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David Sassoli

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Fino a ora tutti i Paesi sono scesi giù, insieme e precipitosamente, ma se quando tutti cominciano a risalire ci accorgiamo di essere sempre gli ultimi, allora è la fine. La Bce può comprare a lungo ma non può farlo all’infinito. Sapete qual è il rischio reale per l’Italia in queste condizioni? Che la ripresa riparte in quasi tutto il mondo e si fanno ripartire ovunque gli investimenti, mentre noi rimaniamo imprigionati nel circolo perverso dei sussidi. Se non vogliamo fare la fine del Venezuela serve che Conte e Gualtieri ci dicano chi sono le persone competenti che stanno elaborando il piano e che ne facciano una predisposizione tempestiva in termini di priorità negli investimenti

Avete mai visto uno che va a prendere i soldi in banca e mentre chiede il prestito dice al direttore della banca “io non te lo restituisco”? È quello che ha fatto il presidente dell’Europarlamento, David Sassoli, che vuole cancellare 130 miliardi di debiti italiani prima che l’Europa questi debiti li abbia concessi. È quello che ha fatto addirittura parlando con un’agenzia internazionale come Bloomberg, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro. Hanno avuto pietà di noi i giornalisti di Bloomberg e lo hanno presentato come collaboratore di Conte, ma Fraccaro occupa la poltrona che in altre epoche è stata di Giuliano Amato e di Gianni Letta e vi rendete conto da soli in che mani siamo finiti.

Siamo matti o cosa? Facciamo i conti con un trimestre perso, un trascinamento sul primo dell’anno nuovo che ne subisce gli effetti e si presenta come pandemico perché a noi dei vaccini ci arriva quello che funziona meno, gli americani fanno il pieno di quello buono per due o tre mesi, il nostro piano per la logistica è nelle mani di Arcuri, e noi che facciamo? Prendiamo atto che avremo un altro anno in cui al ristorante ci andremo poco o niente, che turismo, spettacolo, negozi e così via continueranno a soffrire e risarciamo tutti sul conto corrente almeno al 50% della perdita invece di regalare monopattini, scarpe di gomma, biciclette e sussidi vari anche a chi con la Pandemia si sta arricchendo?

Ci affrettiamo a fare il piano di investimenti? A dire chi ci lavora e quali sono le priorità? Apriamo un dibattito pubblico trasparente per arrivare a scelte rapide e condivise che riunifichino infrastrutturalmente le due Italie? Indichiamo i nomi delle persone competenti che fanno il piano e lo gestiranno? Mettiamo in campo un’agenzia tecnica centrale che possa dialogare con l’Europa e ne affidiamo la guida a persone che non possono fallire perché hanno una vita di lavoro che lo garantisce?

No, assolutamente. Riconosciamo che siamo in ritardo sul Next Generation Eu, non spieghiamo chi ci lavora, ma cominciamo a dire alla Bce che ci deve continuare a finanziare e ai mercati che ci osservano con straordinaria benevolenza, che noi vogliamo i soldi non si capisce per fare che cosa ma che quei soldi noi vogliamo anche non restituirli. Qui, se si continua così, si fa male Conte ma molto di più il Paese.

Punto uno. Una malattia mortale si previene, non si cura con la speranza. Perché dovremmo fidarci di chi non si è nemmeno accorto che arrivava la seconda ondata? Ci rendiamo conto di che cosa significa un piano di logistica per custodire a meno di ottanta gradi il vaccino e consegnarlo a 50 milioni di persone? L’America ha già il suo piano di stoccaggio e di distribuzione. Francesi e tedeschi ci stanno lavorando seriamente. Noi ci siamo affidati a Arcuri che non riesce a fare bene quello che già sta facendo, peggio di lui ci sono solo le Regioni, e pensiamo di avere risolto il problema. Francamente siamo molto preoccupati.

Punto due. Ma come è possibile che il Paese che più di tutti ha bisogno dei 209 miliardi dell’Europa è quello più indietro nella formulazione del piano? Non solo non c’è furore nella sua preparazione, ma stenta a esserci anche un dibattito pubblico. Non se ne sa niente, non si capisce chi se ne occupa. Chi ci lavora a Palazzo Chigi? Perché allo Sviluppo Economico non ne sanno niente? Perché la Ragioneria generale dello Stato è tenuta all’oscuro? Perché al Tesoro non ne sanno granché? Sono passati luglio, agosto, settembre, ottobre, novembre. Non è successo nulla. Abbiamo un buon lavoro del ministro per gli Affari europei, Vincenzo Amendola, ma non andiamo oltre. Germania, Olanda, Francia hanno il loro piano, noi no.

