Mario Draghi durante il meeting di Rimini
3 minuti per la letturaAgire ora insieme. Per fare la nuova Bretton Woods che restituisca ordine al mondo e lo liberi dalla incertezza e dall’ansia paralizzanti. Per fare le nuove regole della nuova Europa solidaristica. Quelle stesse regole che per inerzia, timidezza e interesse non si sono colpevolmente fatte sacrificando la coesione e alimentando il populismo. Per costruire il futuro dei giovani anche perché saranno loro a ripagare il debito e bisogna avere la consapevolezza che privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza. Per fare debito buono investendo in capitale umano, nelle infrastrutture cruciali per la produzione, nella ricerca e non per fare debito cattivo a fini improduttivi. Per ricostruire l’Europa con lo spirito dei Fondatori e l’Italia con lo spirito etico di De Gasperi e, aggiungiamo noi, con il debito “buonissimo” che serva a riunificare il capitale sociale, digitale e infrastrutturale delle due Italie e realizzi oggi con le opere non con i sussidi la “coerenza meridionalista” dello statista trentino.
Perché l’Europa acceleri nella direzione giusta intrapresa che riconosce il ruolo stabilizzatore del bilancio europeo, inizia a fare emissioni di debito comune, e dovrà portare a un Ministero del Tesoro comunitario, molto dipenderà dalla credibilità delle forze politiche europee. Perché l’Italia recuperi lo spirito della guerra, la voglia di riscatto delle donne e degli uomini sotto le macerie delle bombe, che fu il motore propulsivo della ricostruzione del secondo dopoguerra quando un Paese agricolo di secondo livello diventò una potenza economica mondiale, ancora di più molto dipenderà dalla credibilità delle forze politiche italiane. Fermiamoci qui.
La forza compiuta e anticipatrice del discorso di Mario Draghi al meeting di Rimini appartiene alla storia personale del banchiere centrale più apprezzato nel mondo che ha salvato l’euro e l’Europa con tre sole parole (Whatever it takes, costi quel che costi) attuando la più clamorosa supplenza politica senza uscire dal seminato del suo ruolo e dei suoi poteri. Perché ha fatto la mossa giusta al momento giusto che è la prima qualità richiesta a un banchiere centrale. A Rimini abbiamo ascoltato Mario Draghi come uno dei Padri Fondatori dell’Europa.
Una persona che mentalmente agisce adesso per affrontare il domani e che vuole ricordare a tutti che per migliorare il mondo nel futuro bisogna agire ora. Ha detto che ci devono essere di esempio gli uomini che ricostruirono il mondo, l’Europa e l’Italia, dopo la seconda guerra mondiale. Ha detto: si pensi ai leader che, ispirati da J.M. Keynes, si riunirono a Bretton Woods nel 1944 per la creazione del Fondo Monetario Internazionale. Ha detto: si pensi a De Gasperi, che nel 1943 scriveva la sua visione della futura democrazia italiana e a tanti altri che in Italia, in Europa, nel mondo immaginavano e preparavano il dopoguerra.
Noi ci permettiamo di aggiungere: si pensi allo statista italiano, Mario Draghi, che dopo la più grande distruzione economica mai vista in periodo di pace, una seconda recessione e un’ulteriore perdita di posti di lavoro, salvò l’euro con tre parole e la sua credibilità personale. Questo fa la differenza.
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Citazione: “Per fare le nuove regole della nuova Europa solidaristica.”
In gran parte, almeno come principi, ci sono già, basta leggere il fondamentale art. 3 del TUE, che definisce la missione dell’Unione Europea.[1]
E’ in buona parte un problema di interpretazione e di applicazione dei Trattati.
Lo dimostra lo stesso Draghi, a parte le OMT che servirono a stoppare la speculazione finanziaria e a salvare l’Euro, inerte per 5 anni rispetto alla FED e alla BoE, per non parlare della BoJ: il QE fu deciso solo nel gennaio 2015 e avviato nel marzo successivo.
Cioè, a legislazione UE invariata, ciò che, unicamente per sottostare alla volontà interessata della Germania (e dei suoi satelliti), era ritenuto da quasi tutti contrario ai Trattati UE – il QE -, poi è stato giudicato conforme ad essi e implementato nel marzo 2015, con un ritardo di ben 6 (sei) anni rispetto alla FED, alla BoE e ancor più alla BoJ.
Il che ha comportato sia una doppia, profonda recessione con enormi sacrifici per gran parte del popolo europeo dell’Eurozona, sia la distruzione di aliquote significative di imprese e di relativa capacità produttiva (in Italia, -22%), di Pil (-10%) e di milioni di posti di lavoro, oltre che di diverse centinaia di vite umane, in quasi tutti i Paesi dell’Eurozona (Germania e suoi satelliti esclusi!).
In Italia, per importanza epicentro della crisi, alimentata e aggravata dalla politica recessiva imposta dall’UE, furono varate nella XVI legislatura manovre finanziarie correttive per un importo cumulato di ben 330 mld, 4/5 da Berlusconi e 1/5 da Monti[2] (le misure strutturali valgono tuttora), addossati in grandissima parte dal governo Berlusconi sui ceti medio e basso, e perfino sui poveri col taglio crudele del 90% della spesa sociale dei Comuni e delle Regioni,[3] per far fronte in gran parte agli – accresciuti – oneri di finanziamento del debito pubblico, i cui beneficiari sono le banche, i ricchi e i benestanti.
[1] Art. 3. L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico. L’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri. […]
[2] Importo delle manovre finanziarie correttive della XVI legislatura (valori cumulati):
– governo Berlusconi 267 mld, 80,8%;
– governo Monti 63 mld, 19,2%;
Totale 330 mld, 100,00%.
I decreti e le cifre. Le manovre correttive, dopo la crisi greca, sono state: Governo Berlusconi: • 2010, DL 78/2010 di 24,9 mld (valore cumulato dichiarato dal Governo per il biennio 2011-12); • 2011 (a parte la legge di stabilità 2011) DL 98/2011 e DL 138/2011, di 80+65 mld cumulati, con la scopertura di 15 mld che Tremonti si riprometteva di coprire – la cosiddetta clausola di salvaguardia (DL 98/2011, art. 40) – con la delega fiscale.
Governo Monti: • 2011, DL 201/2011 (c.d. decreto «Salva-Italia»), che per l’anno 2012 cifra 32 mld «lordi» (10 sono stati «restituiti» in sussidi e incentivi); e • 2012, DL 95/2012 di circa 20 mld (ma il saldo entrate-uscite è quasi nullo).
Quindi in totale sono, rispettivamente: – Governo Berlusconi: 25+80+65 = tot. 170 mld; – Governo Monti: 22+0,6 = tot. 22,6 mld.
Se si considerano gli effetti cumulati da inizio legislatura, sono: – Governo Berlusconi-Tremonti 266,3 mld; – Governo Monti 63,2 mld. Totale 329,5 mld.
Le misure strutturali valgono tuttora.
[3] Il governo Monti è stato molto più equo del governo Berlusconi (v. IMU, pagata per 2/3 dai ricchi e dai benestanti, patrimonialina sui depositi, TTF, modifica della iniqua clausola di salvaguardia tremontiana).