Il premier Conte partecipa in video conferenza al G20 e al Consiglio UE/Foto Filippo Attili-LaPresse
5 minuti per la letturaNEI tempi di pace servono le persone che pensano. Nei tempi di guerra servono le persone che fanno. A duemila l’ora. Questo è il problema dell’Europa e dell’Italia di oggi. Le squadre in campo devono almeno cambiare i giocatori nei ruoli chiave. Non c’è più un posto libero neppure in panchina per qualche bucaniere olandese da quattro soldi e la sua cricchetta di amici nordici che non riescono a capire che tutti i servizi assicurativi e tutti i brevetti con cui fanno la bella vita sono basati sulla capacità di produzione degli altri che non esiste più.
Questi piccoli uomini e i loro guardaspalle tedeschi ogni giorno che passa diventano più ridicoli. Siamo nel pieno della nuova Grande Depressione. Negli Stati Uniti sono spariti due milioni di posti lavoro in una settimana. Abbiamo spento insieme i motori cinese, americano e europeo, e loro i piccoli uomini della corona tedesca che non hanno mai cacciato un euro per nessuno che fanno? Stanno lì a rimuginare i calcoletti della vergogna sul debito tuo e mio senza capire che solo stando tutti uniti e mobilitando energie finanziarie pazzesche forse potranno salvarsi. Per fare il loro bene, bisogna pure pregarli. Ha fatto benissimo Mattarella a tirare la riga. Si è risentita la voce dei Fondatori. Non è sola questa voce, soprattutto pesa. Frantumerà gli sbalorditivi egoismi tedesco-olandesi.
Per nostra fortuna, nel mondo l’Europa ha una sola faccia: è quella di Mario Draghi. L’uomo che ha salvato l’euro con tre parole e che li tiene ancora tutti in vita da casa sua. Poche balle. È ora di semplificare le cose e di fare “senza esitazioni” quello che ha detto con la consueta lucidità in un articolo pubblicato dal Financial Times qualche giorno fa. Debito pubblico condiviso. Non c’è alternativa a combattere la guerra mettendo in comune le risorse e usando il debito pubblico per proteggere l’economia. Per evitare che alla ecatombe di vittime si aggiunga l’ecatombe del lavoro. L’Europa riapparirà perché le catastrofi non fanno distinzioni e presentano il conto a tutti, ma farlo prima o dopo non è indifferente. Così come non lo è avere tizio o caio al volante della macchina esecutiva italiana e di quelle regionali. Ripetiamo da settimane: spendete, spendete, spendete. Mandate l’assegno a casa, disinnescate la bomba sociale. Sono fondamentali quattro cose.
La prima. Dare liquidità alle imprese. Per fare arrivare i soldi alle piccole e medie aziende private in tempo reale, c’è una sola strada: abolire il passaggio bancario. I soldi alle imprese con le banche e con il merito di credito non arrivano perché cominciano a dire: quanto fate di margine operativo lordo meno gli ammortamenti o quanto di profitto meno le tasse; e poi il settore (tutti!) entra in crisi. Insomma: sono fuori dalla storia e dalla realtà. Vanno saltate a pie’ pari, non c’è tempo per farglielo capire. L’unico dato che dovrebbero chiedere è il numero del conto corrente per metterci di corsa i soldi perché senza quelli le aziende non pagano i fornitori e, a ogni passaggio burocratico, di imprese non ne fallisce una ma due. Per le aziende italiane serve il modello Trump.
La seconda. L’equiparazione effettiva del sacrificio tra dipendenti pubblici e privati. Dirigente, quadro, impiegato, operaio, di fronte al sacrificio generale devono essere tutti uguali. Al lavoratore privato il bonifico bancario dello Stato deve arrivare con la stessa puntualità e con le medesime percentuali di quello pubblico a parità di prestazione. Nessuno deve rimanere senza reddito.
La terza. Lavoro autonomo. Si decida di erogare un assegno mensile che sia pari a una percentuale del reddito in base alla media degli ultimi tre con un quoziente familiare che può ricalibrare l’importo e ovviamente un tetto invalicabile per tutti. L’erogazione deve essere netta e detassata. A chi dichiara oggi di non poter vivere ricevendo una quota rilevante di quanto aveva dichiarato, si può fare notare che sta facendo emergere il suo nero e, forse, ci sono le condizioni per studiare una qualche forma di rimborso su scala ventennale. Insomma: si fa un’operazione di equità, ma si può provare anche a scoprire i furbi.
La quarta. Disinnescare la bomba sociale. Perché ci si riesca per davvero non bastano i provvedimenti di cui sopra. Bisogna prendere atto che i lavoratori in nero esistono e debbono potere continuare a mangiare, come facevano prima. In una parte del Paese dove tutto è stato tagliato e il reddito pro capite è precipitato, il buono spesa annunciato aiuta di sicuro, ma il sostegno collettivo di cittadinanza da quarantena ovviamente a termine diventa un obbligo. Altrimenti l’esproprio cartello gratis diventa la miccia che accende il Paese e sulla quale soffierà anche il vento della criminalità organizzata.
Siamo in guerra non in pace. Per fare tutte queste cose serve gente che si dà da fare e che è capace di consegnare alla velocità della luce i respiratori nelle Regioni meridionali e rimette in ordine la cocciutissima macchina amministrativa della Lombardia. Servono meno conferenze stampa e più fatti. Se dico che lunedì arrivano un milione di mascherine devono arrivare lunedì se no è meglio che sto zitto. Oggi gli italiani muoiono di Coronavirus. Muoiono di debiti. Muoiono di fame. Per ridurre questi tre tipi di decessi non aiutano la cantilena quotidiana monocorde del neo commissario Arcuri e l’appuntamento tv giornaliero con l’assessore della Lombardia Gallera che legge i numeri dei morti come una tabellina del pil dell’Ocse.
Servono fatti e uomini capaci di fare i fatti. Qui i piccoli uomini dell’Europa non c’entrano e questi fatti italiani, caro Conte, o li fa lei o li farà qualcun altro al posto suo. Noi abbiamo fiducia nel Presidente del Consiglio e anche il bonus spesa annunciato ieri va nella direzione giusta. Si ricordi, però, che quelli che le stanno intorno fanno i conti di quanto deve spendere e dei punti di debito che determina questa spesa, ma se aspetta i loro tempi e interviene dopo non ci sarà più l’economia. Non esploderà solo il debito, ma sparirà l’economia e non si potrà mai più riprendere. Se le va ricordi a chi le sta intorno che lo stipendio ai dipendenti pubblici lo paga lo Stato, ma se non c’è più l’economia quello Stato va in bancarotta e lo stipendio non arriva più. Siamo in guerra non in pace.
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