Punto tre. Continuiamo a giocare con le parole, ma ci rendiamo conto che se si comincia solo a far pensare agli altri che non pagheremo i debiti, si sa come si inizia ma non si sa come finisce? Non pretendiamo che si leggano i trattati, ma almeno un po’ di ragionevolezza, questa sì. A ogni debito corrisponde un creditore e subito comincia il gioco di chi sarà a piangere e su quale credito. Noi dobbiamo chiedere e ottenere 209 miliardi finanziati da debito comune europeo di cui 130 sono crediti e il restante a fondo perduto. Preoccupiamoci di fare un piano serio non di mettere in circolo parole in libertà che possono avere un effetto valanga. Mentre la Bce sta comprando come non mai e dieci giorni prima di una riunione rilevante del suo direttivo. Siamo senza parole.

Punto quattro. Sapete qual è il rischio reale per l’Italia in queste condizioni? Che la ripresa riparte in quasi tutto il mondo perché anche buona parte dell’Europa dopo Cina e America si attrezza con la gestione in sicurezza della Pandemia e si fanno ripartire ovunque gli investimenti, mentre noi rimaniamo imprigionati nel circolo perverso dei sussidi. Continuiamo solo a parlare di soldi europei e a dare soldi a tutti indebitandoci. Basta! Questa è l’ultima occasione per fare investimenti pubblici alla luce del sole mobilitandone altrettanti privati, ma bisogna coinvolgere gli uomini competenti dello Stato e richiamare quelli bravi che se ne sono andati, non una struttura raffazzonata e segreta. Gli italiani hanno diritto al massimo di trasparenza e chi ci governa ha il dovere di informare e di rendere tutto pubblico. Invece non sappiamo niente. I grillini non mollano un grammo di potere a chi sa fare le cose e, forse, nemmeno capiscono fino in fondo il valore delle competenze. Ciò che sorprende è che Conte che ha dimostrato di capire le cose non si imponga. Non pretenda uno sforzo per portare a casa un piano di investimenti credibili ben fatto. La Merkel che non guida un Paese indebitato come il nostro e che ha caricato di soldi i tedeschi portando il debito non al centosessanta come noi ma all’ottanta per cento del pil, ha detto chiaro e tondo che non ce la fa a sovvenzionare tutti e li ha invitati a darsi da fare. Noi che cosa aspettiamo?

Punto cinque. Ma qualcuno ha cominciato a chiedersi quale è il tendenziale del deficit e del debito che l’Italia sta fabbricando per gli anni a venire non per creare sviluppo e ridurre le diseguaglianze ma per sovvenzionare questo e quello? Non per fare girare gli autobus turistici che stanno a spasso e portare i nostri ragazzi a scuola in sicurezza o per fare la manutenzione e fare uscire dai posteggi tutte le macchine rimaste fuori uso. No, per carità.
La verità è che stiamo entrando nella fase più complicata e sembriamo non accorgercene. Da adesso in poi, per i prossimi mesi, tutto si gioca sul fatto se l’Italia dimostra una capacità progettuale e di esecuzione che fino a oggi non ha avuto. Fino a ora siamo scesi tutti giù, tutti insieme e tutti precipitosamente, ma se quando tutti cominciano a risalire ci accorgiamo di essere sempre gli ultimi, allora è la fine. Perché la politica monetaria oggi fa faville e la Bce si compra tutto, lo farà ancora a lungo ma non all’infinito. Se non vogliamo fare la fine del Venezuela serve che Conte e Gualtieri ci dicano chi sono le persone competenti che stanno elaborando il piano e che ne facciano una predisposizione tempestiva in termini di investimenti. Se si ha perfino paura di dire in pubblico quali sono le priorità e si continua a mediare tra interessi contrapposti in un quadro di debolezza di competenze si finirà con il tagliare come sempre il Mezzogiorno, ma si avrà la sorpresa che questa volta sarà l’Europa a impedire di dirottare come sempre le risorse pubbliche da una parte all’altra del Paese ignorando la finalizzazione europea di quelle risorse. Siamo già in ritardo su tutto, ma se crediamo di continuare con questo metodo di lavoro raffazzonato e crediamo di andare a parlarne in Europa due giorni prima, ci sbagliamo di brutto. Non funziona così.


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