. Riducendo, quindi, l’impatto della missione italiana perché se non si riaccende il secondo motore pure il primo, già sotto tono, è destinato a fermarsi. Anche perché sulla sua strada a ostacoli questo Mezzogiorno più o meno abbandonato troverà un esercito di lobby e di potentati regionali che hanno inzeppato la legge di stabilità del più poderoso campionario di marchette mai conosciuto. Spaziano dai rubinetti ecologici al filtraggio delle acque, dalla formazione turistica esperenziale al credito di imposta per i cuochi professionisti e così via. Non vorranno sentire ragioni e sempre su quella stessa fiscalità generale, che non è nient’altro che nuovo debito, andranno a bussare.
Invece la decontribuzione del Mezzogiorno di lungo termine deve essere un pezzo strategico del progetto Paese che l’Italia del Recovery Plan ha il dovere di imporre in Europa. Certo, serve una visione che identifichi nella logistica come nella banda larga ultra veloce e nell’alta capacità e velocità ferroviarie, i progetti chiave di un disegno di sviluppo italiano che vuole aumentare la produttività e riconquistare la leadership nel Mediterraneo. Questo progetto italiano è quello europeo. Tocca alla nostra classe di governo smetterla di litigare e cominciare a fare le cose fatte bene. Ci sono riusciti il Portogallo e perfino la Grecia, possibile che sempre solo noi siamo quelli che restano indietro? Quando si comincerà a ragionare fuori dagli schematismi degli interessi territoriali per recuperare un’idea unitaria di Paese che esalti le diversità ma che sa dove andare e per fare che cosa?
Forse non lo abbiamo ancora capito bene, ma se sprechiamo questa opportunità ingabbiati nel vortice del solito egoismo che esclude il Sud a prescindere, tutti insieme usciremo molto presto dal novero dei Paesi industrializzati. Faremmo bene a fermarci sull’orlo del precipizio. Un altro po’ di teatrino e ci finiamo dentro senza poterci più rialzare.
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