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Amintore Fanfani e Aldo Moro

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Nessuno fa niente per il suo Paese. Tutti stanno a guardare quello che fanno gli altri. Lo sport nazionale è giudicare o porre veti. Il motore dei comportamenti dei singoli sono il proprio interesse e l’invidia sociale. Una moltitudine ripetitiva di comportamenti individuali di questo tipo produce una collettività che riconosce le “capitali” dei loro egoismi e smarrisce l’identità comune di una nazione. Ne viene fuori una comunità in stato confusionale capace di fabbricare con le sue parole inutili una recessione in casa.

Moro e Fanfani facevano lezione all’università e poi nel resto della giornata facevano politica. Molti della classe dirigente di governo di oggi – centrale e, soprattutto, regionale/locale – non potrebbero nemmeno seguire i corsi dei grandi professori democristiani. Ho pensato a Moro e Fanfani leggendo le dichiarazioni di Bruno Tabacci, politico di lungo corso e ex presidente della Regione Lombardia, al nostro Claudio Marincola: “Eravamo democristiani. E finché ci siamo stati noi la sanità pubblica non è mai stata messa in discussione. Poi è successo qualcosa, non mi chieda però cosa. So solo che ci fu un grande cambiamento, famiglie importanti già attive in altri settori iniziarono a investire nella sanità cifre notevoli e poco dopo arrivarono i tagli. Meno medici, meno infermieri, meno ospedali, meno posti-letto”.

In queste parole c’è la chiave di quello che è avvenuto a Milano e, a catena, nell’intero Paese. Dietro la perdita di valore della sanità pubblica e di ciò che rappresenta in termini di sicurezza, di igiene e di prevenzione, c’è quello che l’attuale sindaco di Milano, Beppe Sala, ha definito “l’ecosistema sanitario” lombardo. Qualcosa che coniuga tagli lineari alla sanità pubblica e business dei privati. Si passa dalla chimica petrolifera alle cliniche, ma soprattutto si prenotano quote ingenti di risorse pubbliche con il moltiplicatore della Spesa Storica che favorisce il ricco a discapito del povero. Nessuno vuole discutere le eccellenze private, ma è sotto gli occhi di tutti come prevenzione e organizzazione dell’accoglienza pubblica abbiano sofferto con l’emergenza coronavirus.

La sanità privata lombarda ha fatto incetta di finanziamenti sottratti alle Regioni del Sud – la sanità ospedaliera meridionale è finita sotto processo per clientele a volte vere ma di più per una moda funzionale agli interessi privati nordisti – e se ne guarda bene oggi da restituire qualcosa. Il virus che i focolai di Lodi e della bergamasca portano in superficie è la perdita del primato della cultura del servizio sanitario nazionale e della sanità pubblica. Quegli stessi micro-interessi degli azionisti-clienti di Banca Ubi che si oppongono per ragioni di bottega al disegno da sistema Paese di Intesa Sanpaolo si possono riscontrare nella cultura della fatturazione pubblica e dei super-rimborsi che appartiene alle famiglie private dell’ecosistema sanitario lombardo.

Se la politica non dà una spallata a questi micro-interessi, l’Italia non potrà mai rialzare la testa.


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