Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano
4 minuti per la letturaServe un piano nazionale di riforme e di investimenti al Sud dove le Regioni siano consultate ma il centro di spesa sia centrale. Servono scelte strategiche e modalità attuative “eversive” che non possono essere oggetto di dibattito anche perché non ce ne sarebbe il tempo
SIAMO sicuri che ci stanno provando. Siamo sicuri che ce la stanno mettendo tutta. Abbiamo fiducia nella volontà di coerenza meridionalista del Presidente Conte e nello spirito operativo che anima ministri che non compaiono mai ma lavorano sodo nell’ombra come i responsabili degli Affari comunitari Amendola e della Università Manfredi. Contiamo sull’intelligenza politica di Francesco Boccia, un ministro delle Regioni che tiene cucito con lo spago dell’esperienza un Paese Arlecchino costruito sui potentati regionali del Nord così grevi nella congenita miopia da prenotare un futuro da colonia franco tedesca per i loro territori malati e un futuro da sottosviluppo per i territori meridionali colpevolmente abbandonati. Abbiamo fiducia nella passione politica che sostiene l’azione del ministro per il Mezzogiorno Provenzano al quale ci permettiamo di consigliare di calare in uomini e strutture operative ogni progetto di azione perché è circondato da un branco di piccoli e grandi fucilieri pronti a sparare sulla “sua” fiscalità di vantaggio.
Detto tutto questo che esprime compiutamente il nostro pensiero, siamo fortemente preoccupati. Perché manca poco meno di un mese alla presentazione del piano europeo, errori e passi falsi sono sotto gli occhi di tutti. Il Governo ha preparato una trappola in cui doveva cadere l’Atlantia dei Benetton e ora ci rischia di cadere proprio il Governo, come il topo attratto dal formaggio che lui stesso ha messo. Non stiamo scherzando perché la piega presa dagli avvenimenti rischia di costringere il Governo a fare ricorso di nuovo alla revoca con tutto ciò che ne consegue. Altrimenti c’è il rischio concreto che Cdp pur pagando – come giusto – il prezzo di mercato non abbia ciò che vuole. Quello che è successo con la rete della fibra fa semplicemente paura. Le giravolte del Tesoro hanno consentito la nascita di un ibrido dove devono convivere soggetti pubblici e privati, capitali italiani e capitali francesi, debiti di lunga scadenza, appetiti di breve termine americani e mandarinati di quarta serie italiani impresentabili già prima del Covid e oggi, nei giorni della Grande Depressione, dolosamente fuori dalla realtà.
Da questa situazione di impasse oggettiva si esce solo con il coraggio della politica. Servono scelte strategiche e modalità attuative “eversive” che non possono essere oggetto di dibattito anche perché non ce ne sarebbe il tempo. Servono le nuove Autostrade del sole digitali e i livelli essenziali di prestazione che avviano la parificazione della spesa sociale e infrastrutturale. Serve un piano nazionale di riforme dove le Regioni sono consultate ma il centro di spesa è centrale e non esistono nemmeno come chiacchiera centri di spesa regionale. Parliamoci chiaro. Si tratta di camminare sui carboni ardenti di una Nadef che riguarda il sentiero macroeconomico italiano davvero molto stretto e di una macchina che riguarda le operazioni dedicate agli investimenti complicate da mille interessi e appetiti.
Qui si deve conciliare la volontà meridionalista che è l’unica possibilità che ha l’Italia di salvarsi con un pilota automatico che gira da venti anni all’incontrario a fari spenti e che impedisce di passare dalle parole ai fatti. Sono in gioco i 209 miliardi del piano Next Generation per definizione antirecessivi, da iniettare in tre anni nelle vene esangui del sistema digitale, ferroviario veloce, sanitario e stradale del Mezzogiorno e delle aree in ritardo del Nord. Sono in gioco gli 80 miliardi 2021/2027 dei fondi di coesione per i quali sempre dal centro e non dalle Regioni clientelari e incapaci vanno definiti i progetti di intervento con largo anticipo a partire dal dissesto idrogeologico.
Se non si fa subito Investitalia che ricalchi lo schema della prima Cassa per il Mezzogiorno e non si utilizzano modelli tipo quelli adottati per l’Alta velocità ferroviaria del Nord con bandi di gara per imprese selezionate, concessioni e general contractor, la coerenza meridionalista del fare che è l’unica strada possibile che ha l’Italia per salvarsi rimarrà solo un elenco di belle parole. Il groviglio di interessi che ruota intorno al pasticcio Tim-Cdp farà il resto. Non vogliamo nemmeno pensarci.
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Infrastrutture strategiche: Grande Piano Pluriennale di Alloggi Pubblici di Qualità
Prima dei telefoni e dei treni, ecc., viene la casa. Gli alloggi pubblici popolari (cat. A4) e ultrapopolari (cat. A5) censiti dall’Agenzia delle Entrate nel 2018, spesso fatiscenti, sono appena 526.699 unità, pari all’1,5 per cento del totale di 35 milioni di immobili residenziali, contro il 10, 20, 30 per cento di altri Paesi UE (al 1° posto c’è l’Olanda col 32%, poi l’Austria col 23%, la Danimarca col 20%, la Francia col 16%).
Pertanto, l’obiettivo prioritario in Italia deve essere un GRANDE PIANO PLURIENNALE DI CASE POPOLARI DI QUALITA’, sulla falsariga del piano Fanfani.
Sarebbe un piano, peraltro, in raccordo con le recenti proposte del gruppo di studio di alto livello, presieduto da Romano Prodi, per conto della Commissione Europea.
Si otterrebbero vari vantaggi: maggiore equità sociale, riduzione della tensione abitativa, calmieramento degli affitti, aumento del reddito disponibile delle fasce meno abbienti e quindi a più alta propensione al consumo, incremento dei consumi, crescita economica attivata da un settore ad alta intensità di lavoro e a basso fabbisogno di importazioni.