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Dario Scannapieco, vicepresidente della Banca Europea degli Investimenti

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NON si scherza più. Ho letto e riletto la relazione del vicepresidente della Banca Europea degli Investimenti, Dario Scannapieco, alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato e ne ho percepito la centralità strategica del pensiero e la cultura del fare che appartengono a una persona che ho conosciuto bene e si chiama Gabriele Pescatore.

L’uomo della prima Cassa per il Mezzogiorno, quella delle grandi opere che consentì all’Italia di raddoppiare il prestito Marshall, l’uomo che con trecento ingegneri ha guadagnato un posto in prima fila nella squadra degli artefici del miracolo economico italiano. Quella Cassa aveva l’abitudine di aprire e di chiudere i cantieri nei tempi prestabiliti, nessuno rubava una lira. Fece le grandi dighe e portò l’acqua in Sardegna, i fondali ancora studiati nel mondo del porto di Gioia Tauro. Riunì le due Italie con le strade, le scuole di formazione, il finanziamento della piccola e media impresa industriale e turistica. L’Italia cresceva a ritmi da Paese emergente e la lira conquistava l’oscar mondiale delle monete.

Noi il nostro Pescatore dei tempi attuali lo abbiamo in casa e può fare la modernizzazione del Paese. Si chiama Scannapieco, dipendesse da me gli consegnerei le chiavi della macchina degli investimenti italiani da domani mattina e le proverei tutte per impedirgli di sottrarsi perché quella macchina deve uscire dal garage dove la hanno confinata i miopi interessi dei potentati regionali del Nord e delle mille burocrazie, deve correre a tutta velocità in direzione Mezzogiorno, e lui Scannapieco ha di certo tutte le capacità necessarie per riuscire nell’impresa.

Il programma lo ha esposto con chiarezza in audizione. Infrastrutture, a partire dal prolungamento della rete di alta capacità e velocità ferroviarie e dalla manutenzione di ponti e gallerie, i progetti Paese della digitalizzazione che arriva alle università e alla ricerca e delle grandi reti idriche perché l’acqua è di nuovo un problema. Nomi e cognomi delle opere, come fare, l’urgenza di uscire dalla frammentazione decisionale dicendo chi deve fare che cosa. C’è qualcosa di più profondo che ho percepito in questo ragionamento lucido che merita di essere segnalato. Il Next Generation offre l’opportunità per cambiare il modo di fare le cose in Italia. Anzi non è più un’opportunità, ma una scelta obbligata perché se continuiamo a non crescere con il debito al 160% del Pil, il declassamento del Paese è automatico, il nostro titolo sovrano diventa immondizia. Tutto diventa più complicato. Per l’Italia siamo all’ultima chiamata. Con le mani delle Regioni del Nord dentro le pieghe del bilancio pubblico italiano intente a sottrarre decine di miliardi per investimenti di sviluppo al Sud e a farne un uso clientelare al Nord il Paese è cresciuto dello 0,4% medio dal Duemila a oggi e siamo gli ultimi in Europa.

Non si scherza più. Il fondo di perequazione infrastrutturale e i livelli essenziali di prestazione vanno fatti ieri non domani perché non è sopportabile lo sconcio morale di una quota pro capite di trasferimenti per le reti infrastrutturali che in Emilia-Romagna è tre volte superiore a quella pro capite della Campania, ma ancora prima perché questi egoismi incostituzionali impediscono la modernizzazione del Paese e condannano l’Italia intera al declino. Siamo all’ultima chiamata, appunto.


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