La conferenza delle regioni
3 minuti per la letturaSiamo ormai alla democrazia contrattata che è l’altra faccia di un regionalismo deteriore di volta in volta predone, mercantile, straccione. Sono le tre declinazioni di un Paese Arlecchino che non riesce più a fare una grande opera, ha cittadini di serie A e di serie B, e si è messo fuori mercato da solo, perché impera una nomenclatura politica regionale che fa figli e figliastri e dialoga con lo Stato italiano come se fosse uno Stato estero. Sa solo chiedere senza mai dare.
L’ultimo episodio riguarda i treni regionali e il distanziamento da Covid 19. Vogliono fare di testa loro, di fatto con acrobazie di ogni tipo lo fanno ognuna a modo suo, ma se lo Stato insiste perché le regole siano uguali per tutti loro chiedono soldi. Ogni volta che lo Stato chiede una cosa alle Regioni, per ottenerla deve pagare, deve indennizzare. Nessuna Regione rinuncia a nessuna delle sue clientele, ma hanno tutte sempre qualcosa da chiedere allo Stato italiano che per colpa dei loro vizi diffusi si indebita e per colpa dei loro veti non può più fare investimenti di sviluppo.
Anche l’emergenza diventa un fatto personale, qualcosa da valorizzare in termini economici per le casse regionali, ma così non c’è più la funzione pubblica e, come si percepisce chiaramente dalla arroganza estrattiva contabile di alcuni capi di governo regionali, non c’è più il Paese. Per questo ci piace la fiscalità di vantaggio ostinatamente voluta dal ministro Provenzano forte del sostegno di un Presidente del Consiglio, Conte, che ha il merito storico di avere sposato per primo l’operazione verità lanciata da questo giornale in assoluta solitudine sulla gravissima distorsione nell’allocazione territoriale della spesa sociale e di infrastrutture avvenuta negli ultimi venti anni in misura sempre crescente. Che è figlia del regionalismo deteriore in salsa padana lombardo-emiliana e del federalismo fiscale incompiuto che ne è la labile protezione giuridica. Che è l’inizio e la fine della lunga crisi competitiva italiana e che, se non bloccata, porterà Nord e Sud dell’Italia fuori dal novero dei Paesi industrializzati.
Per la prima volta si prova a tornare alla coerenza meridionalista degasperiana e si comincia a fare una scelta di politica economica di vantaggio che è un sostegno reale a chi fa azienda nelle regioni svantaggiate e che in tempi di deglobalizzazione può dare risultati superiori alle aspettative in termini di attrazione di capitali.
Consigliamo di utilizzare la competenza del ministro Amendola per fare tutte le verifiche in sede europea e evitare docce fredde. Soprattutto, però, vogliamo dire con chiarezza che nel medio termine anche la fiscalità di vantaggio servirà a poco se con altrettanta forza politica (quella che ebbe De Gasperi) non si libererà la macchina degli investimenti pubblici dalla gabbia del regionalismo dei ricchi e di una frammentazione decisionale funzionale solo agli interessi miopi dei territori del Nord.
Serve subito una nuova Cassa delle Grandi Opere che ricalchi il modello delle agenzie americane di sviluppo come fu quella guidata da Pescatore nella stagione del miracolo economico italiano. Serve una Cassa che operi in deroga con tutti i poteri commissariali possibili per fare il progetto integrato Mezzogiorno Alta velocità ferroviaria, porti-retroporti, Ponte sullo Stretto. Questo serve all’Italia oggi e va fatto, non annunciato, in quattro anni per il Ponte e in due anni per tutto il resto. Più che fare 84 mila assunzioni nelle scuole di un Paese che fa sempre meno figli apriamo i cantieri in quei territori dolosamente abbandonati che sono l’unica crescita potenziale possibile del Paese.
La speranza di rinascita passa di qui e l’Europa ci finanzierà solo per fare questo non altro. Se gli “austro-olandesi di casa nostra” della Sinistra Padronale e della Destra sovranista si ostinano a non capire e a fare i loro piccoli calcoli di bottega questa volta si usi in tutti le sedi politiche, economiche e costituzionali l’arma contundente dell’operazione verità lanciata da questo giornale. Può fare molto male e aiuta a capire molto in fretta.
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La sinistra padronale e la destra sovranista non hanno ancora chiaro in mente una cosa: l’abbandono delle politiche clientelari che anno dopo anno, per l’avidità di potere, hanno portato alla distruzione del Paese Italia. Sono due facce della stessa medaglia. Questo è un Paese privo di competenze e competenti ad ogni livello, vittima di una scuola disarcionata dalla cultura, marketing oriented solo alla ricerca del posto fisso nella pubblica amministrazione dei propri alunni. Mancano piani quinquennali o decennali di sviluppo e sul dove deve andare indirizzato lo sviluppo del Paese. Questo lo debbono decidere chiaramente i politici al governo con l’aiuto delle opposizioni in un dialogo franco e corretto. Interessa a pochi un inutile e stratosferico ingresso di nuovi docenti nella scuola se poi non c’è una reale capacità di innovare la stessa scuola. Al Paese interessano tecnici formati, agricoltori formati, operai che sappiano il loro mestiere, gente che a vent’anni possa già lavorare, non più inutili lauree parcheggio e certamente non una pletora di laureati ignoranti, con master e super master, ma con una cultura nemmeno equiparabile a quella di un licenziato con la maturità classica di cinquanta e passa anni or sono. E lo sviluppo del Mezzogiorno è la nostra carta vincete per rinsaldare l’Italia. Perché un Paese monco non è utile a nessuno, tanto meno all’UE. Non lasciamoci sfuggire questa occasione.