Una terapia intensiva
4 minuti per la letturaCome va la Pandemia? Dipende tutto da lì a torto o a ragione e obiettivamente nessuno lo sa. Il punto dirimente è uno. La situazione del Covid 19 in Italia è scappata di mano o c’è ancora margine per rimetterla sotto controllo? Purtroppo gli ultimi dati fanno pensare che la situazione sia scappata di mano e che occorra tornare a fare restrizioni. Viaggiamo due settimane dietro Francia, Inghilterra, Spagna e ogni giorno che passa emerge sempre di più che ci siamo cullati nel periodo estivo pensando che le cose fossero superate e non era così.
Più prende corpo la sindrome resiliente del Covid 19 e si allungano le ombre della Grande Depressione mondiale e più emergono le fragilità del ’29 italiano con il suo caravanserraglio di ministri incompetenti, sceriffi regionali e prime donne di un regionalismo deteriore. Più emergono le speranze nel realismo tedesco che guida la nuova Europa del debito comune e di una rediviva Lagarde che come timoniere delle monete, dalla tolda di comando della Bce, non fa impazzire i mercati, ma come politico navigato indica lucidamente in un Recovery Fund permanente lo scudo di un’Europa che finalmente si vuole attrezzare di strumenti economici e militari idonei a affrontare la terra incognita che abbiamo davanti. Tutti i grandi Paesi europei sono oggi d’accordo nello stare insieme in modo compatto perché sono aggrappati all’ancora europea e si rendono conto che fuori dall’Europa, né in Russia né in Cina (economia a parte) né negli Stati Uniti, non è che sia proprio un bel vedere. Alla fine l’unica area di stabilità è quella europea con tutte le altre potenze che provano a destabilizzarci. La Turchia ne è un esempio tra i più evidenti. Questo il quadro globale.
Parliamoci chiaro, però: ciò che preoccupa è la situazione interna italiana. Milano è fuori controllo. Se parte Milano in una spirale bergamasca, come paventano pubblicamente medici tra i più accreditati, c’è da avere paura perché la densità abitativa delle due città non è nemmeno lontanamente paragonabile. Per la seconda volta la Lombardia diventa un problema nazionale e, lo diciamo senza polemica, chi si permette nei prossimi dieci anni di parlare di modello Lombardia rischia di fare la stessa fine del ministro dell’Economia in carica, Roberto Gualtieri, che ha il problema di non trovare più neppure uno sgabuzzino libero dove andarsi a nascondere per avere raccontato la favola di una ripresa italiana nel pieno della più grande crisi economica e sociale della storia recente. Avere testa e cuore fuori dalla realtà è inammissibile per chi ha la regia della politica economica.
Solo la ministra De Micheli riesce a fare disastri di livello superiore ma siamo ormai alle ultime battute. Perché i giochetti che li accomuna con le lobby che proteggono l’indifendibile interesse di Tim e negano all’Italia la rete della banda larga anche quando l’Europa è disposta a finanziarcela in toto, verranno ricordati nei libri di storia come il manuale Cencelli della politica che segnò la fine della Prima Repubblica negli anni del primo possibile default italiano. A Milano come a Napoli, e forse peggio ancora a Roma, sono rimasti tutti sette mesi sette con le mani in mano e ci hanno costretto nel frattempo a sorbirci la serie one man show di un governatore della Campania che non ha nemmeno il coraggio di fare nelle sedi istituzionali competenti il passo necessario per sanare lo scandalo del taglio brutale dei diritti di cittadinanza sanitaria e scolastica della sua comunità e di un commissario nazionale per l’emergenza sanitaria che ha la caratteristica di non farsi mai capire da nessuno e che ripete nella seconda ondata con ventilatori e terapie intensive il fallimento storico delle mascherine nella prima ondata. Nulla è stato fatto per potenziare la medicina sul territorio.
Siamo sinceramente molto spaventati. Perché noi abbiamo imparato a conoscere il problema italiano che incide in profondità nel suo tessuto civile e viene molto prima della Grande Depressione mondiale. Soprattutto ci rendiamo conto che questa analisi fatta di numeri certi e visibili per chiunque li voglia vedere continua a essere ignorata dai più, ripetendo al cubo gli errori dell’ultimo ventennio. Il problema di cui stiamo parlando è un virus tutto nostro che si è sviluppato intorno a un regionalismo che non solo ha moltiplicato da Nord a Sud clientele, sprechi e penetrazione della criminalità organizzata nei gangli vitali dell’economia, ma ha addirittura piegato il bilancio pubblico alle esigenze del miope egoismo delle Regioni ricche del Nord minando la coesione sociale, paralizzando la governance dello sviluppo e demolendo giorno dopo giorno la competitività del sistema Italia. Fino a quando non si troverà la forza di fare i conti a viso aperto con l’operazione verità lanciata da questo giornale brancoleremo nel buio più assoluto. Poiché i tempi sono terribili e si continuano a scambiare gli annunci con i fatti il pericolo di un’eversione sociale a partire dal Mezzogiorno è oggi più che mai reale. A onore del vero dovremmo dire che questa eversione è già in atto.
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Caro Direttore,
sono regolarmente d’accordo con Lei, almeno in massima parte.
Quella che mi lascia perplesso è però la chiusura del Suo articolo: “A onore del vero dovremmo dire che questa eversione è già in atto.”
Mi scusi ma almeno qui in Calabria io non vedo un briciolo di protesta, anzi.
Anche le cosiddette parti sociali (Organizzazioni datoriali, sindacati, partiti di opposizione, Associazioni Culturali, ecc. – che avrebbero il dovere, non il diritto, di protestare e chiamarci a manifestare tacciono come se vivessero in un altro mondo.
Da economista e meridionalista (sarà per la pessima influenza oramai divenuta genetica del mio passato in ISVEIMER) immagini che giorni della scorsa settimana ho portato la mia modesta solidarietà (e “fare numero”) alle Società del Trasporto privato che protestavano sotto la Cittadella Regionale a Catanzaro.
Mi indica dove è già in atto questa eversione (democratica) che mi metto in contatto immediatamente?
Cordiali saluti.
Umberto Pecoraro (teoricamente “Consulente aziendale”)