Il premier Giuseppe Conte
3 minuti per la letturaBisogna riunificare il Paese partendo dalla scuola, dalle università, dalla ricerca e dalla banda larga, ma nessun patto per l’Italia è possibile se il sistema produttivo privato non torna a concepire il Mezzogiorno come la sua nuova frontiera di investimenti per una crescita dimensionale favorita dalla fiscalità di vantaggio, dal miglioramento ambientale e dalla de-globalizzazione in atto causa Covid-19. Ha ragione Conte: o l’Italia cresce insieme o neanche il Nord crescerà in modo sostenuto
Nessun patto per l’Italia è possibile se non si comprende che il primo problema competitivo italiano è il suo Mezzogiorno. Nessun patto per l’Italia è possibile se non ci si rende conto che la priorità assoluta del Paese sono gli investimenti di sviluppo immateriali e materiali nelle regioni meridionali e una macchina pubblica centrale snella capace di attuare in pochi anni questi interventi scrivendo e realizzando nei tempi prestabiliti il cronoprogramma concordato con l’Europa. Partendo dalla scuola, dalle università, dalla ricerca e dalla banda larga che sono gli elementi di un tutt’uno e vanno coniugati coerentemente in un investimento di innovazione di lungo termine in capitale umano.
Nessun patto per l’Italia è possibile se non si acquisisce la consapevolezza che una taglia dimensionale nazionale di impresa che poggi sulla riunificazione infrastrutturale delle due Italie è la pre-condizione minima per continuare a dire la nostra nel novero delle grandi economie industrializzate.
Nessun patto per l’Italia è possibile se il mondo produttivo del Nord non condanna il miope regionalismo dei potentati politici tosco-emiliani della Sinistra Padronale e di quelli lombardo-veneti a trazione leghista e se non trova la forza di denunciare pubblicamente le distorsioni dei trasferimenti in conto capitale che, con il trucco della spesa storica, sottraggono indebitamente risorse di spesa sociale e infrastrutturale al Sud per alimentare al Nord il peggiore assistenzialismo e finanziare indirettamente la crescita di mafie imprenditrici endogene. Questa spirale perversa va spezzata se si vuole chiudere il ventennio del declino italiano che è il frutto avvelenato proprio del miope egoismo di amministrazioni regionali del Nord e di una rassegnazione a volte incapace delle amministrazioni regionali del Sud. Che si traduce, spesso, in una progressiva riduzione delle aspettative e in un pericoloso adattamento a un contesto ambientale decadente.
Nessun patto per l’Italia è possibile se il sistema produttivo privato non torna a concepire il Mezzogiorno come la sua nuova frontiera di investimenti per una crescita dimensionale favorita dalla fiscalità di vantaggio, dal miglioramento ambientale e dalla de-globalizzazione in atto causa Covid 19 persistente e resiliente. Nessun patto è possibile se non si hanno l’intelligenza e l’umiltà di capire che la riduzione del divario interno italiano è il primo obiettivo strategico dell’Europa solidale dei bond comuni e del Next Generation EU.
Questo, per capirci, significa avere visione e occuparsi così di giovani e di donne.
Questo significa a cascata occuparsi di pubblica amministrazione, di fondi europei, di investimenti produttivi e di riforma fiscale. Per questo abbiamo apprezzato le parole finali dell’intervento del Presidente del Consiglio Conte all’assemblea generale di Confindustria di ieri sulla fiscalità di vantaggio al Sud, il riequilibrio e l’equità che aiutano anche il Nord, ma soprattutto sull’Italia che cresce insieme o non cresce in modo sostenuto.
Sempre del Presidente del Consiglio abbiamo apprezzato il riferimento a uno strumento normativo ad hoc per fare finalmente le cose e cambiare la pubblica amministrazione. La tensione positiva che attraversa l’intera relazione del Presidente Bonomi va colta per lo sforzo analitico, la prospettiva di lungo termine, e la parte di richiamo alle regole che riguarda il suo mondo. Ha bisogno, però, della scintilla del Mezzogiorno. Quella che avevano, dopo la seconda grande guerra, il borghese milanese ed ex partigiano Rodolfo Morandi, e un suo illustre predecessore genovese alla guida di Confindustria, Angelo Costa. Bisogna tornare oggi alla coerenza meridionalista del trentino De Gasperi e a moderni uomini del fare con la visione e la tempra di quelli di allora come il siculo-valtellinese Pasquale Saraceno, e l’irpino Gabriele Pescatore. Questa è la sfida dell’Italia di oggi. Questa è la sfida dell’Europa. Il resto sono chiacchiere.
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