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Grazie, Patrizio. Il tuo coraggio eretico coglie il dato profondo (unico) della rinascita possibile dell’Italia industriale che deve uscire dalle ridotte della Val Padana se non vuole finire con l’essere, come dici tu, il margine inferiore di un nucleo produttivo europeo sempre più rattrappito, che si allinea verso la Valle del Reno. Ci piace il coraggio eretico di Patrizio Bianchi, genio ferrarese, allievo di Romano Prodi e di Alberto Quadrio Curzio e dalla prima ora nella squadra di nuovi meridionalisti di questo piccolo, agguerrito giornale.

Bianchi, nell’editoriale che pubblichiamo a fianco (LEGGI), coglie nel segno. Perché dice chiaro e tondo che bisogna uscire dalle sabbie mobili di almeno venti anni in cui si sono dolosamente tagliati tutti gli investimenti possibili al Sud. Perché ha la consapevolezza che senza unire le reti del supercalcolo e dell’intelligenza artificiale in un circuito virtuoso integrato di produzioni con il nostro Mezzogiorno, ciò che è sopravvissuto dell’impresa del Nord non potrà mai recuperare quella dimensione nazionale senza la quale verrà essa stessa travolta nella competizione globale. Perché esprime la forza e l’intelligenza del vento buono del Nord che deve chiedere a pieni polmoni fiscalità di vantaggio e infrastrutture di sviluppo nel Mezzogiorno, non al Nord, e deve accompagnare con un piano massiccio e agevolato di delocalizzazioni industriali il progetto di rinascita dell’Italia da mettere al punto uno del Recovery plan europeo.

Sembra di risentire le parole di un ex capo dei partigiani del Nord e ministro dell’industria del primo governo De Gasperi che risponde al nome di un grande milanese che è Rodolfo Morandi. “Se non si industrializza il Sud l’Italia non ha nemmeno senso” dice il protagonista di mille battaglie socialiste e primo presidente della Svimez. Dai dialoghi con questo grande milanese nasce lo spirito meridionalista di Morbegno che si affaccia sulla Svizzera ma anima la passione dei Saraceno e dei Vanoni che furono con la Cassa del Mezzogiorno dell’irpino Pescatore e la regia silenziosa del governatore della Banca d’Italia Menichella, foggiano di Biccari, gli artefici della stagione dell’unico, vero miracolo economico italiano. Tutti insieme trasformarono un Paese agricolo di secondo livello prima in un’economia industrializzata e poi in una potenza economica mondiale. Tutti insieme operarono con successo perché il divario infrastrutturale, sociale e di reddito tra le due Italie si riducesse come è puntualmente avvenuto.

Ricordo una frase di Saraceno figlia dei colloqui intensi con il partigiano Morandi: la Svimez nasce affinché non sia più possibile razionalmente decidere di affossare il più debole e favorire il più forte. È esattamente quello che è accaduto negli ultimi venti anni con un regionalismo predone all’italiana che ha tolto ospedali, scuole, treni e fibra al Sud per alimentare clientele e cultura della rendita al Nord. Da questo circuito perverso l’Italia deve uscire in fretta e il coraggio eretico di Bianchi deve spingere a fare i conti con l’operazione verità sulle distorsioni della spesa pubblica lanciata da questo giornale più di un anno fa in assoluta solitudine. La saldatura di interessi della Sinistra Padronale tosco-emiliana con la Destra a trazione leghista lombardo-veneta ha cancellato l’Italia coperta dai detriti del miope egoismo degli “austro-olandesi” di casa nostra. La droga della spesa pubblica ha fatto male al Nord e ha condannato il Sud saccheggiato alla povertà. Un capolavoro assoluto.


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