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Giuseppe Conte a Genova per l'ultimo varo del nuovo Ponte Morandi (Foto Filippo Attili/LaPresse)

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Tutto ruota intorno al problema di andare all’inaugurazione del nuovo ponte Morandi senza i Benetton e costringerli a cedere la quota, incuranti dei danni miliardari che la famiglia potrebbe ottenere a spese di tutti gli italiani invece di onorare il conto delle loro gravi responsabilità. Perché la De Micheli si deve dimettere

Siamo riusciti a erogare in tre mesi e mezzo meno del 13% dei prestiti garantiti dallo Stato sopra e sotto i 30 mila euro. Una vergogna assoluta. Sulla cassa integrazione in deroga abbiamo fatto mille balletti tra Inps e Regioni, in una nobile gara a chi conquista il podio del carrozzone d’Italia, ma ci sono migliaia di aziende che non hanno ancora ricevuto neppure la prima tranche e migliaia di imprese artigiane che hanno scoperto che non riceveranno mai nulla. Non sappiamo chi si deve dimettere prima ma di sicuro ai vertici esecutivi del più grande ente previdenziale europeo c’è bisogno urgente di aria nuova. Così come solo quando i mandarini delle nomenklature regionali verranno tout court aboliti questo Paese riprenderà a fare spesa per investimenti interregionali e non per foraggiare le peggiori clientele assistenziali nei territori ricchi con il debito pubblico che pagano tutti gli italiani.

Fino a quando potremo sopportare che la ministra Paola De Micheli resti al suo posto avendo chiuso una regione, la Liguria, senza neppure degnarsi di spiegare il perché? Confondendo stabilmente, sempre lei, opere cantierabili con risorse disponibili, arrivando addirittura a prendere in giro metà Paese rifilando al Sud una serie infinita di studi di fattibilità e lasciando tutti al Nord i cantieri veri accentuando il solco di quella miopia che ha condotto le due Italie a essere gli unici due territori europei pre-Covid a non avere raggiunto i livelli pre-crisi. Facendo peraltro, nella scelta territorialmente squilibrata delle opere, l’esatto contrario di quello che il suo Presidente del Consiglio dichiara in tutte le sedi pubbliche e private. La ministra De Micheli dovrebbe sentire la decenza prima di chiedere scusa e poi di dimettersi. Nessuno potrà fare peggio di lei e la tragedia economica che sta vivendo questo Paese, di gran lunga superiore a quella sanitaria, non consente più di tollerare comportamenti furbetti e gattopardeschi.

A tutto questo, e a molto altro, a partire dallo scandalo delle centinaia di decreti attuativi mai adottati dal Tesoro della Repubblica italiana sui provvedimenti urgenti di liquidità e di rilancio, si deve purtroppo aggiungere l’apoteosi finale della deriva argentina di questo governo in economia che ruota intorno al caso Atlantia e rischia di minare definitivamente la credibilità dell’Italia. Vogliamo essere chiari come sempre. Non abbiamo nessuna indulgenza nei confronti dei Benetton e, ancora meno, nei confronti del management a cui hanno affidato la gestione di Autostrade. Ai nostri occhi simboleggiano quel capitalismo delle grandi famiglie che ha scelto la rendita pubblica al posto della fatica di innovare e di misurarsi con il mercato.

Si sono accomodati dentro le pieghe della rendita tariffaria da monopolio condannando alla resa il capitalismo delle grandi famiglie e rivelandosi incapaci di essere all’altezza dei loro predecessori pubblici che hanno sempre saputo coniugare cultura della sicurezza e cultura del mercato. Così è stato per l’Italstat, per l’Eni, per l’Enel, solo per fare qualche esempio, così non è stato per i Benetton e quasi ovunque, a partire da Telecom-Tim, quando queste famiglie hanno messo becco distruggendo valore e contribuendo in modo decisivo a fare uscire l’Italia dai grandi player globali.

Nel caso dei Benetton a Avellino prima e a Genova dopo con il crollo del Ponte Morandi, le colpe gravissime del management da loro scelto e troppo a lungo protetto, hanno aperto vuoti incolmabili nelle famiglie e toccato in profondità la coscienza del Paese. Un ceto dirigente di governo consapevole non dà tregua per accertare responsabilità e chiedere ai colpevoli di pagare il conto, ma sta molto attento a non agire maldestramente perché sa di dovere riuscire nel miracolo di trovare una soluzione che non massacri i titoli azionari in borsa, non tosi migliaia di risparmiatori privati italiani, non dia il messaggio agli investitori mondiali che investire in Italia vuol dire assumersi il rischio di essere espropriati, e soprattutto non finisca con il consegnare in mani rapaci cinesi o tedesche l’ex gallina dalle uova d’oro che è la rete autostradale italiana. Per non parlare di tutto ciò che ruota intorno a Atlantia, holding di controllo all’88% di Autostrade per l’Italia in mano ai Benetton, che ha in pancia la prima azienda di costruzioni tedesca, il tunnel della Manica, le reti autostradali sudamericane e di mezzo mondo non escluse Spagna, Francia e così via.

Tutto ruota maledettamente intorno al problema che dobbiamo andare all’inaugurazione del nuovo ponte Morandi senza i Benetton e dobbiamo costringerli a cedere la quota a un fondo o a un trust o a ridurre la partecipazione sotto il 10% in Autostrade per l’Italia, meglio all’1%, incuranti dei danni di decine di miliardi che immeritatamente la famiglia Benetton potrebbe esigere e ottenere a spese di tutti gli italiani sull’altare di un populismo che rischia di fare saltare per aria le aziende italiane e condanna il Paese alla deriva argentina nel pieno della Grande Depressione Mondiale e alla vigilia del vertice europeo che ha in mano il nostro destino. Sinceramente tremiamo perché giochiamo maldestramente con armi che sono tutte a doppio taglio.

Diciamo le cose come stanno. Questo è uno strano Paese dove i giudici si oppongono alle leggi che fa il Parlamento e dove il governo fa il giudice in anticipo rispetto alle sentenze nel momento in cui lo stesso Paese sta negoziando con l’Europa la cassa che può garantire il futuro ai suoi giovani di talento a patto che il Paese cambi in profondità a partire dalla sua macchina pubblica. Niente di tutto ciò, purtroppo, accade. Invece di concentrarci su quello che sarebbe giusto fare, ci piace scherzare con il fuoco. Di dilettantismo in dilettantismo, si rischia involontariamente di mettere Autostrade nelle condizioni di perdere il suo controllo italiano. Perché Cdp e F2i rischiano di non avere le risorse per farsi carico del 78 o del 58% di capitale di Autostrade per l’Italia a seconda se Atlantia partendo dall’88% debba scendere al 10 o al 30% se non addirittura sparire. Fermiamoci qui. Sorvolando sul fatto che in questo processo sommario spariscono le responsabilità (enormi) di chi avrebbe dovuto vigilare, ritenete che nessuno avrebbe da ridire sul fatto che il gestore Cdp avrebbe una concentrazione di patrimonio notevole in un unico asset? Possiamo scegliere più o meno consapevolmente la deriva argentina ma è reale il rischio di inseguire qualcosa di simbolico che può condurci a perdere il controllo della rete autostradale italiana e a indebolirci in Europa perdendo in modo irrimediabile la credibilità. Non ci resta che sperare che il buon senso che ha sempre guidato Conte pur tra errori e sbandamenti torni a prevalere all’ultimo secondo utile. Non possiamo perdere la credibilità per un capriccio.


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